Enslaved – Fiducia E Cooperazione
Il 13/10/2017, di Giuseppe Cassatella.
Gli Enslaved continuano a stupire, nonostante abbiano raggiunto con ‘E’ il riguardevole traguardo del quattordicesimo album. Lo fanno a modo loro, proponendo una musica ricca di sfumature, che flirta con i generi più disparati, senza perdere un’oncia di aggressività, misticismo ed epicità.
Con un’insolita e copiosa pioggia pre-atunnale a far da sottofondo, un Ivar Bjørnson dalla voce stanca, ma calma e serena, ci introduce nella nuova fatica degli Enslaved: “è il nostro quattordicesimo album, non ho mai lavorato così duramente per scrivere delle canzoni, però ritengo che io e il mio vecchio fratello d’armi Grutle abbiamo fatto un eccellente lavoro, perché mai come in questo caso abbiamo osato e ci siamo spinti oltre. Abbiamo registrato presso i Duper & Solslottet Studios di Bergen e ancora una volta Jens Bogren si è occupato del missaggio e della masterizzazione ai Fascination Street Studios di Örebro. Dal punto di vista concettuale ‘E’ è incentrato sulla forza degli elementi naturali e sui legami dell’uomo con questa. Esiste un filo che collega l’essere umano a tutto quello che lo circonda, si viene quasi a creare un dualismo simbiotico. Si tratta di elementi duplici che sono essenziali per la nostra esistenza e per la nostra crescita individuale: uomo e nave, figlio e genitore, musicista e strumento, caos e ordine, subconscio e coscienza”. Però quando chiedo se possiamo considerarlo un vero e proprio concept album, mi risponde: “no, non lo è. Almeno non lo è per come la vedo io. Per me il concept è un prodotto in cui la musica sorregge una storia. ‘E’ è un disco semantico, in cui i brani trattano argomenti comuni, incentrati sulla spiritualità e sulla forza della natura. Ma non c’è una storyboard che collega le singole canzoni”. A confermare la vocazione spirituale del disco c’è anche il titolo, che non è semplicemente la prima lettera del moniker della band “il significato è doppio anche questa volta: quello più evidente è riconducibile al nostro nome, quindi facile da ricordare ed essenziale. Però ce n’è uno più profondo e mistico, che riporta alle rune. La ‘E’ non è altro che una runa, Ehwaz, che si pronuncia come ‘E’ ma che si disegna come una ‘M’. Il suo significato è duplice: fiducia e cooperazione”. A ‘Storm Son’ è toccato il compito di presentare al mondo in anteprima il disco “perché non è facile scegliere un singolo, al suo interno deve riassumere tutte le caratteristiche del disco. Credo che ‘Storm Son’ riesca nell’impresa, sia a livello musicale, con tutte le influenze dal black metal al progressive che caratterizzano l’opera, che tematico, perché racchiude in sé tutti quei temi di cui parlavo prima”. Non solo questa canzone è stata scelta per il primo video, ma apre anche ‘E’. Subito dopo il brano più corto, quel ‘River’s Mouth’ che con i sui cinque minuti si fa notare rispetto agli otto-dieci degli altri titoli. Si potrebbe pensare che la band abbia una predisposizione per le canzoni lunghe, ma Ivar parzialmente smentisce “non ho una particolare preferenza tra canzoni lunghe o corte, dipende dal brano. Mi può piacere una più corta e intensa, così come posso gradirne una lunga e complessa. In ‘E’ abbondano le canzoni lunghe, è vero, ma sono uscite così, perché ci piace unire più generi e questo può richiedere un minutaggio maggiore”. Su mia imbeccata continua prendendo un po’ le distanze dal progressive “no, non mi piace definirla progressive la mia musica, anche perché il prog è un genere standardizzato. A noi piace invece spaziare, non porci dei confini stilistici. Se proprio devo dare un’etichetta a quello che scriviamo, allora opto per Avangard”. La voglia di spaziare tra i generi è evidente se si considera la scelta della bonus track posta in coda, la cover di quella ‘What Else Is there’ dei Röyksopp, non proprio una band metal “non sono una band metal, ma sono nostri conterranei. Propongono sonorità che non sono facilmente catalogabili, fanno musica elettronica, però in modo oscuro, dark. Credo che questo brano si adatti molto bene al mood generale di ‘E’”. Quello delle cover è uno sfizio che molte band si tolgono, alcune arrivano a pubblicare anche interi album, come è capitato ai Motorhead (chissà che ne penserebbe Lemmy) con il postumo ‘Under Cover’ “perché no? Magari un giorno potrebbe capitare anche a noi di farne uno, ci piace rendere tributo alle band che amiamo: Motorhead, King Crimson, Bathory” anche perché nella vita di ogni giorno Ivar confessa di avere gusti molto vari “ascolto soprattutto roba vecchia, progressive, psichedelica, ma anche cose più estreme come il death e il black. Molta elettronica”. E di italiano? “Certo conosco le vostre band, credo che l’italiano si sposi molto bene con il progressive”. Confesso una mia particolare predilizione per ‘Sacred Horse’, che stando alle sue parole “è la prima canzone che abbiamo scritto. Anche qui trattiamo il tema centrale del disco, quello delle forze della natura, rappresentate dal cavallo, un animale sacro, simbolo arcano di energia. Uno dei più vecchi e più profondi legami dell’uomo con le forze della natura è stato proprio con questo animale. Entità sacra, ma anche mezzo di locomozione, cibo o bevanda, con il suo latte e/o il suo sangue. Inoltre, tornando al titolo del disco, la runa ‘E’ rappresenta anche il simbolo del cavallo”. Simbolo impresso sulla copertina del disco “è opera dello stesso autore degli otto dischi precedenti, Truls Espedal, che ha ancora collaborato con noi, facendo come sempre un gran lavoro. La copertina si ricollega direttamente a quella di ‘In Times’, rappresenta la Ehwaz, che è anche una ‘E’ capovolta”. Non mancano novità importanti a livello di formazione, dopo 12 anni Herbrand Larsen, storico tastierista è andato via perché “non si sentiva più motivato. La separazione è stata cordiale e auguro a lui tutto il bene e la fortuna possibile. A sostituirlo ci ha pensato Håkon Vinje della prog band Seven Impale, che ha fatto un gran lavoro alle tastiere e alle clean vocals. Il suo stile progressivo mi piace molto ed arricchisce la nostra musica”. Il tastierista non è però l’unico volto nuovo sul disco, diverse le collaborazioni “abbiamo avuto tre ospiti su questo album, il primo è il fenomenale sassofonista jazz norvegese Kjetil Møster, che ha impreziosito notevolmente ‘E’. Kjetil Møster dei Wardruna è stato fondamentale per creare delle atmosfere folk, così come il flautista Daniel Mage ha donato al tutto uno spirito più progressive. Sono molto soddisfatto del loro apporto in ‘Hiindsiight’ e ‘Feathers of Eolh’”. Non mancheranno i concerti “partiremo con un primo tour per i club, per poi passare nei mesi più caldi ai grandi festival” e a sentire Ivar “non abbiamo una predilezione particolare per le piccole o le grandi location, sono esperienze diverse e ognuna in grado di dare emozioni e soddisfazioni diverse”. La chiosa finale è di stampo televisivo, chiedo al norvegese un giudizio sulla serie Viking prodotta da History Channel “non la conosco, mi spiace. Certo guardo la tv, mi piace farlo, ma di questa serie non so dirti nulla: non mi interessa”. Più chiaro di così…