Selvans – Metallo ancestrale
Il 13/01/2017, di Mara Cappelletto.
I Selvans nascono per celebrare lo spirito etrusco dei boschi, attraverso la ricreazione dei culti e del folclore di diversi gruppi etnici che hanno vissuto in Italia in varie epoche. L’espressione di questo concept avviene attraverso uno stile metal black, etnico, lirico ed estetico. Melodie ancestrali e atmosferiche e macabre evocazioni creano inni di metallo dalla spiritualità antica.
[momento rieduchescional ciannel] Soranus, conosciuto come Sur o Śur (“il Nero”?) oppure come Śuri in lingua etrusca (“del luogo nero”? = gli Inferi) fu una antica divinità italica, venerata da varie popolazioni dell’Italia centrale (Sabini, Latini, Falisci ed Etruschi) e presente anche successivamente nella religione romana. Il centro del suo culto era il Monte Soratte, picco sacro a nord di Roma. Altro centro dedicato a questa divinità era l’antica Surina, che secondo gli studiosi coinciderebbe con l’odierna Viterbo. I sacerdoti di Soranus erano chiamati Hirpi Sorani (“Lupi di Soranus”, dalla lingua Sabina hirpus = “lupo) e proprio a loro i Selvans si ispirano per i propri costumi di scena.
Quindi io, come viterbese, non potevo esimermi dal fare conoscenza e dal porre alcune domande a Haruspex, eminenza grigia dietro alla band che meglio esprime questo oscuro spirito del centro Italia. A partire dai costumi ispirati agli antichi sacerdoti travestiti da lupi, fino ad arrivare all’utilizzo di strumenti tradizionali e alle atmosfere che richiamano esattamente una certa idea del nostro passato, la band affonda il proprio sound nelle viscere oscure della nostra terra.
Innanzitutto grazie per aver accettato di fare una chiacchierata con me. Iniziamo subito con le domande.
Selvans è il dio etrusco delle foreste, come mai avete scelto questo moniker? So che i vostri testi spaziano nelle varie epoche della storia italica, perché avete scelto proprio lui?
E’ un nome che richiama l’ancestralità celebrata dalla nostra musica. In ogni epoca storica di cui parlo nei miei testi i boschi sono uno degli scenari centrali dell’alternarsi e incontrarsi di storia e mito.
La domanda che ti feci tempo fa è stata “Perché gli etruschi?” sentendomi chiamata in causa e non sapendo che gli etruschi erano solo una minima parte degli argomenti che trattate. L’album infatti si chiama ‘Lupercalia’, la festività romana che si svolgeva al culmine del periodo invernale nel quale i lupi, affamati, si avvicinavano agli ovili minacciando le greggi. I Lupercali hanno alcuni elementi comuni con il culto falisco degli Hirpi Sorani (che dà il nome alla quarta canzone dell’album stesso) Come vi ponete nella scelta di questa o quella divinità quando ci sono così tante similitudini e processi aggregativi?
L’hai detto tu, è proprio per via di queste similitudini tra più culture ‘italiche’ (carattere estendibile anche a paganesimi esteri) che risulta ancor più facile far convivere molteplici riferimenti nella musica, nei testi e nell’immaginario di Selvans.
Quanto influisce invece la tradizione popolare abruzzese sul vostro sound e sui vostri testi?
Non ho mai voluto dare un connotato regionale a Selvans. Certo, mentre per cantare di tradizioni provenienti da altre regioni devo recarmi in quei luoghi, avere a che fare con autoctoni che siano sulla mia stessa lunghezza d’onda ecc. Tutto ciò che riguarda l’Abruzzo e che sento di voler trasporre in musica è invece già in qualche modo insito in me.
Come nasce un pezzo dei Selvans? Sei tu a proporre le idee a Fulguriator e poi queste vengono sviluppate insieme o quando concepisci una canzone è già bella e finita?
Direi la seconda… Alcune volte completo i pezzi utilizzando anche riff scritti da Fulguriator, finito il brano arrangio chitarre e basso con lui, le parti di batteria con un batterista e tutto il resto da solo.
Parti dall’argomento che ti interessa per poi crearci attorno la musica o viceversa? Da un riff può nascere un idea che richiama alla mente un determinato argomento?
Possono capitare entrambe le situazioni.
Ascolti solo Metal o ami (e quindi sei influenzato) anche da altri generi?
Neofolk, classica, post punk, rap, folk classico, rock progressivo (non progressive rock), darkwave… Ce ne sono molti altri in realtà, non voglio annoiarti. Ascolto diversi generi ma non sono quasi mai influenzato da altra musica quando scrivo la mia, bensì da immagini, scritti o sensazioni.
In sede live è bello vedere come siete stati attenti ai particolari e ai costumi. Puoi parlarmene?
Mi ispiro a diversi miti e rappresentazioni di popolazioni italiche antiche, cerco di farli miei e reinterpretarli senza snaturarne troppo il senso. Sono particolari molto apprezzati, sia quando suoniamo in Italia che all’estero.
Nel 2015 è uscito ‘Lupercalia’, un album pesante (nel senso buono), intenso e molto intelligente, insomma non una cosa da bestemmie e birra. Come si sta evolvendo il sound dei Selvans?
Il prossimo sarà ancor più intenso. Già sull’album collaborativo con i Downfall Of Nur ci sono tracce di un’evoluzione del nostro sound. Nel corso dell’ultimo anno abbiamo lavorato su ciò che non ci convinceva a pieno di ‘Lupercalia’ e questo atteggiamento caratterizzerà anche i prossimi lavori; inoltre ci sarà un impiego diverso delle tastiere, qualcosa di nuovo rispetto a tutto quello che abbiamo fatto fino ad ora, un approccio nato spontaneamente e che non aspettavo potesse convincermi a tal punto.
A parte la collaborazione con i Downfall Of Nur, uscirà qualcosa di nuovo a breve?
Non a breve.
Cosa pensi degli Inchiuvatu? Senza di loro non sarebbe esistito un certo tipo di musica in Italia. O comunque sono stati i primi a proporre seriamente un’idea di black metal “italico”.
Mi trovi d’accordo. Sono in contatto con Michele e lo stimo, è un vero precursore e negli anni è riuscito a far sì che la sua arte crescesse (e lui con essa) con coerenza fregandosene del cosiddetto ‘orto del vicino’, cosa non da poco qui in Italia…
Avete in programma dei live?
A fine Gennaio partiremo per il ‘Ragnard Winter Nights’, un tour Europeo con i Khors che toccherà: Francia, Germania, Svizzera, Belgio e Spagna con la prima e unica data italiana a Torino.
Il cantato in italiano è secondo me un punto a vostro favore ma capisco che guardando verso il mercato estero può essere settorializzante. Come vi ponete a riguardo?
Fino ad ora, a seconda dei pezzi, ho usato l’italiano, il latino e l’inglese ma unicamente per esigenze metriche e musicali. Non spetta al mercato decidere la lingua dei miei testi.
Nella cosiddetta “era digitale” suonare dal vivo e vendere il merchandise è diventato quasi indispensabile per il sostentamento delle band. Tu come la vedi?
Beh, se la tua band è merda l’unica fonte di sostentamento sarà il portafogli dei membri che ne fanno parte, se non lo è bastano le vendite degli album. Merchandise e live sono un contorno a cui nessuno è obbligato.
Venite dal centro Italia come me. Siamo ricchi di leggende oscure, di luoghi evocativi e cupi, un terreno fertile per le giovani band. Purtroppo ci sono pochi locali e spesso per raggiungerli ci vuole più che prendere il treno e arrivare a Milano. Come vivete questa cosa?
Benissimo, preferisco di gran lunga i luoghi evocativi ai live club.
Credo che dietro ai testi dei Selvans ci sia molta ricerca. Per capirvi a pieno pensate che anche il vostro pubblico debba essere in un certo qual modo curioso e soprattutto “studioso”? O pensate di essere fruibili anche da chi si lascia trasportare solo dalle emozioni che suscita la vostra musica senza dare troppa importanza alle tematiche trattate?
Ritengo che entrambi possano cogliere il messaggio della nostra musica seppur in modo diverso. Il primo tipo di ascoltatore ad esempio potrà comprendere più facilmente alcuni riferimenti visivi durante i nostri concerti, diciamo che sarà leggermente avvantaggiato rispetto al secondo.
Come è lavorare con la Avantgarde? Ha puntato molto su di voi…
Non avremmo potuto chiedere di meglio per i tre lavori che sono usciti fino ad ora.
Ti evito la consueta “vuoi dire qualcosa ai lettori di metalhammer”, ma se ti va hai un po’ di spazio per dire qualsiasi cosa tu voglia.
Ti ringrazio per l’intervista, a presto!
foto: Mara Cappelletto