Corrosion Of Conformity – Croce e Delizia
Il 20/01/2018, di Barbara Volpi.
I Corrosion Of Conformity sono tornati nella formazione originaria con Pepper Keenan ed hanno partorito ‘No Cross No Crown’, un album che segna una forma splendida. Pepper è riuscito finalmente a sganciarsi dagli impegni con i Down per riunirsi con i vecchi compagni di merende e, nel mentre, ha persino trovato il tempo di scambiare quattro chiacchiere con noi.
Come hai deciso di tornare a fare un album con la tua vecchia band?
È avvenuto in modo piuttosto naturale. Noi non abbiamo mai perso i contatti; non sono tornato con loro prima perché ero impegnato con i Down. Alla fine siamo riusciti a trovare una sincronia e ci siamo messi a lavorare al nuovo album. Non appena abbiamo iniziato l’alchimia tra noi è scoccata come al solito subito, ed il processo creativo si è svolto in modo molto spontaneo e naturale, anche perché la cosa migliore è quella di non cercare mai di controllarlo. Non bisogna mai avere paura di inforcare differenti direzioni. Abbiamo esplorato e sperimentato fino a che non ci siamo sentiti rappresentati dai brani che avevamo partorito. In generale definirei questo disco grezzo e diversificato.
Avete fatto un album pieno di energia e forza, come se il passare del tempo avesse solamente rinvigorito i COC. Dove avete trovato ancora così tanta ispirazione e passione?
Il fatto di trovarci di nuovo tra noi, a lavorare insieme con il nostro amico e produttore John Custer, ci ha riempiti di entusiasmo. Inoltre la maturità ci aiuta ad interleggere la realtà che ci circonda secondo una prospettiva diversa, e ciò che vediamo nel mondo non ci piace affatto. La rabbia che proviamo la buttiamo nella musica e questo è terapeutico, perché ci aiuta a mantenere un approccio equilibrato con l’esistenza. Non volevamo fare un disco banale, un disco da reunion per intenderci, per cui ci siamo trovati quando abbiamo sentito di avere qualcosa da dire e pensavamo di poterlo dire bene, nei nostri termini.
La tua esperienza nei Down è stata incanalata nel nuovo album?
Ogni esperienza professionale e di vita va a confluire nelle canzoni, quindi anche quella con i Down. Più passa il tempo, più bisogna avere la capacità di mantenersi umili e curiosi di fronte alla magia della musica; allora l’ispirazione arriva e non è mai uguale a se stessa, perché tiene conto di tutto il vissuto.
Quale differenza esiste per te personalmente tra il suonare con l’una o l’altra band?
Non esiste un meglio o un peggio, in quanto suonare con i Down o con i COC sono semplicemente due esperienze diverse. La personalità di una band e la sua musica scaturiscono dall’unione particolare dei singoli membri, è una sorta di magia che non si può spiegare a parole. Tra me, Woody e Mike c’è una forma di energia, tra me, Phil Anselmo e Jimmy Bower ce ne è un’altra. Ciò che ci accomuna è l’amore per la musica e anche la voglia di divertirci mentre la facciamo. Io ho due ruoli diversi nei due gruppi, che sono tutti e due importanti, nonché complementari.
Da dove arriva il titolo ‘No Cross No Crown’?
Ci siamo trovati a suonare in una chiesa sconsacrata del 1600 in Inghilterra con delle immagini alle finestre rappresentanti delle persecuzioni, e in una di queste sotto c’era scritto: ‘No Cross No Crown’. Ho pensato che fosse un concetto interessante, ed esso mi ritornò in mente quando si trattò di scrivere le liriche e di dare un titolo all’album. Penso che al mondo ci siano sempre troppe persone giudicate in base al credo religioso, alla razza e così via, come se l’universo invece di andare avanti fosse tornato indietro.
Dunque esso si può considerare un concept album?
Non esattamente. Anche se il tema del disco è alquanto uniforme, ogni canzone è stata registrata come un episodio a se stante e ha sviluppato la sua propria personalità. Ogni brano è stato assecondato nell’identità che peculiarmente manifestava e solamente alla fine abbiamo cercato di rendere il tutto omogeneo. Non è stato un processo studiato a tavolino perché si è svolto spontaneamente.
Dove avete registrato?
Nel North Carolina in uno studio di registrazione molto lo-fi. Io e Woody ci siamo messi alla chitarra solamente con due amplificatori e ci siamo accinti a sperimentare con varie tonalità. Siccome lo studio non era di quelli di ultima generazione e alla moda, ci siamo potuti permettere di registrare i brani nell’arco di un anno, con delle pause ovviamente, scrivendo le canzoni in loco. Ci piace pensare che sia la musica che le liriche si esprimano come un flusso nel quale devi sapere entrare in modo anche piuttosto compulsivo per poterlo poi manifestare in suono. Abbiamo missato il disco a Vancouver con Mike Fraser, che si è rivelato da subito molto disponibile nei nostri confronti.
John Custer è il vostro produttore di fiducia. Quale è il suo valore aggiunto?
Egli ci conosce bene e sa sempre condurci dove vogliamo andare. In più con lui ci sentiamo al sicuro e quindi non abbiamo paura di oltrepassare i nostro confini, poiché sappiamo che comunque sarà in grado di contenerci stabilendo il perimetro giusto.
Perché avete messo così tanti interludi tra una canzone e l’altra?
E’ una nostra caratteristica ed è un modo per decomprimere la tensione.
L’essere tornato alla tua band di origine ti ha aiutato a rimettere la tua storia personale e professionale in prospettiva?
Mi ha fatto rendere conto che tutto passa velocemente, che sto invecchiando e che dunque non c’è tempo da perdere dietro a cose inutili, futili o negative. Ho imparato, ad esempio, che è importante dire la verità perché ci sono fin troppe falsità in giro, che bisogna godersi la vita in ogni momento e dare ad essa un senso, perché passa in un battibaleno. Inoltre per me è un valore che gli altri possano fidarsi di me.
Cosa senti di avere imparato in tutti questi anni?
Ho imparato che il music-business ha delle dinamiche anche piuttosto ridicole e che quindi non bisogna mai prendersi troppo sul serio. Cercare di tenere sempre tutto sotto controllo riguardo alla carriera porta alla pazzia; piuttosto è bene saper assecondare gli eventi senza pretendere di dominarli in toto.
Negli ultimi tempi molti musicisti importanti sono morti, mentre molti altri sono tornati sulle scene grazie a delle reunion. C’è chi va c’è chi viene.
Se un musicista conosce la fama e si attacca troppo al suo ruolo perdendo di vista i parametri di una vita normale, quando il successo cala si sente distrutto e allora fa ricorso a varie sostanze per sentirsi meglio. La popolarità ti tiene in vita, ma se non la sai gestire ti può anche uccidere. È importante conservare i piedi sempre ben saldi a terra, soprattutto quando tutto va bene e vieni osannato. Io ho sempre vissuto la mia carriera giorno per giorno, ed onestamente mi ritengo fortunato di poter essere arrivato fino a qua. Comunque alla fine resterà sempre e soltanto la musica. Essa è la vera giudice immortale che regge allo scorrere del tempo. Sono contento che siano rimasti molti begli album del passato da fare ascoltare a mia figlia.
Hai ancora in cantiere di fare un disco con tuo padre?
Mi piacerebbe molto, ma non trovo mai il tempo. È come per il ritorno con i COC: non è che non volessi, è che avevo sempre altri impegni.
Come vedi gli Stati Uniti di oggi che grazie a Trump sono molto discussi?
Ovviamente vivendo lì ne risento, perché sento sempre solo parlare di guerre, bombe e altre stupidaggini. Non vorrei apparire un vecchio hippie a dire ciò, ma sogno un mondo dove le persone possano vivere in pace ed essere solidali le une con le altre. In ‘The Luddite’ parlo di una tecnologia che sta soppiantando ogni aspetto umano diventando una sorta di divinità. Gli esseri umani hanno bisogno di trovare un nuovo dio (‘Novus Deus’). Non sono un grande fan delle nuove tecnologie, perché ritengo che esse disconnettano l’uomo dalla comunicazione vera; in più dietro alla protezione della tastiera molti rivelano il peggio di sé. Io amo ancora poter guardare le persone negli occhi.
Quale è stato il primo disco che hai comprato?
Era ‘Houses Of The Holy’ dei Led Zeppelin, mi sembra addirittura che fosse una cassetta.
E oggi cosa ascolti?
Continuo ad ascoltare i Led Zeppelin, tantissimo gli ZZ Top, insomma tutta roba vecchia. Quando però sono in fase di scrittura dei pezzi non ascolto nulla perché voglio rimanere concentrato su ciò che sto facendo senza influenze esterne.
Ti piace essere nuovamente il frontman quando suoni dal vivo?
Sì, mi piace. Ad ogni modo il nostro più grande goal è stato quello di sfornare questo disco, il resto è una conseguenza.