Ravenscry – Uno Sguardo Nella Psiche
Il 22/05/2017, di Dario Cattaneo.
Il terzo album è sempre un traguardo complicato. Si è tenuti a dar dimostrazione di quanto di buono mostrato sui primi, ma si è anche tenuti a fare qualcosa di nuovo. I milanesi Ravenscry sembravano essee ben consci di questo fatto, perchè ci presentano con ‘The Invisibile’ un album sia validissimo che ‘nuovo’. Nuovo per le loro sonorità, giacchè esplora un range molto ampio di influenze, ma nuovo anche dal punto di vista della composizione, visto che si tratta del primo esperimento della band con il difficile terreno del concept album. Il bassista ‘Fagio’ Fagiuoli ci racconta un po’ come è stato confrontarsi con queste sfide.
Ci raccontate quando è nata l’idea di dedicarsi a un concept per questo album? E’ stata una decisione fissa fin dal principio, o siete partiti con questa idea siccome avevate per le mani già una trama?
“L’idea di un realizzare un concept è nata non appena abbiamo iniziato a parlare di questo terzo album. In parte è stato perché perché cercavamo una nuova sfida, in parte ci affascinava comunque l’idea di raccontare una storia attraverso la musica. Bisogna comunque dire che la tematica alla base di ‘The Invisible’ è stata argomento di vari discorsi tra di noi durante svariati anni, [l’autismo] si tratta di un mondo che colpisce in modo particolare, tanto che la scelta di sviluppare un concept attorno ad esso è nata direi molto spontaneamente. Inoltre, a noi tutti piaceva l’idea di poter spaziare un po’ di più dal punto di vista stilistico, e di poter affrontare la fase compositiva in modo per noi totalmente nuovo”.
Di chi è la paternità iniziale dell’aspetto lirico del concept? Chi ne ha definito le linee guida principali a livello tematico?
“I testi, cantati e narrati, compresi anche quelli di contorno che si trovano esclusivamente sul libretto del disco, sono tutti opera di Giulia (Stefani, cantante, ndR). Chiaramente lei si è basata sulla ‘sceneggiatura’ della storia che era già pronta, e che abbiamo invece scritto tutti insieme”.
E’ difficile immaginare come si possa lavorare a un prodotto come questo, che deve avere un suo scorrere coerente e coeso, pur essendo necessariamente diviso in tracce. Avete composto e arrangiato ogni parte indipendentemente l’una dall’altra e poi avete messo tutto assieme o l’album è stato sviluppato diciamo nell’ordine cronologico con cui troviamo i pezzi sulla tracklist?
“Una volta completata la storia in ogni suo punto, ci siamo concentrati solo sui brani. Non siamo andati in ordine cronologico, ci siamo basati piuttosto sulle sensazioni e le emozioni che volevamo comunicare per ciascuna tappa del viaggio della protagoista, Coral. Avevamo a disposizione tantissime idee, non è stato semplice selezionarle. Ci sono state diverse sessioni di ascolto per scegliere quale sarebbe stata la più coerente con la storia, o quale arrangiamento avrebbe meglio richiamato un determinato punto della vicenda. Un processo lungo e impegnativo, direi, ma alla fine assolutamente straordinario e soddisfacente”.
E’ tutta musica nuova o avete usato pezzi provenienti da altre sessioni compositive?
“È quasi tutta musica nuova, scritta allo scopo, ma alcune idee le avevamo già in testa da un po’. Siamo partiti dalla storia da raccontare, abbiamo sviluppato i personaggi e abbiamo chiesto e ottenuto consulenze specifiche e tecniche per poter parlare di argomenti a nostro avviso molto delicati. Dopodiché ci siamo messi in studio e abbiamo messo in musica il viaggio di Coral e le varie interazioni tra lei e gli altri personaggi”.
Anche in fase di registrazione, i vari brani sono stati registrati come un puzzle, seguendo un criterio che proveniva da necessità di studio, o avete visto nascere questa creatura suonandola grossomodo in ordine?
“In fase di registrazione abbiamo voluto prima di tutto creare il sound, che doveva essere il più possibile coerente con la storia, tenendo bene a mente il suono che volevamo fin dal momento in cui esso entrava nei microfoni. Abbiamo anche cercato di dosare il più possibile analogico e digitale in favore del primo, per poter dare un feeling più “grezzo” al tutto. L’ordine delle registrazioni è stato vario, avendo registrato in momenti diversi divisi per strumento… alcuni di noi son andati in ordine di tracklist, altri invece hanno preferito per esigenze tecniche come disponibilità degli strumenti, accordature, etc fare altrimenti e raggrupparle in altro modo”.
Visto come stanno facendo moltissime band anche trai big, pensate di riproporre in una serata il lavoro nella sua interezza oppure sullo stage porterete solamente alcuni passaggi più live oriented? Avete pensato a qualcosa di speciale per promuovere l’album?
“Ci stiamo pensando, ma vorremmo riuscire a farlo alle giuste condizioni. Non è facile, perché quest’album si presta a diverse possibili rappresentazioni live. Il nostro sogno rimane sempre quello di una rappresentazione teatrale della storia, con band che accompagna la rappresentazione dal vivo… e magari un giorno riusciremo anche a farlo. Per ora però vogliamo comunque portare la nostra musica on the road, quindi stiamo cercando i muoverci il più possibile nel settore live. Abbiamo anche cercato di restare più a contatto con la nostra fanbase, per far capire che alla fine siamo persone anche noi e non ci nascondiamo dietro a delle foto professionali e/o comunicati ufficiali. Sul placo siamo noi e la nostra musica, il resto conta poco”.
Ritenete che l’esservi cimentati su questa sfida abbia modificato il vostro modo di comporre, o addirittura il tipo di musica che fate? Ritenete, per esigenze di trama e di atmosfera, di essere stati costretti a modificare in parte il vostro sound per venire incontro alle esigenze narrative? Questo disco a me suona singolarmente più proggy che i precedenti, te lo chiedevo per questo…”.
“A noi piace giocare. A ogni album distruggiamo tutto quello che sapevamo e tentiamo un nuovo approccio: è più divertente così! In quest’album in particolare siamo partiti dall’idea del concept e abbiamo voluto lavorare rispettando la storia, dall’inizio alla fine, senza interruzioni o salti. Per la prima volta abbiamo scritto la tracklist prima ancora di avere i brani! Si è sviluppato l’album tutto insieme, sia a livello musicale che lirico. Non ci sono state separazioni. Se una cosa non suonava bene fin dalle prime fasi di composizione, la si cambiava e la si adattava”.
Ci interessa parlare della preparazione di Giulia per interpretare questi brani. Ha lavorato tanto per ‘entrare nel personaggio’? C’è stato un lavoro importante nel capire che tipo di personalità ha Coral, come si interfaccia al mondo e ai suoi problemi, oppure l’aspetto emotivo del personaggio è slegato dalla performance vocale di Giulia?
“La personalità di Coral è qualcosa di estremamente misterioso, difficile da inquadrare persino per noi che l’abbiamo concepita. Immedesimarsi liberamente nei suoi bisogni, desideri e stati d’animo è pressoché impossibile. Solo in alcuni brani come, ad esempio, ‘Hypermnesia’ e ‘Nothing But A Shade’, Giulia ha sentito di esserle talmente vicina da poter quasi ascoltare il suo pensiero. Probabilmente ciò si riflette anche sul piano vocale, anzi… lo speriamo. In ogni caso, per ideare, studiare ed interpretare ogni singolo brano di questo album, il lavoro per lei è stato enorme! Sarà anche che l’argomento la tocca abbastanza da vicino, di conseguenza oltre che un lavoro sui brani si è presto rivelato anche un lavoro su se stessa, che ha avuto ripercussioni – anche importanti – sulla sua vita. Ma siamo quasi certi che molte altre persone, quando incontreranno Coral, si riconosceranno in lei, riducendo la distanza tra loro e il ‘diverso’”.
Se doveste descrivere il vostro melting-pot di generi ed influenze a qualcuno che non vi conosce, come descrivereste la vostra musica?
“E’ sempre complesso rispondere a questa domanda perché le influenze di ciascuno di noi sono davvero variegate e sicuramente in questo album ciò si nota anche più che nei precedenti. Negli anni ci hanno attribuito praticamente tutti i generi possibili, persino “ambient”. Dovendo sceglierne una, quella che ci è sempre sembrata la più vicina alla realtà è “melodic metal”, perché si sentono evidenti richiami a gran parte dello spettro metal, dal trash, al djent, al prog… Il tutto unito dalle curve melodiche che la voce di Giulia riesce a porre in contrasto al muro sonoro che abbiamo sempre cercato di creare. Ma specialmente su ‘The Invisible’ troviamo sfaccettature hard rock, pop e di altri generi al di fuori del metal… Ma le etichette, si sa, sono solo indicative e non comunicano le effettive sfumature che il sound di una band può incorporare”.
La collaborazione con Hansen e Laghi ha portato a un risultato in termini di sound davvero eclatante. Cosa ci dite di questi due professionisti internazionali?“
“Ci siamo chiesti: ‘Quali sono i migliori sul campo secondo noi?’ e le risposte sono arrivate automatiche. Per quel che riguarda il mix, visto il lavoro svolto in precedenza su ‘The Attraction of Opposites’, la scelta è ricaduta ancora su Roberto Laghi, il quale ha ampliato la sua partecipazione ricoprendo anche il ruolo di produttore, almeno in parte. Ci siamo sempre chiesti come avrebbe suonato un disco mixato da Laghi e masterizzato invece da Jacob Hansen, non essendocene stato nessuno sul mercato, così abbiamo voluto ottenere la risposta. Sono entrambi gran professionisti, riescono a portare i brani a un altro livello, sono veri artisti dal proprio settore, e pensiamo che i risultati parlino da sé. Il disco è suonato dall’inizio alla fine, non c’è infatti alcun materiale scritto, nessun copia/incolla, nessun editing estremo. Volevamo che tutto suonasse vero, naturale, vivo. e che comunque avesse la botta necessaria. Secondo noi ci siamo riusciti”.