Will ‘O’ Wisp – L’Ira Delle Divinità Ancestrali
Il 17/04/2018, di Giuseppe Cassatella.
I Will ‘O’ Wisp sono una delle più belle realtà della scena estrema italiana, nonostante questo, il loro nome rimane relegato nel più profondo underground. Il nuovo ‘Mot’ è un disco grandioso, che non ha nulla da invidiare alle più blasonate produzioni estere. Riuscirà l’antico dio mesopotamico, a cui il disco è dedicato, nell’impresa di rendere finalmente giustizia alla band genovese? Nell’attesa che si compia la volontà degli dei, abbiamo posto alcune domande a Paolo Puppo, il leader del gruppo ligure.
Benvenuto su Metal Hammer Italia, Paolo. Innanzitutto, complimenti per il nuovo album, ‘Mot’! Sembrano lontani i tempi del vostro lungo silenzio, durato ben 11 anni, tra ‘Unseen’ (2001) e ‘Kosmo’(2012). Ormai con puntualità svizzera sfornate un disco all’incirca ogni 3 anni: qual è il segreto di questa ritrovata prolificità artistica?
Ciao e grazie mille per averci voluto sulle vostre pagine! Beh, direi nessun segreto, ma semplicemente l’aver trovato e stabilizzato una formazione che potesse portare avanti la proposta musicale della band.
Il nuovo ‘Mot’ è il vostro tipico album, cioè uguale e diverso dai suoi predecessori. Credo che nella vostra discografia ci siano dei tratti comuni in tutti i dischi, però ogni tassello è differente dai suo predecessori. Secondo te, quali sono i caratteri imprescindibili e cosa differenzia l’ultima fatica dai quattro capitoli precedenti?
Mi fa piacere che tu abbia colto questo aspetto. La storia della band è come quella di tutti gli altri gruppi musicali fatta di capitoli che, in questo caso, coincidono con le uscite discografiche. Diciamo che trovo molto importante l’identità. Ogni band dovrebbe possedere un suo “marchio di fabbrica” un qualcosa che ti faccia pensare appena ascolti qualcosa: “ah questi sono i…”. Chiaramente ogni disco ha la sua identità. Nel nostro caso essa è sempre stata soggetta al concept trattato. La musica si è sempre messa al servizio di ciò che voleva raccontare. Ogni tematica ha le sue atmosfere e le sue onde per cui è normale che ogni lavoro tenda ad esplorare lati differenti. Nel caso di ‘Mot’ direi che ciò che lo differenzia dai precedenti lavori sia la maggior velocità e violenza unità ad un connubio di atmosfere epiche ed oscure che, a mio avviso, non erano presenti nei lavori precedenti.
Già che ci siamo, ci descriveresti velocemente i quattro dischi precedenti?
‘Enchiridion’ fu il nostro esordio, credo risenta della psichedelia e di un certo lato dark da cui provenivamo almeno come primissima proposta musicale. ‘Unseen’ fu in un certo senso la naturale evoluzione, avvicinandosi maggiormente a sonorità metal, pur mantenendo un suo lato piuttosto onirico.
‘Kosmo’ fu l’album della rinascita, e volse la sua musicalità verso sonorità nettamente techincal death metal, pur mantenendo al contempo il lato progressive che è nato con la band. ‘Inusto’ spinse quell’aspetto progressivo ancora un passo avanti al contempo intricando le soluzioni tecniche. ‘Mot’, a mio avviso, espande ‘Inusto’ dal punto di vista prettamente più death. Abbiamo suonato molto più velocemente rispetto al passato amplificando allo stesso momento una certa teatralità.
Te lo chiedo da fan, come ti spieghi che, nonostante l’altissima qualità della vostra discografia, non avete mai superato lo status di cult band?
Credo che dipenda essenzialmente da un fattore: l’aver deciso molto tempo fa di non esibirci live. Questo, all’interno di una proposta comunque di nicchia, limita ancora di più la tua visibilità, e se unisci a ciò il fatto che oggi i dischi si vendono poco o nulla, ecco, direi che il quadro è completo.
Torniamo alla stretta attualità, di cosa parla il concept di ‘Mot’?
‘Mot’ tratta essenzialmente di alcune tematiche legate all’ira e alla punizione divina, alla radiazione canaanita dei Rephaim con qualche lieve puntata nella fantasia storica, comunque legata a tematiche storiche archeologiche dell’area mesopotamica.
Non è la prima volta che vi cimentate con un concept album, come mai questa forma di composizione vi attira così tanto?
Perché vedo un disco come un organismo vivo, fatto di parti (ossia, in questo caso, canzoni) ma comunque unitario. Un disco per me deve avere una tematica di fondo, il che sottintende un lavoro lirico e musicale coeso e dunque finalizzato a raccontare una storia o vari aspetti di una storia. Trovo che avere un filo conduttore renda il lavoro quasi magico.
Quali sono i pezzi che maggiormente rappresentano il disco e credi che alcuni di essi potranno diventare dei singoli?
Non è semplice rispondere perché ogni brano dona qualcosa, ma se proprio dovessi scegliere ti citerei ‘Hall Of Dead Kings’, ‘Banquet Of Eternity’, ‘Rephaim’ e ‘MLKM’.
Cospicuo il numero degli ospiti. Come sono nate queste collaborazioni e perché avete preferito dei musicisti in carne ed ossa a dei synth?
Le collaborazioni nascono da amicizie personali e contatti nel mondo artistico genovese e non solo che il sottoscritto ha coltivato e sviluppato negli anni. Abbiamo preferito avere strumenti veri perchè molti di essi non sono minimamente paragonabili come resa sonora agli analoghi di sintesi. Pensa ad esempio al flauto. Un flauto synth è orribile e così un violino o una viola.
Credi che la complessità dell’album vi renderà difficoltoso riproporre i brani dal vivo?
Non più di tanto. Dovessimo mai portarlo dal vivo basterebbe arruolare un tastierista, visto che su ‘Mot’, come del resto sui nostri precedenti, le tastiere le suona Oinos.
Avete scelto un concept inerente a terre lontane, ma credi che il vostro essere genovesi in qualche modo vi abbia influenzato? E come ti spieghi il numero di musicisti di alto livello, anche di generi differenti, sfornato dalla tua città?
No, sinceramente non credo che la nostra provenienza possa aver in qualche modo influenzato la scelta delle nostre tematiche, per quanto in effetti Genova abbia una lunga tradizione di viaggio e commerci verso terre lontane. Per quanto riguarda la qualità della scena musicale genovese ritengo che essa sia molto valida ma paragonabile a quella di altre realtà, se ci pensi ogni città vanta musicisti di alto livello.
Rimanendo in tema, hai visto la mini serie su De André, i giudizi non sono stati unanimi, tu che idea ti sei fatto?
Sinceramente vorrei poterti rispondere, ma non possedendo TV dal 1995 e non seguendo nessun canale televisivo, neppure online, non la ho minimamente veduta.
Possiamo considerare ‘Mot’ un disco cinematografico?
Sotto certi aspetti direi di sì. È un disco a tratti teatrale e sinfonico con una grande carica di pathos per cui direi che l’accostamento è del tutto pertinente.
Ti ringrazio, a te la chiusura.
Desideravo ringraziarti per averci dato la possibilità di poter parlare sulle vostre pagine e al contempo desideriamo salutare tutti i vostri lettori. Un invito è quello di ascoltarci ed in caso di acquistare ‘Mot’. Se oggi la musica di nicchia, ma direi non solo, sta morendo è perché i dischi non si vendono più. Una band ha bisogno di un supporto economico per poter continuare a produrre.