Mr Big – Sconfiggere La Gravità
Il 07/12/2017, di Andrea Schwarz.
Emozioni, a fior di pelle. Tante, nel preparare la chiacchierata con Mr Paul Gilbert ed in prossimità dell’intervista in attesa che squillasse il telefono. Pronto? Sono Paul Gilbert, attimi di semi panico ma come accadde per l’intervista con Billy Sheehan di qualche mese fa è stato lo stesso musicista a mettere a proprio agio il sottoscritto in maniera naturale, spontanea. E ne è nata una chiacchierata molto interessante…..
Tra non molto ‘Defiying Gravity’ sarà ufficialmente disponibile per i tanti che come il sottoscritto aspettano con ansia ogni uscita discografica con quel monicker che tanto ha rappresentato nel panorama musicale degli ultimi trent’anni.
Paul, trovo che ‘Defying Gravity’ sia un album che fin dal primo ascolto lascia perplessi per quanto concerne la produzione ma che allo stesso tempo fa gioire grazie ad un ispirato songwriting dove le parti vocali e gli arrangiamenti sono stati curati fin nei minimi dettagli. Forse ci troviamo di fronte al meglio della vostra recente discografia, sei d’accordo?
“Quando mi accingo a lavorare ad un nuovo disco mi sono imposto una regola fondamentale, quella che esige il fatto che io possa divertirmi e trovare soddisfazione in quello che faccio. Mi sono altresì imposto che ogni volta in cui mi butto a capofitto in un nuovo progetto io debba lavorare duramente per raggiungere il miglior risultato possibile. Tutto ciò implica il fatto di poter andare oltre i propri limiti, essere quasi esausti nel fare determinate cose. Ecco, può sembrare un qualcosa di negativo ma se aggiungi invece la volontà di divertirti quello che fai acquista un altro tono, certamente positivo. La musica può sembrare la più darkeggiante del mondo ma se nel working process mi sono divertito a farlo ha un non so che di positivo no? Ogni musicista cerca di esprimere se stesso cercando il modo di trasmettere emozioni al proprio pubblico che a sua volta raccoglie e percepisce tutto ciò in maniera del tutto personale, secondo il proprio vissuto. Questa volta tutto si è svolto in maniera fluida, naturale, spontanea senza preconcetti o programmi particolari da seguire.”
Lo scorso novembre (2016) feci un’intervista a Billy Sheehan a margine di un clinic show e la sua risposta su un possibile nuovo cd dei Mr Big fu molto vaga, quasi come se fosse tutto in alto mare. Ed ora, a distanza di otto mesi ci troviamo di fronte ad un nuovo capitolo della saga. Come siete riusciti in così poco tempo a lavorare e produrre un nuovo album? Da dove è nata la scintilla?
“Il nostro manager ha svolto un ruolo fondamentale, oggigiorno abbiamo un sacco di side projects nonché mille partecipazioni in altre bands ma è più interessante lavorare adesso come Mr Big piuttosto che all’inizio della nostra carriera quando eravamo concentrati al 100% solo ai Mr Big. Non è facile, lo ammetto ma abbiamo cercato tra i nostri più svariati impegni un momento in cui tutti noi avremmo potuto essere in una stessa stanza per pensare e registrare insieme, questo è il modo di lavorare che prediligiamo. Sai, con il precedente ‘The Stories We Could Tell’ abbiamo lavorato per così dire a ‘pezzi’, prima uno strumento in uno studio, un’altra parte in un altro e così via. Adesso invece è stato un lavoro di squadra, molto live e penso che i risultati siano più apprezzabili, è stato più facile!”
Dalle tue parole e dal tuo tono di voce traspare la gioia e la soddisfazione nell’aver lavorato a questo disco, tante le idee prima di entrare in studio, quasi l’imbarazzo della scelta. Mi domando se sia stato più difficoltosa questa fase oppure quella di metterle insieme in maniera organica e convincente…
“Come è nostro solito abbiamo lavorato tantissimo in fase di preproduzione, sappiamo ormai fin da subito quanto possa funzionare e quanto invece no. Le idee musicali normalmente partono da me, Billy e Pat, inviamo il tutto ad Eric che riesce a completarle in maniera esemplare. Diciamo che una settimana prima di entrare in studio ho sentito il panico assalirmi perché dovevo ancora terminare cinque o sei brani ma come spesso mi succede, anche negli altri progetti nei quali sono coinvolto, le idee migliori mi vengono la notte prima dell’inizio delle sessioni di registrazione ehe ehe! Non è che sotto stress io riesca a lavorare meglio, semplicemente quando si avvicina il fatidico momento tutto si fa più reale, l’eccitazione cresce e l’adrenalina comincia a scorrere. Grazie alle moderne tecnologie puoi anche impiegare un anno per registrare un album ma il risultato è più artificioso, nella musica come nel quotidiano ciò che non è programmato è più ispirato. Nel nostro caso essere tutti nella stessa stanza è un valore aggiunto. Chi può comporre e suonare le parti di basso meglio di Billy (Sheehan)? Se ti trovi insieme in una stanza puoi ottimizzare questi aspetti, puoi lavorare insieme agli arrangiamenti ed in maniera più efficace oltre che più velocemente rispetto allo scambiarsi file da un capo all’altro degli States.”
Stupisce da un punto di vista esterno vedere come Mike Starr abbia fornito un’ottima prova dietro le pelli senza coprire il fondamentale ruolo di Pat Torpey che nonostante la sua malattia è parte integrante della band, come se questa non fosse solamente tale ma una vera famiglia prima di tutto.
“Pat è parte integrante dei Mr Big, il suo apporto è fondamentale. Sai, realizzare un disco non significa solo suonare le proprie parti ma presuppone fare delle scelte, portare a compimento gli arrangiamenti. Ed in questo Pat è una risorsa imprescindibile. Fin dall’inizio volevamo che l’album suonasse come se fosse lui dietro al drum kit, penso che ci siamo pienamente riusciti grazie al suo lavoro: ha lavorato alla produzione, ha fatto tanto per la scelta dei suoni della batteria. Non trascuriamo il fatto che lui sia il maggiore e migliore tra noi quattro nell’arrangiare sia le melodie vocali sia i cori…le armonizzazioni vocali sono state fin dagli esordi il nostro tratto distintivo che non vogliamo perdere, parlo da chitarrista e devo ammettere che mi diverto tantissimo nel cantare i cori dei vecchi come dei nuovi pezzi, sono aiutato dal fatto che Pat, Billy ed Eric non sono secondi a nessuno in questo! Mi fa piacere che all’esterno certe cose si notino, siamo passati attraverso moltissime esperienze in questi anni che abbiamo cercato di sintetizzare nel brano ‘1992’, ci sono stati momenti che ci hanno fatto crescere, sempre con la musica come passione principale, la nostra scelta di vita. La malattia di Pat senza dubbio è stata qualcosa che ci ha legato più che disunirci, è capitato a lui ma poteva capitare ad ognuno di noi. Cosa avrei fatto io al suo posto? Per lui è una sfida a livello fisico quanto mentale, non è banale. Siamo cresciuti, queste sono cose importanti che non vanno trascurate. Non importa se Pat avrà il 70% o il 50% od il 5% di capacità fisiche, lui sarà sempre con noi sia in studio quanto dal vivo se e quando si sentirà bene abbastanza dall’essere con noi su di un palco.”
Ascoltando brani come ‘Meant To Be’ o la già citata ‘1992′ si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad uno stile compositivo che riporta alla mente dischi come ‘Leant Into It’ e ‘Bump Ahead’ con quei duetti mozzafiato chitarra / basso…frutto di una programmazione a tavolino?
“Non c’è niente di programmato, te lo assicuro. Ad esempio con ‘1992′ ho cominciato a pensare al titolo, poi è venuto fuori il chorus con una chitarra acustica, ricordo che quel momento l’ho immortalato con una foto sul mio profilo Instagram. Poi ho composto il resto, come chitarrista si pensa che i guitar solos o le parti di chitarra siano le prime ad essere scritte ma non è così: la melodia è il motore per tutto il resto!”
Paul, mi viene un dubbio: ti senti più gratificato come songwriter piuttosto che come chitarrista, seppure dal grandissimo talento?
“È una splendida situazione, trovarsi nella condizione di pensare a quale ‘ruolo’ mi gratifichi maggiormente come musicista. Non saprei così su due piedi, è divertente pensare che ho iniziato la mia carriera come chitarrista heavy metal nei Racer X mentre quando ero bambino i miei idoli erano i Beatles e la pop music. Poi sono arrivati i Led Zeppelin, Deep Purple, Judas Priest, Randy Rhoads ed i Van Halen ed allora quelli erano i miei modelli giovanili che ho amato assai. Credo che ogni musicista prima o poi torni alle proprie origini, è un percorso naturale che ti porti dentro, ho composto un pezzo come ‘Be Kind’ influenzato dal blues e da musicisti come Ray Charles. Oggi nel metal ci sono troppi generi e sottogeneri che mi sono perso, è un metal differente da quello che ha accompagnato la mia giovinezza e che ho amato follemente. Ho ascoltato anche cose più recenti che ho apprezzato come i Meshuggah ma quando sono sul bus con le mie cuffie non è quello che ascolto solitamente. Ed alle volte mi sento un pesce fuor d’acqua quando fuori dai nostri live shows senti ancora così tanto metal dagli speakers delle auto parcheggiate di fronte ai locali dove suoniamo. Niente di sbagliato, non mi si fraintenda. Son cambiato io ma penso che succeda a tutti prima o poi!”
I Mr Big sono stati lanciati tra il grande pubblico grazie ad un brano come ‘To Be With You’, forse un brano che al tempo stesso vi ha limitato costringendovi quasi ad essere prigionieri di un cliché dal quale difficilmente potersi sottrarre. Senti tua questa mia per così dire preoccupazione?
“No, assolutamente. Ho amato ed amo quel brano che mi ha aperto le porte al mio più grande sogno: avere successo come i Beatles ehe ehe! È un pezzo dalle grandi armonie vocali, un po’ sixties pop con quelle sue chitarre acustiche. Allo stesso tempo un brano come ‘Addicted To That Rush’ invece mi fa rivivere il mio sogno da quindicenne…non ci siamo mai sentiti prigionieri di un cliché perché il pubblico lo richiedesse però è bello sapere che ogni fans abbia le sue preferenze. Preferisco suonare ‘To Be With You’ rispetto a ‘Colorado Bulldog’ ma troverai chi preferisce la seconda alla prima.”