Fates Warning – L’Arte Del Volo
Il 16/03/2017, di Andrea Schwarz.
I Fates Warning non hanno bisogno di presentazioni, anzi. Tutto il contrario. La band statunitense nel corso della propria carriera è riuscita a catturare l’attenzione dei metalhead più classici con dischi come ‘Night On Brocken’ (1984), ‘The Spectre Within’ (1985) e ‘Awaken The Guardian’ (1986) anche se fin da ‘The Spectre Within’ la loro propensione ad abbracciare tessuti progressive comincia a farsi strada. Ma è da ‘No Exit’ del 1988 che questa tendenza prende sempre più il sopravvento con l’arrivo dietro al microfono di Ray Alder ed andando ad incidere autentici must come ‘Pleasant Shade Of Grey’ oppure ‘Parallels’ ed ‘Inside Out’ giusto per citare qualche nome a casa di una importante discografia. Ed è proprio con un loquace Ray Alder che abbiamo condotto questa chiacchierata…
La cornice nella quale si è svolta questa intervista con un gentilissimo ed affabile Ray Alder è stato il backstage della loro data italiana del Colony a Brescia e, non come spesso succede, prima dello show ma dopo per motivi legati al tempo del loro arrivo alla location con qualche ora di ritardo a causa di alcuni disguidi occorsi al loro tour bus. Quindi si è trattato di portare a termine questa conversazione con tanta stanchezza da parte sua da una parte ma anche tanta energia ed adrenalina derivata dallo show terminato da poco. Ed è proprio da qui che parte la nostra chiacchierata perché come potrete aver letto nel report, il concerto è stato intenso, emozionante dall’inizio alla fine. Ed allora non si capisce come una band di tale caratura e talento sia riuscita a sparire dalle scene dal 2004 con il contraddittorio ‘FWX’ ritornando nel 2013 con ‘Darkness In A Darkness Light’ oscurando un carisma indiscusso in territori sonori dove i Fates Warning hanno pochi rivali ancora oggi: ‘Uao, dici sul serio? Sono passati così tanti anni? (sorride). Scherzi a parte devo ammettere che dopo aver realizzato ‘FWX’ ci siamo trovati indaffarati in tantissimi altri progetti e bands parallele, non c’è stata nessuna premeditazione, abbiamo continuato a parlarci e confrontarci come se niente fosse. Sempre presi da progetti diversi ma ad ogni modo tenendo sempre viva la fiammella e l’unità tra di noi. Forse la cosa ci è sfuggita di mano, ci siamo trovati in una situazione in cui il tempo è letteralmente volato. Nel frattempo qualche show come Fates Warning sporadicamente veniva fatto ma fu in quel momento che ci trovammo con un dilemma: era troppo tempo che live suonavamo gli stessi vecchi brani, rischiavamo così di scontentare il nostro pubblico e di perderlo. Ed è stato in quel momento in cui abbiamo deciso di lasciar perdere tutti i progetti che ci avevano tenuti occupati per tanto tempo dedicando nuovamente anima e corpo ai Fates Warning. Abbiamo cominciato a scrivere, scrivere, scrivere…senza sosta fino ad arrivare a ‘Darkness In A Darkness Light’, a dire la verità il nostro progetto era quello di fare un album nuovo e di vedere come sarebbero andate le cose. A quel disco è subentrato l’entusiasmo del nostro pubblico che ci ha portato a suonare molto, proprio in tour io e Jim (Matheos) ci siamo detti che sarebbe stato magnifico poter lavorare ad un altro disco….e così è stato! Pensa che prima di imbarcarci per il North America Tour avevamo moltissimo materiale già pronto, lo suonavo ai ragazzi della band sul bus mentre Jim non ne voleva sapere perché ci eravamo già scambiati nel frattempo un sacco di demos con quelle stesse canzoni.’ La cosa che mi ha sempre affascinato ed incuriosito è vedere bands come i Fates Warning riuscire a comporre albums spedendosi cassette in passato o file ai giorni nostri da un capo all’altro degli USA oppure del globo con possibilità ridotte al lumicino di provarle insieme in una sala prove: ‘Per noi quel modo di lavorare non ha mai rappresentato un problema perché abbiamo sempre vissuto in posti diversi degli Stati Uniti, in luoghi anche abbastanza lontani a dire la verità. Probabilmente solamente con i nostri primi due album siamo riusciti a scriverli e provarli mentre si viveva nello stesso luogo ma ad esempio da ‘Perfect Symmetry’ abbiamo cominciato a lavorare scambiandoci i file….una volta ci scambiavamo le cassette, a tonnellate! Registravo su un registratore a quattro piste, che tempi a pensarci oggi. Adesso invece è tutto molto più veloce e facile con i file, in questo disco io e Jim abbiamo dedicato noi stessi per un annetto, tutti i sacrosanti giorni. E nel corso della nostra carriera abbiamo chiaramente affinato la modalità con cui portiamo avanti i lavori, rispetto al passato su ‘Theories Of Flight’ abbiamo lavorato maggiormente come un team. Di norma in passato Jim mi mandava i brani con già tutto precostituito ed io di solito lavoravo ai testi e sui cantati ma senza un grande spirito critico, oggi invece abbiamo lavorato in maniera completamente diversa. Non ci siamo accontentati delle prime versioni che scrivevamo, spesso i brani venivano stravolti tanti erano i particolari che cambiavamo o aggiungevamo. Jim mi inviava quanto aveva composto, solitamente il brano era finito nella sua interezza andando ad indicare dove aveva pensato la strofa, il ritornello e tutto il resto mentre io avrei dovuto completare quelle parti con i testi e le mie idee sulla linea melodica che meglio si potesse adattare al pezzo. A differenza del passato però ci siamo aiutati a vicenda, abbiamo criticato l’altro nel senso positivo del termine se qualcosa non ci piaceva cercando di indicare all’altro il modo in cui avrebbe potuto essere. E’ stato bello lavorare come un team, schiettamente senza preoccuparci di offendere nessuno, non siamo più dei ragazzini ma adulti che non si offendono se ricevono qualche critica al proprio lavoro, siamo professionisti e dobbiamo comportarci come tali. A volte ho scritto fino a dodici linee melodiche diverse prima di trovare quella definitiva ma va bene, fa parte del gioco ed è forse anche per questo motivo che siamo tutti così soddisfatti del risultato finale.’ E questo approccio ha giovato enormemente al risultato finale, su ‘Darkness In A Darkness Light’ la sensazione era quella di trovarsi di fronte a qualcosa di buono ma di profondamente incompleto, sensazione che sparisce totalmente con ‘Theories Of Flight’: ‘So cosa intendi dire e devo ammettere che non hai tutti i torti, effettivamente quell’album era un’accozzaglia di idee che avevamo nel cassetto da tanto, troppo tempo e le abbiamo messe insieme cercando di dar loro una forma compiuta.’ A volte sembra quasi che ‘Darkness In A Darkness Light’ sia stato un album di riscaldamento, preparatorio a ‘Theories Of Flight’ che riavvolge il nastro da dove ci si era lasciati tanti anni fa, un album che sembra essere il giusto connubio tra ‘Disconnected’ ed ‘Inside Out’: ‘Sono d’accordo, altre volte mi è stato fatto il nome anche di ‘Parallels’ ma penso che sia più calzante il paragone che ne fai te. E’ un album nel quale abbiamo speso tantissime energie, abbiamo speso noi stessi con molta passione che ci derivava dall’entusiasmo di aver suonato ben due tour nord americani e due tour europei di supporto a quel disco, eravamo nuovamente rodati e probabilmente tutti questi mood positivi si sono riversati sul nuovo materiale. In ‘Darkness In A Darkness Light’ mancava la passione che abbiamo messo oggi, ti confesso che non amo il writing process e tutto lo stress che si cela dietro ad esso ma stavolta mi sono divertito, l’ho fatto con leggerezza incredibile, a tratti me ne sono stupito anche io.’ E qui viene fuori il lato meno divertente dell’essere musicista che diventa un lavoro e come tale si entra in quel circolo fatto di scadenze, impegni da rispettare nei confronti di promoter o etichette discografiche. Non è semplice riuscire a mettere insieme questa esigenza con il suonare con passione: ‘Lo ammetto, non è semplice trovarsi in alcuni momenti a dover scrivere perché sei obbligato a farlo, tutto al contrario. Però allo stesso tempo devi prenderti lo spazio necessario per farlo bene, per comporre e produrre qualcosa che sia qualitativamente importante altrimenti non avrebbe senso scrivere giusto per rispettare delle scadenze. Fortunatamente per noi questo non succede, spesso e volentieri le tempistiche che ti vengono proposte sono disattese perché non sei soddisfatto del tuo lavoro oppure perché necessiti di tempo per rispettare degli standard qualitativi che come band ci imponiamo di rispettare. Ad oggi per noi è sempre stato così, abbiamo già discusso dell’opportunità di fare un altro album prestissimo, son già sette mesi che siamo in giro ed abbiamo avuto la possibilità di parlarne (risate). Le pressioni vengono da noi stessi, quando registriamo ed impieghiamo troppo tempo ci autoregoliamo imponendoci delle nuove tabelle di marcia. Ed ancora una volta siamo super soddisfatti di come il disco suoni anche grazie al lavoro in fase di mixing e mastering di Jens Bogren. Ricordo la prima volta che ascoltai il prodotto finito mi chiesi se fossimo realmente noi…wow! Abituati ad avere dei suoni molto puliti ci ha colpito la durezza del sound, ci ha conquistato subito! Ho investito tutto me stesso in questo album, sono canzoni che raccontano il cambiamento e la voglia di guardare avanti, di rimettersi in discussione come è capitato a me ad esempio. Dopo vent’anni passati a vivere a Los Angeles mi sono trasferito in Spagna perciò i testi sono stati scritti in maniera naturale, quasi come se avessi un’intima esigenza di tirar fuori i miei sentimenti in una forma però più generica da permettere ad altri di trovar qualcosa che potesse in qualche modo colpirli, rivedersi. È il potere della musica che come il vaso di Pandora ha solo bisogno di essere aperto…e tutte le sensazioni, i ricordi di un determinato momento tornano in mente appena riascolti questo o quel brano. La musica è magia!’ Viene da chiedersi se stando sul palco Ray riesca a vedere nelle facce del pubblico questa magia….’Beh, quando sono sul palco vedo nei volti degli spettatori felicità, è un’emozione enorme sentire cantare la gente i testi che faticosamente ho composto, è un’emozione che non si può descrivere. Questo è uno dei motivi per i quali adoro essere on the road invece che in studio, è fantastico sentir cantare pezzi come ‘Seven Stars’ dall’ultimo album…uno dei brani che durante il tour è stata meglio accolta. Normalmente la gente viene a vederti per ascoltare la vecchia produzione e quindi ci stupisce l’accoglienza per un pezzo nuovo ma devo dire che fino ad oggi il pubblico è stato fantastico in ogni posto dove siamo andati, anche qui sono stati meravigliosi! È impagabile, non ci sono parole che possano rendere giustizia alle emozioni che vedo nella gente e che io provo on stage…’