Metal Allegiance – Alleanza Metallica
Il 07/09/2018, di Andrea Schwarz.
Quanto ci sia di autenticamente vero nel progetto Metal Allegiance lo dirà solamente il tempo. Quanto sia ruffiana la dichiarazione dello sbandierato amore per il metal, parole che aprono i cuori di chiunque abbia cuore e passione per questo genere musicale, non ci è dato sapere. Possiamo però tranquillamente affermare che questi brani sono un buon manifesto della forza, dell’energia e del fascino che il metal porta nel suo DNA, canzoni suonate egregiamente da musicisti che non hanno bisogno di alcuna presentazione. E quindi, oltre a gettarvi nell’ascolto del disco, preparatevi a leggere quanto Mike Portnoy ha voluto condividere con noi su questo progetto.
Mike devo ammettere che, pur avendo apprezzato il vostro primo album con questa formazione, non avrei scommesso un centesimo sul fatto che avreste lavorato su un secondo album. Più che altro per il fatto che siete tutti musicisti affermati con le vostre carriere e quindi immaginavo che trovare il tempo anche per questo cd sarebbe stato arduo. Come siete riusciti in questo intento, tra l’altro producendo un lotto di canzoni dove traspare maggiormente rispetto al passato una buonissima coesione, senza offesa ma sembra di avere a che fare con una band a tutti gli effetti….
Grazie, i complimenti fanno sempre piacere! Be’, il primo album è stato un po’ una sorta di esperimento perché non sapevamo cosa sarebbe potuto succedere, non avevamo mai lavorato insieme e quindi era tutta una novità anche per noi. Forse fu per quel motivo che lo imbottimmo letteralmente di special guest ehehe! Questa volta quindi non dovevamo affatto rompere il ghiaccio, forti dell’esperienza precedente avevamo già una buona intesa tra noi quattro e penso che abbiamo sfruttato questo fattore a nostro favore, conoscevamo meglio le capacità di ognuno di noi sia come songwriter che come meri esecutori, ci siamo sentiti a nostro agio agendo come se fossimo una band che lavora insieme quotidianamente. Certo, ci sono ancora dei guest alla voce ma fondamentalmente è la band che è riuscita ad esprimersi. Siamo contentissimi di come il lavoro sia venuto fuori, al 100%!
È proprio per questo motivo che i brani sono più godibili, forse nel primo episodio è stato più il frutto del lavoro di Mark Menghi la cui bravura fu quella di far coesistere così tanti talenti in un solo album….
Sai, Mark nel primo album non ha suonato per nulla e non ha contribuito al processo creativo delle canzoni mentre questa volta invece ha avuto un ruolo attivo anche nel processo di songwriting, questa è un po’ per lui la grande differenza che ha sicuramente avvertito.
Però Mike, spero concorderai con me sul fatto che lavorare con musicisti del tuo calibro nonché di spessore come Alex Skolnick e Dave Ellefson non abbia fatto altro che aiutarlo, senza nulla togliere alle sue capacità compositive…
D’accordo ma bisogna tener presente che lui è bravissimo nell’organizzare e tenere in piedi il progetto, inizialmente quello era il suo ruolo e quindi per quel motivo a livello compositivo non fu coinvolto ma andando avanti con il tempo, come abbiamo detto, si è integrato contribuendo in prima persona nella fase compositiva. Per lui è un pò una dream band visto che è cresciuto musicalmente con musicisti con i quali adesso suona come Dave (Ellefson) e Alex (Skolnick).
Onestamente credo che sarebbe il sogno di ogni musicista, non solo il suo! Diciamo che inizialmente era un po’ come essere bambini quando tutto brilla, dove c’è quell’entusiasmo contagioso che si modifica, che matura fino ad avere consapevolezza di quello che si suona. Quanto è cambiato quindi il vostro approccio?
Come ti ho accennato prima nel primo volume avevamo 20 differenti guest e canzoni stilisticamente molto diverse tra di loro, rispecchiavano un pò gli stili che ogni guest portava in dote. Nel secondo volume invece abbiamo lavorato come team, con una coesione superiore creando quindi un sound più omogeneo che va dritto al sodo con l’aiuto di guest che al tempo stesso possono essere considerati quasi come il quinto membro della band come Mark Osegueda dei Death Angel, Andreas Kisser dei Sepultura o Troy Sanders dei Mastodon. Abbiamo creato una sorta di famiglia nel senso vero della parola, è una cosa alla quale mi sento particolarmente legato e te lo dico sinceramente. In qualche modo i Metal Allegiance sono la mia valvola di sfogo grazie alla quale posso suonare metal, unito al senso di appartenenza ed amicizia che ti dicevo prima…è il massimo!
Giusto che ne stai facendo cenno devo ammettere che uno dei brani che apprezzo in particolar modo è ‘Bounded By Silence’ cantata da John Bush….possiamo quindi considerare ‘Power Drunk Majesty’ come una sorta di omaggio al metal?
Yeah, assolutamente sì! Ogni cosa che viene fatta con questa band è un tributo alla musica che amiamo, considera che nella fase embrionale della band era un modo per noi musicisti ed amici di trovarci suonando musica delle band che lo si voglia o no ci hanno influenzato, suonavamo brani di Iron Maiden, Judas Priest, Black Sabbath, Kiss, Motorhead e tantissimi altri. Amici con la passione per il metal che non volevano far altro che stare insieme divertendosi tributando gli onori a questi nostri miti musicali che tanto ci hanno influenzato, poi il tutto si è evoluto abbastanza velocemente componendo nostro materiale ma sempre con lo stesso obiettivo sullo sfondo: divertirsi suonando metal! Lo spirito che ci ha unito è quello di pagare un tributo a chi ci ha preceduto, ispirando le nostre carriere ma divertendoci, non con quella boria inutile e stupida. Chi è venuto a vederci suonare sono fans che hanno anche magari acquistato il disco ma non dimentichiamoci che anche chi è sul palco è fan di qualcun altro. Tutto è legato insieme, indissolubilmente e non potrebbe essere altrimenti.
Addentrandoci ulteriormente nel nuovo album non riesco a esimermi dal farti notare quanto mi abbia colpito anche la title track, la “part II” interpretata da Floor Jansen. Le sue doti canore sono fuori discussione, sono rimasto affascinato nel contesto del brano del modo con cui lei stessa sia riuscita a cantare come se la sua voce fosse uno strumento, non semplice interpretazione di un testo. Cosa ne pensi?
Indubbiamente il suo stile vocale per così dire ‘operistico’ e per certi versi distante dal metal o comunque dal rock ha portato il disco nel suo insieme su altri territori, abbiamo sempre avuto attenzione nel poter inserire cantanti femminili nel progetto come dimostra la collaborazione con Cristina Scabbia nel primo disco oppure Alissa White-Gluz quando abbiamo realizzato l’ep ‘Fallen Heroes’. Oggi è la volta di Floor, quando abbiamo composto questo brano avevamo un pò in testa come modello ‘Hallowed Be Thy Name’ degli Iron Maiden e quindi avevamo bisogno di una voce che fosse improntata all’opera e la scelta è stata naturale. Solitamente quando componiamo un brano, in base allo stile che ne scaturisce, proviamo ad immaginare qualche nome di cantante femminile o maschile che possa adattarsi al meglio. Per esempio, quando ci siamo trovati di fronte ‘Voodoo Of The Godsend’ dal suo inconfondibile stile Sepultura…non abbiamo esitato un attimo, il nome di Max Cavalera è stato immediatamente colui che meglio di tutti poteva interpretarla. Lo stesso per Bobby Blitz con ‘Mother Of Sin’, in questo caso avevamo un po’ di idee ma poi bisogna anche vedere se le prescelte sono interessate ed hanno modo di collaborare, Floor è stata indubbiamente la prima della lista e fortunatamente non ci sono stati problemi a convincerla. Inizialmente avevamo anche pensato ad alcune voci maschili, qualcosa tipo Bruce Dickinson e Rob Halford ma non penso che avrebbero detto di sì (ride, ndr.).
Ogni tanto riascolto il vostro primo album alternandolo con questo secondo capitolo ed ogni volta trovo che una delle migliori caratteristiche sia quella di riuscire a cucire addosso il pezzo al cantante deputato alla sua interpretazione, compito non facile. Quasi come se cominciaste a partire da quest’ultima scelta, la musica ne è una diretta conseguenza
Sì, lo facciamo intenzionalmente. Se scriviamo un brano immaginiamo contestualmente chi potrebbe interpretarlo al meglio, è successo per tutte le canzoni che abbiamo scritto fino ad oggi. Prendi ‘You Can’t Kill The Devil’… non potevi immaginare voce migliore che quella di Chuck Billy, per ‘Dying Song’ è stata immaginata con Phil Anselmo e così è stato. Nasce tutto dalla nostra immaginazione.
Spostando l’attenzione sui testi, a chi vi siete riferiti nel testo di ‘King With A Paper Crown’ interpretata da Johan Hegg? Chi potrebbe interpretare questo “personaggio” nel mondo reale?
Chi scrive i testi all’interno della band è Mark Menghi, le sue lyrics scaturiscono dalla sua immaginazione piuttosto che dalle sue esperienze personali e quindi mi risulta alquanto difficile rispondere al posto suo. Posso immaginare ed in parte facendo mio il testo, rispondendo alla tua domanda forse il leitmotiv scaturisce dal senso di frustrazione che deriva da uno dei Presidenti americani meno popolari che il nostro Paese abbia avuto, chiaramente non ne ha fatto cenni diretti ma questo è quello che io percepisco dalle sue parole e da quello che è il mio sentire. Detto ciò, non vorrei entrare in territori politici dove non mi sentirei perfettamente a mio agio.
Proseguendo la nostra chiacchierata, qual’è l’aspetto più stimolante di Metal Allegiance? Comporre? Stare in studio a registrare o trovarsi di fronte al mixing process? O molto più semplicemente trovare il momento giusto in cui tutti siano disponibili per incidere le proprie parti?
Io direi senza ombra di dubbio l’ultimo aspetto al quale hai accennato, la programmazione in questo contesto è basilare ed è uno scoglio non sempre facile da affrontare. Scrivere insieme o registrare è qualcosa di semplice, naturale ed anche bello da vivere…immagina però il lavoro che sta dietro alla programmazione per trovare il momento esatto in cui ognuno di noi sia libero da impegni, il che è veramente difficile ed arduo per chiunque! E questo vale sia per il discorso studio che quando si debba pensare a qualche live. Penso che per Mark Menghi questo lato del progetto sia un po’ frustrante mentre per me o Alex e Dave è tutto più semplice, cogliamo l’aspetto più ludico dello stare insieme suonando musica che ci piace.
Qual’è stato l’aspetto che ti ha gratificato maggiormente nel lavorare a ‘Power Drunk Majesty’?
Personalmente mi piace tantissimo potermi cimentare con il metal, solitamente sono solito suonare con realtà più dedite a sonorità classic rock piuttosto che prog, basti pensare ai The Winery Dogs, Flying Colors, Sons Of Apollo, The Neal Morse Band. Quindi per me è per certi versi gratificante suonare un genere che amo molto ma che per motivi professionali ho un pò trascurato, considera che lo faccio con musicisti che suonano in band come Slayer (Gary Holt), Anthrax (Charlie Benante), Testament, Megadeth e moltissimi altri, basterebbe conoscere i nomi dei musicisti coinvolti in studio piuttosto che live per esserne elettrizzati. Ciliegina sulla torta il fatto che siamo musicisti con legami di amicizia che non fanno altro che impreziosire ed esaltare un progetto come questo nato proprio con l’intento di divertirci suonando la musica con la quale siamo cresciuti.
Mike, in questi giorni sto leggendo un libro molto interessante sui Pink Floyd del quale sono accanito fan che verte sul ‘Making Of The Dark Side Of The Moon’, mi sono stupito leggere che fin dall’inizio della loro carriera negli anni sessanta una band come la loro dovesse suonare per tutto il Regno Unito, a volte coprendo distanze considerevoli da un giorno all’altro. Ecco, in un mercato odierno dove si vendono poche copie ‘fisiche’ dei dischi, ti sei persuaso che la dimensione live sia l’unica nuova ed allo stesso vecchia frontiera che ogni musicista deve perseguire?
Non posso darti torto, la situazione del music business è sotto gli occhi di tutti e quindi noi musicisti dobbiamo trovare il modo per far quadrare il cerchio, anche noi abbiamo vite normali fatte di mutuo e bollette da pagare. Ormai dischi se ne vendono pochissimi, le case discografiche stanno chiudendo o comunque quelle sul mercato tagliano drasticamente i budget destinati alle produzioni discografiche. Non ci sono molte altre scelte, vai in tour per poterti mantenere. Ma voglio essere franco con te, io sono un musicista fortunato perché riesco a suonare parecchio dal vivo ma posso assicurarti che ci sono tantissimi colleghi che pur andando anche in tour non riescono a guadagnare a tal punto da farne una professione. Il discorso ovviamente non vale per le band già affermate che hanno uno zoccolo duro di fans sparsi per il mondo, è qualcosa che fa riflettere e per certi versi mi impaurisce pensare alle situazioni in cui si trovano giovani band che spesso e volentieri comprano dei buy-on per poter andare in tour con la band x o y, comprano in poche parole il fatto di essere la band spalla come si diceva una volta. Sono grato al destino ed al mio duro lavoro fatto di trent’anni di esperienza in studio e venticinque on the road, ho un’audience che ringrazio e che in maniera fedele mi segue nei vari progetti e bands nelle quali sono di volta in volta coinvolto e lo stesso dicasi per gli altri musicisti coinvolti come Metal Allegiance. Ma pensa cosa potrebbe essere della band se non ci fossero coinvolti nomi con solide credenziali alle spalle? Sarebbe durissima anche per noi, te lo posso assicurare. Purtroppo il music business non versa in buona salute, nel metal il pubblico ti segue fedelmente e con affetto ma non si può dire la stessa cosa in altri contesti come per la pop music, le etichette sono concentrate sui talent shows che ti garantiscono per un limitato periodo di tempo della new sensation, fai un buon gruzzoletto di soldi grazie ai fans che hai ‘targettizzato’ per tempo e poi quando l’interesse per la band x inevitabilmente cala si passa alla band y senza investire sui giovani talenti. Questa è la parte triste della storia…
Mike, quali sono i tuoi piani per i prossimi mesi?
Come Metal Allegiance stiamo cercando di allestire degli spettacoli per così dire selezionati, ad esempio avremo in settembre un release party a New York così come saremo al Namm ad LA in gennaio 2019 dove faremo un live show. Come potrai immaginare è facile organizzare questi “one off shows” mentre è estremamente complicato pianificare e realizzare un tour che sia organico come qualsiasi tour che si rispetti. Forse riusciremo a fare qualcosa in Sud America in novembre ma ne stiamo ancora discutendo, fosse per noi suoneremo ovunque ma oggettivamente il nostro desiderio si scontra con la dura realtà fatta di innumerevoli impegni che vede ognuno di noi impegnati, non ti nascondo che mi piacerebbe un mondo poter portare Metal Allegiance in Europa, anche domani potessi ma anche l’ubicazione geografica non gioca a favore di questa idea, negli USA dove noi tutti viviamo è più facile avere la possibilità di organizzare qualcosa. Personalmente invece i mesi di settembre ed ottobre mi vedranno impegnato in tour con alcune date insieme ai Sons Of Apollo, ad esempio filmeremo lo spettacolo che faremo in Bulgaria perché abbiamo intenzione di pubblicare nel 2019 un live album. A breve dovrò inoltre andare a Nashville per registrare il prossimo album come The Neal Morse Band la cui uscita è programmata per l’inizio del 2019, in aggiunta settembre mi vedrà impegnato nella continuazione della lavorazione del terzo capitolo dei Flying Colors che speriamo di poter regalare al pubblico a fine 2019…mi aspettano mesi impegnativi! Come vedi gli impegni sono tantissimi, ho un programma che generalmente copre i sei o nove mesi successivi, a volte mi è capitato di avere già schedulato un intero anno in anticipo.
Mike, come fai con tutti questi impegni ad essere sempre lucido ed ispirato? Il tuo talento non si discute ma penso che sia difficile rendere al meglio in ogni band/progetto nel quale sei coinvolto….
Ti ringrazio del complimento ma non è così difficile, poiché ogni volta che mi metto al lavoro su un disco lo faccio per una band diversa e quindi anche le persone con le quali collaboro cambiano abbastanza frequentemente, tutto ciò mi permette di mantenere occhi ed orecchie aperte per essere concentrato. Oggi posso lavorare con Dave Ellefson ed Alex Skolnick mentre domani con Richie Kotzen e Billy Sheehan oppure con Jeff Scott Soto, Bumblefoot e Derek Sherinian: ogni situazione crea un’alchimia diversa, tutta sua e la mia creatività non può che trarne giovamento! Fossi nella stessa band con le stesse persone con questi ritmi, penso che non riuscirei né a star dietro a questa routine né sarei in grado a livello compositivo di trovare costantemente nuove idee. Penso che la mia carriera possa spiegare nel migliore dei modi il concetto.