Necrodeath – Il Ritorno Dei Non Morti
Il 11/03/2018, di Giuseppe Cassatella.
Dopo una fase caratterizzata da album interlocutori, che mostravano un gruppo in una situazione di stanca compositiva, e un disco atipico come il buon ‘Idiosyncrasy’, i Necrodeath da qualche anno scoppiano di salute. Già con il precedente ‘The 7 Deadly Sins’ avevano mostrato una ritrovata vena creativa che andava a ripescare quelle caratteristiche stilistiche che ci avevano fatto amare i genovesi, ma è con il nuovo ‘The Age of Dead Christ’ che Peso e compagni piazzano un colpo mortale, degno erede dei capolavori passati! Abbiamo rintracciato la band per quella che è diventata un’intervista corale con tutti e quattro membri della band.
Benvenuti su Metal Hammer Italia, complimenti per ‘The Age of Dead Christ’, credo che sia il vostro migliore disco da anni, degno di ‘Mater of All Evil’ e ‘Black As Pitch’, senza voler scomodare i vostri primi due capolavori degli anni 80. Questo disco conferma la tendenza già evidente in ‘The 7 Deadly Sins’ di un sostanziale ritorno alle origini all’indomani della pubblicazione di in disco atipico come ‘Idiosyncrasy’. Qual è stata la molla che vi ha fatto fare questo balzo indietro nel tempo?
PIER: Grazie mille per l’intervista. Era un pò di tempo che dal vivo, anche in occasione del trentennale di ‘Into The Macabre’, suonavamo tanti brani dei primi album, nello stesso tempo dopo ‘Idiosyncrasy’, che riteniamo per molti aspetti un gran disco, avevamo voglia di ricreare qualcosa assieme, nel senso jammando in sala prove e scrivendo brani nella maniera più semplice, a differenza dei tempi moderni dove ci si scambiano file via email, escludendo a priori l’alchimia che nasce dal lavoro di band. Da qui abbiamo voluto andare oltre, eliminando metronomi, trigger, e tutto ciò che caratterizza la “freddezza” e la “perfezione” degli album di oggi.
Direi che il recupero della vostra storia passa anche dall’aspetto grafico, non mi riferisco solo alla scarna e ruvida copertina, ma soprattutto al recupero del vostro vecchio logo…
PESO: Il tutto è iniziato facendo un po’ di ordine e un po’ di polvere, si ogni tanto capita anche a me, alle mie vecchie cassette, e l’occhio mi è caduto sul vecchio demo degli Hellhammer ‘Triumph of Death’. Quella semplicità nell’eseguire la cover, ma allo stesso tempo quell’intensità nell’esprimere il concetto con quell’omino impiccato, ancora oggi mi emoziona e mi colpisce… Da li l’idea di dire ai ragazzi: “Facciamo un disco che puzzi di vecchio, un disco retro, un ritorno alle origini sotto tutti i punti di vista, da quello musicale a quello grafico”. Tutti hanno accettato con entusiasmo e proprio per partire col piede giusto abbiamo ripreso a jammare in sala prove col microfono aperto che registra tutto, come facevamo un tempo.
Essere una delle band metal più longeve in Italia in qualche modo vi fa sentire “responsabili’ nei confronti dell’intero movimento?
GL: Beh, dopo tanti anni ti senti solo vecchio! Non ci sentiamo responsabili di nessun movimento, ma ne facciamo parte tanto quanto le persone che scrivono e ascoltano questo genere musicale: quindi non mi sento in una posizione privilegiata o di responsabilità nei confronti di una scena musicale, ma sicuramente abbiamo contribuito, anche attraverso la nostra musica e i concerti, a mantenere vivo il metal estremo Italiano. Ci fa piacere sapere che altre band si sono formate o traggono ispirazione grazie ai nostri dischi, ma lo stesso è stato per noi con chi ci ha ispirato in passato, infatti ascoltando il nostro nuovo album potrai capire quanto il nostro background musicale sia sempre dentro di noi e non lo rinneghiamo affatto, anzi, proprio nel 2018 usciamo con un album che ricorda gli anni 80/90.
Avete esordito ai tempi del vinile e vi ritrovate a pubblicare un disco nuovo dopo più di tre decadi con il ritorno in auge di questo supporto, credete che possa passare da qui la salvezza della discografia intesa nel senso più tradizionale?
PIER: Per noi che abbiamo vissuto il periodo d’oro del vinile, questo rimane senza dubbio un oggetto affascinante e con un suono caratteristico che non trovi in nessuna riproduzione digitale moderna. Per quanto riguarda il mercato, se così lo vogliamo ancora chiamare, indubbiamente ha un certo valore soprattutto per le band come noi che sono nate negli anni 80. Noi cerchiamo di non mollare il passato ma nello stesso tempo guardiamo al presente e al futuro per cui fortunatamente riusciamo a pubblicare sia il cd, sia il vinile, sia tutte le piattaforme digitali…
Rimanendo in tema di industria discografica, come sono andate le vendite del progetto Mondoscuro che vi vedeva coinvolti con i Cadaveria?
GL: Il progetto Mondoscuro è stato un esperimento/sodalizio tra le due band di cui io e Flegias facciamo parte. Nel 2016 abbiamo deciso di pubblicare uno split EP con sei tracce con due inediti, due cover e due brani di entrambe le band reinterpretati alla propria maniera, quindi in versione Necrodeath e Cadaveria. Se mi chiedi quante copie abbiamo venduto sinceramente non lo so, non ho il controllo delle vendite e non sai mai quanto venderai realmente. Ovviamente essendo un prodotto così particolare e comunque un EP di sei brani, le vendite sono indubbiamente limitate e non siamo di certo diventati ricchi!
Torniamo al nuovo album, il titolo potrebbe apparire come uno dei più blasfemi della vostra carriera, ma in realtà ha anche un risvolto legato all’età anagrafica della band, che lo rende meno serioso. C’è anche dell’ironia nella sua scelta?
PESO: Capisco l’irriverenza, ma parlare di blasfemia mi sembra eccessivo. L’idea parte dal sottolineare i nostri 33 anni di carriera, per cui intitolando l’album con la presunta età della morte di Cristo è chiaro che il numero 33 ti viene in mente. Ecco perché il conseguente minutaggio totale di 33 minuti (‘Reing In Blood’ docet) ed ecco perché i brani sono 9 (numero ottenuto moltiplicando 3 x 3)
Il disco ha delle sonorità molto pesanti, in pieno stile black\thrash, però paradossalmente il brano stilisticamente più eterogeneo è la title track. Come ma questa scelta così particolare?
PESO: Dopo un treno in faccia che ti arriva per tutto il minutaggio precedente, alla fine vogliamo far rilassare le orecchie dell’ascoltatore con un pezzo dark e psichedelico a mio avviso, rallentando l’andamento, dove Pier sfoggia la sua abilita sulle sei corde, con quello che considero l’assolo più bello dell’album. Nel pezzo abbiamo lavorato usando accordi minori, spostati di semitoni, dando cosi a chi ascolta un senso di disagio. In altre canzoni anche in passato abbiamo fatto uso anche del tritono. Questo intervallo è una delle dissonanze più forti della scala diatonica per il nostro orecchio, tanto che anche lì la chiesa ebbe da dire nel medioevo, chiamandolo addirittura “diabulus in musica” (gli Slayer lo sanno bene) e accusando di eresia tutti i musicisti che nelle loro composizioni lo introducevano, con le conseguenze che tutto ormai sappiamo.
Il Cristo morto mi riporta al celeberrimo ‘Dio è morto’. Senza scomodare Nietzsche, più prosaicamente chiamo in causa il ‘God Is Dead’ dei Black Sabbath, band a cui avete reso tributo in passato. Il gruppo di Birmingham ha detto basta, la line up originale dei Motorhead è passata a miglior vita: è finita un epoca?
GL: Purtroppo si deve far conto con gli anni che passano e parecchi musicisti hanno deciso di ultimare la loro carriera, mentre altri sono purtroppo andati altrove. Miti assoluti come Lemmy e il nostro caro Hanneman sono insostituibili, quindi per certi versi si, è finita un’epoca e credo sia inevitabile un cambio generazionale, anche perché calcare certi palchi a 70 anni non è da tutti. Io condivido la scelta di alcuni gruppi come Black Sabbath o ultimamente anche Slayer, nel voler chiudere la loro carriera celebrando un tour di addio per i fans e ritirarsi dalle scene, sicuramente conserverò il ricordo dei concerti in cui erano in gran forma e non smetterò mai di ascoltare i loro dischi.
Tutti i titoli dei brani iniziano con ‘The’, come mai?
PESO: Nulla di speciale, un semplice vezzo stilistico per incuriosire e per dare omogeneità alla track-list
Tra le varie tracce spicca ‘The Return Of The Undead’, lo dobbiamo ritenere un brano autocelebrativo?
PIER: L’idea è nata perché da un po’ di tempo abbiamo rimesso il brano nella scaletta live. Siccome spesso è capitato di avere come special guest sul palco A.C.Wild dei Bulldozer, ci è venuta l’idea di riportare questa collaborazione in studio, dando una veste più nuova al brano.
FLEGIAS: A.C. Wild aveva già collaborato in passato con noi, infatti, lo puoi trovare anche sulla nuova versione di ‘Mater Tenebrarum’ nel nostro disco di cover ‘Old Skull’. Questo dimostra il grande affiatamento tra Necrodeath e Bulldozer. Non siamo nuovi a operazioni di “autocelebrazione”, se così vogliamo chiamarle, puoi trovare diversi rifacimenti nella nostra discografia, cito ad esempio ‘Iconoclast’ del primo demo tape presente su ‘Mater of All Evil’, ‘Sacrifice 2k1’ (ovvero la versione di ‘Eucaristical Sacrifice’) in ‘Black As Pitch’, e via dicendo. Ci piace ogni tanto ripescare vecchi cavalli di battaglia e proporli sotto una luce nuova anche per dimostrare quanto siano attuali brani scritti una trentina d’anni fa.
Avete già scelto i nuovi brani che finiranno nelle vostre prossime scalette dei vostri live?
GL: Certamente! Per le nuove date previste per il 2018 abbiamo rivisitato il nostro set live aggiungendo nuovi brani tratti da ‘The Age of Dead Christ’ e un pezzo tratto da ‘Fragments of Insanity’, oltre ai nostri soliti cavalli di battaglia. Sono soddisfatto della nuova scaletta live perché ha un bel tiro e non vedo l’ora di suonarla dal vivo.
In questo disco avete sostanzialmente abbandonato l’uso della lingua italiana, che invece era presente in modo importante nel lavoro precedente. Si è trattato sin dall’inizio di una scelta estemporanea o possiamo parlare di esperimento fallito?
GL: Assolutamente no! Nel precedente album ‘The 7 Deadly Sins’ avevamo utilizzato molto di più l’italiano per i testi rispetto ad altri lavori, per una scelta stilistica dettata dal momento storico in cui lo avevamo concepito, non lo reputo quindi un esperimento, lo volevamo scrivere così. Per fortuna siamo una band che non ha vincoli o imposizioni da parte della casa discografica, quindi ci sentiamo liberi di scrivere quello che vogliamo e se pensiamo che la canzone funzioni meglio con un testo in italiano, inglese o latino lo facciamo, senza preoccuparci di come potrà essere recepita dagli altri o se venderà di più o meno.
La vostra attuale line-up è ormai assestata da anni, qual è il segreto di questo matrimonio durevole?
PESO: Frequentarci il meno possibile (ride, ndr.). Scherzi a parte, diciamo che i 20 giorni di tour con i Marduk in giro per l’Europa 10 anni fa ci hanno forgiato; la situazione era piuttosto estrema e noi viaggiavamo al seguito con il camper in sei con la strumentazione, per cui spazi ristrettissimi. Potevamo anche mandarci a quel paese alla fine di quella sfaticata, invece ci siamo rafforzati e ne siamo usciti più uniti di prima e abbiamo imparato a conoscerci meglio, scoprendo definitivamente pregi e difetti di ognuno. A volte ci vuole molta pazienza con me e con Flegias che siamo quelli con il carattere forse più spigoloso, ma a volte è uno spasso totale, dove riusciamo a divertirci anche per piccole cazzate. Resta di fatto che se tra di noi continuerà ad essere un buon feeling, continueremo a fare buona musica e a divertirci nel farla!
Direi di concludere facendo l’ultimo riferimento al passato, per molti i capolavori dei Necrodeath sono i primi due album. Di solito sono quelli citati quando si parla di voi. Eppure dal vostro ritorno nel 1999 avete inciso una decina di dischi. Credete che a questa seconda parte della vostra carriera non venga attribuita la giusta importanza e che sia ingiustamente messa in ombra dai Necredeath pre-split?
FLEGIAS: È normale che un gruppo venga sempre associato ai primi lavori discografici, è una cosa che faccio spesso anch’io. Si tratta di sentimentalismi che ti legano a quel momento storico in cui scoprivi una nuova band e ti innamoravi del loro sound: lo assocerai sempre a quei dischi. La condanna dei gruppi con un minimo di storia, rimarrà sempre legata alle loro origini. Tu puoi fare il disco più bello del mondo, tanto la gente continuerà a dire “sì, ma non è come il loro primo”. È una condizione che accettiamo consapevolmente e anzi, ci sprona a fare sempre meglio. Senza nulla togliere ai primi due lavori (dischi che ho amato follemente, fino a consumare la puntina del mio stereo), sono convinto che se nel 1985 fossimo usciti con album come ‘Mater of All Evil’ o ‘Black as Pitch’ le reazioni sarebbero state le stesse. Anzi, magari oggi suoneremmo in compagnia di Metallica o Slayer!