Arthemis – Il Tempo Di Dominare
Il 12/04/2017, di Stefano Giorgianni.
Arrivare al successo è uno degli scopi principali per una band, però per giungere a quest’obiettivo bisogna sputare sangue, avere una rabbia fuori dal comune e tenere ben presente dove si vuole arrivare. Gli Arthemis sono tutto questo e hanno scelto di rappresentarlo nel nuovo disco, ‘Blood-Fury-Domination’ con un ritorno alla Scarlet Records dai tempi di ‘Black Society’. Abbiamo discusso dell’album con il mastermind e unico membro fondatore del gruppo rimasto, il guitar hero Andrea Martongelli, uno dei simboli della sei corde in Italia e nel mondo, vero animale del rock.
Avevo sentito i primi riff due anni fa, quasi tre ormai, ai tempi dell’uscita di ‘Spiral Motion’, il tuo disco solista, se non erro…
Sì, due anni fa. Avrete notato tutti il lungo lasso di tempo che ha separato ‘We Fight’ da ‘Blood-Fury-Domination’, io però non mi sono per nulla fermato. Sono una persona che compone tutto il giorno e tutti i giorni dell’anno, quindi ne sono uscite montagne di riff, linee vocali, tempi di batteria, ovvero tutto quello che serve a fare un disco al massimo delle potenzialità della band. Quindi sì, alcuni dei riff che hai sentito due anni fa sono dentro all’albu. Se ben ricordo uno è quello di ‘Blood Red Sky’, quello principale proprio.
Tu scrivi molto, e lo sappiamo bene, però abbiamo dovuto attendere a lungo ‘Blood-Fury-Domination’…
Il motivo principale di questo ritardo, se vogliamo chiamarlo così, e potrei dire che è il solo e unico motivo, è stato il lunghissimo tour di ‘We Fight’, il disco che ci ha fatto fare più date in assoluto; ovviamente, non si dice mai di no a una data, per nessun motivo. È la regola numero uno per gli Arthemis, se c’è una data, la risposta è sì! Si parla dunque non solo dei concerti in Italia, ma anche dei tour europei con Gus G., due anni consecutivi al Download Festival, Wacken, Hellfest e Bloodstock sul palco principale. Poi c’è stato il live album, il nostro primo, vero live. Il ‘Live From Hell’ è stato molto importante per noi, soprattutto per JT, il suo battesimo del fuoco perché era anche la sua prima data.
Si nota anche che da ‘We Fight’ a ‘Blood-Fury-Domination’ avete mantenuto la stessa line-up, cosa che non accadeva da un po’ di tempo…
Sì, stessa line-up. Anche se, devo confessare di non aver mai litigato con nessuno, nonostante i cambiamenti che ci sono stati nel corso degli anni. Poi io non sono una persona incline a litigare, non me ne importa nulla, la cosa fondamentale è la band. Tutte le persone hanno esigenze e modi di vivere diversi, il mondo è bello perché è vario, come si dice. Non capita sempre che tutti siano portati per la vita da tour, che di per sé è estenuante, ti tiene lontano dagli affetti e condiziona i rapporti con le persone che ci stanno vicine. La dedizione che ci vuole va oltre i limiti di alcune persone, che magari si aspettavano qualcos’altro e si accorgono che questo non fa per loro. Molti non riescono addirittura a capire quanto sacrificio ci voglia prima di intraprendere una carriera da musicista, e questo non va di certo di pari passo col suonar bene. È una prova di forza, quando non ti vuoi accontentare delle briciole, devi spingere oltre i limiti del possibile. Sono in pochi a tener duro e a riuscire a oltrepassare la soglia. Passione e professionalità sono le due parole chiave per svolgere al meglio questo mestiere. Deve esserci un’adorazione, un culto per la musica, altrimenti non si va da nessuna parte.
Arriviamo al titolo del nuovo album, dove compaiono tre parole di un certo peso: Blood, Fury e Domination. Perché questa scelta?
Tre termini di forte impatto. Il sangue è visto sin dai tempi antichi come sinonimo di vitalità, vigore, caratteristica questa molto presente negli Arthemis. Credo traspaia dai nostri pezzi e dalle esibizioni dal vivo. La furia è sinonimo di rabbia, perché c’è sempre bisogno di quest’ultima per andare avanti, nonostante si sappia che nella band siamo tutte persone positive, alla mano, che amano divertirsi e stare in mezzo alla gente. Parliamo di rabbia positiva, non di essere incazzati col mondo per cose futili, credo ce ne voglia un po’ per far arrivare il messaggio nel modo giusto, è quel qualcosa che ti serve nei momenti peggiori. ‘Domination’ è invece l’obiettivo finale, cioè quello di portare la nostra musica ovunque, in più città possibili, a più gente possibile. Ci tengo a precisare che gli Arthemis sono una band vera, e lo sottolineo, non è un anonimo progetto creato a tavolino, costruito solo per piacere alla gente. Ciò che sentite è vero, reale, quello che siamo. Ci piace essere trasparenti, mostrare quello di cui viviamo, la musica.
L’obiettivo di quest’album è dunque eguagliare e sorpassare quel che avete già fatto con ‘We Fight’. Ancora più date, ancor più kilometri sulla strada?
Di più, esattamente. Stiamo già lavorando con la nostra booking agency, la Truck Me Hard, per date in Spagna, in giro per l’Europa e nei vari festival, anche a livello mondiale. Tante altre cose anche sui social network, qualcosa che succederà a breve, che non si può ancora svelare, ma di insolito.
Possiamo dire qualcosa anche del Giappone, terra che vi ama da decenni ormai…
Sì, infatti il nuovo disco uscirà il 12 aprile nel Sol Levante per UFR Records, un’etichetta emergente ma con dei personaggi ben noti nel mondo del music business. Nell’edizione giapponese ci saranno due bonus track e un booklet tutto particolare con il doppio delle pagine.
Parliamo un po’ anche del lavoro grafico di ‘Blood-Fury-Domination’. Chi l’ha realizzato e cosa rappresenta?
È stato realizzato da Stefano Mattioni di Viron 2.0. Avevo già visto sul web dei suoi lavori, poi ci è stato presentato dalla nostra fotografa ufficiale, Annalisa Russo. È stata quindi una serie di circostanze che ha portato alla realizzazione dell’artwork, che rappresenta le tre figure femminili, blood, fury e domination, in una veste tutta particolare. Non è forte, splatter, direi in linguaggio cinematografico, ma riesci comunque a comunicare un sacco di sensazioni forti. Poi è bianca, una cosa assolutamente diversa per noi.
Come è stata realizzata? Si tratta di digital art o è qualcosa di diverso?
No, la ragazza che si vede, sempre la stessa, è vera, in carne e ossa. È truccata in una maniera speciale e poi è stata ulteriormente modificata al computer. Dietro c’è comunque stato un lavoro enorme e per arrivare al risultato finale ci sono voluti dei mesi. Sai, è sempre complicato materializzare quello che hai in mente, e come band l’avevamo già pensata e Stefano è stato molto bravo a realizzarla come volevamo.
Discutiamo un po’ dei testi. Anche questa volta abbiamo delle parole incisive. Cosa ti ha ispirato questa volta nella scrittura?
Sono uno che si guardo molto intorno. Il mondo è una fonte inesauribile di idee. Viaggiando molto, mi accorgo di diverse cose che mi accadono attorno. Osservo tanto i comportamenti delle persone, senza farmi troppo i cazzi loro (ride, ndr.). Il mondo circostante è quindi la mia principale fonte d’ispirazione, non la televisione, che non mi piace per nulla e non la guardo. L’unica cosa per cui sfrutto la televisione sono i film di supereroi, di cazzotti e sberle, e quelli comici. Parliamo, ad esempio, di ‘Undead’, il primo singolo estratto da ‘Blood-Fury-Domination’. Ha delle parole che hanno un significato molto importante, per quello mi piacerebbe che, oltre ad ascoltare la musica, la gente leggesse anche i testi. Il verso “We’re the undead”, siamo i “non-morti”, il che vuole dire che siamo ancora vivi, una lettura bidirezionale delle parole che reindirizza al messaggio contenuto nell’intera canzone: una società che ci sta schiacciando, che ci rende un po’ vittima delle convenzioni. Osservando altre parole, come “the bullet in your head from the underworld”, sono sinonimo di ciò che abbiamo già nella nostra mente, messe in testa dalla pubblicità, dalle notizie false che circolano nei media. Oppure “praying for heaven, starving for hell”, riferito a tutti i ben pensanti che parlano bene ma razzolano male. Ci sono delle parole chiave nel testo che veicolano il messaggio del pezzo, puntando il dito contro la falsità e la superficialità che dominano nel nostro tempo. Abitiamo in un mondo fatto di plastica, che noi abbiamo creato, anche la musica stessa pianificata a tavolino per vendere e non per dire qualcosa, e questo mi sta sul cazzo!
Se avessi un ragazzo davanti a te, col tuo disco in mano, e dovessi consigliargli di leggere un testo di quelli che hai scritto, cosa suggeriresti?
Ne sceglierei due, ‘Undead’, di cui abbiamo appena parlato, perché si renda conto del mondo di bugie in cui viviamo, bisogna tornare anche ai rapporti umani, alle amicizie, cose che sono pressoché scomparse oggi. Rapporti basilari, che dovrebbero essere scontati, ma che si sono persi. Il secondo sarebbe ‘Into The Arena’, una traccia decisa e determinata, furiosa, seguendo uno dei tre termini dal titolo del disco. Ne aggiungerei un terzo, ‘Rituals’, che parla delle false religioni, delle sette che distruggono famiglie, se ne parla troppo poco ma bisognerebbe informarsi su queste disastrose realtà. Ho assistito a delle cose scioccanti. Una ragazza ha conosciuto una persona in palestra che, a forza di continuare a ripetere la stessa litania, l’ha convinta ad andare a uno di questi incontri, con i buttafuori a fare la guardia e dove non si può dire una parola, ha pagato per farsi dire delle cose assurde.
È una cosa che può valere anche per le grandi religioni?
Dipende da uno come la vive, sono credenze intime e personali. Per carità, se ci si ferma ai preti, con tutto quello che succede, è ovvio che sul piano superficiale sono da condannare per le cose immonde che saltano fuori ogni tanto. Bisogna scavare a fondo per trovare la vera fede. Logico che tutti vanno rispettati, però fino al punto in cui si tenta di andare a convincere la gente o di andare a rovinare qualcuno, magari in un momento di debolezza.
Chiudiamo parlando del sound di ‘Blood-Fury-Domination’. Anche in questo caso possiamo apprezzare l’evoluzione degli Arthemis, quindi ti pongo la stessa domanda dei testi: se devi optare per dei pezzi in grado di rappresentarvi dal vostro ultimo disco, su cosa ricade la scelta?
Ancora di sicuro ‘Undead’, diretta e immediata. ‘Firetribe’ per la furia contenuta al suo interno, rammenta che discendiamo da indigeni, cosa enfatizzata anche da un elemento tribale nel pezzo. In quest’ultima si pone l’accento sul fatto che non bisogna mai dimenticare le proprie radici e la storia che ci ha portato a essere quelli che siamo.