Fil Di Ferro – 100% Puro Filo D’Acciaio Italiano
Il 10/11/2016, di Giuseppe Cassatella.
I Fil Di Ferro con il loro rock stradaiolo hanno mostrato la via a molte delle band che oggi affollano la scena heavy italiana. Colpevolmente dimenticati dai più, grazie alle ristampe dei primi due dischi ad opera della Jolly Roger Records, finalmente il loro nome è tornato a circolare tra fan e addetti ai lavori. Potevamo noi di Metal Hammer lasciarci sfuggire l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con uno dei Padri del movimento?
Alcune volte un semplice dischetto di silicio può tramutarsi in una macchina del tempo e farti provare delle sensazioni ormai sopite. “Una bella emozione, mi sembra quasi di tornare indietro negli anni, quando i nostri vinili riempivano le vetrine dei negozi di dischi”, questo ci ha confessato Michele De Rosa, storico batterista, fondatore e unico membro originale dei Fil Di Ferro, in occasione della ripubblicazione di ‘Hurricanes’ e ‘Fil di Ferro’. Nonostante tutto, bisogna guardare sempre in avanti e non soffermarsi su quello che si è fatto, anche se per molti lui è l’autore di alcune delle pagine più gloriose del metal tricolore “più che riascoltarli quei dischi, li suono in concerto, anche perché si lavora con la band sempre a cose nuove, quindi seguo e studio le novità. A tal proposito” orgogliosamente mette in chiaro che “ora i Fil Di Ferro sono formati da Michele De Rosa alla batteria, Gianni Castellino al basso, Gianluca Uccheddu alle chitarre e Paola Goitre alla voce”. Il passato è però appiccicoso, non te lo puoi togliere di dosso, soprattutto, quando ritorna prepotentemente alla ribalta. Così come è impossibile scegliere qual è il prediletto tra i tuoi figli: “amo entrambi, l’esordio è stato fatto più di getto, come ci sentivamo: istintivo, vero, nudo e crudo! Mentre il secondo è stato più studiato e lavorato, avevamo un altissimo budget a disposizione e grandi sound engineer come Pete Hinton (Saxon) e Guy Bedmed (Motorhead)”. E neanche il nuovo formato in cd sembra spaventare chi è cresciuto in un’epoca in cui il vinile era il padrone assoluto del mercato “per me tutti e due i formati vanno bene, anche se il vinile ha un ascolto più caldo e naturale, benché, magari, si possano avvertire delle imperfezioni”. Nonostante questa predilezione, è difficile nascondere la soddisfazione per come sono venute fuori queste ristampe “devo dire che la Jolly Records, ossia Antonio Keller, ha fatto un gran bel lavoro anche per il libricino informativo interno, davvero bello, grazie alla collaborazione di Steven Rich, eccezionale giornalista di Classix Metal, che mi ha aiutato a scriverlo nella giusta maniera. Colgo l’occasione per ringraziarlo veramente molto”. E quando chiedo se si fa mai un giro sui vari Discogs o E-Bay per sbirciare le quotazioni dei vinili originali, candidamente mi risponde: “io no, non ho tanto tempo. Tutto mi viene riferito dalla mia ragazza, Mimi, e dagli altri membri della band. So che hanno veramente una buona quotazione, pensa che in un concerto a Firenze avevamo, insieme ad altri cd e gadget vari, il primo vinile originale. Una sola copia di ‘Hurricanes’, per la quale ci sono stati offerti fino a 500 euro, ma, essendo di proprietà della mia compagna, non lo ha ceduto!” continua sorridendo “accidenti!”. ‘Hurricanes’ non è solo il titolo dell’album, ma anche il nome della canzone che apre i primi due lavori, una cosa davvero bizzarra. Ecco come sono andate veramente le cose: “quel brano è stato ripreso dai due produttori inglesi, che l’hanno rivisitato nella maniera che secondo loro sarebbe stata più congeniale al nostro nuovo sound”, ma non c’è solo lo zampino dei tecnici dietro la scelta “è finito in entrambi anche perché parla della mia vita, che è quella dei grandi biker Hurricanes di cui sono uno dei fondatori. Sarò uno di loro per sempre e dovunque!”. Da un certo momento in poi qualcosa non ha funzionato, e la band ha raccolto meno di quello che avrebbe meritato. Il batterista ci ha spiegato così l’inversione di tendenza: “forse perché non abbiamo più avuto a disposizione il budget della Dischi Noi, che aveva indovinato tutto lavorando all’estero con ingegneri di quel calibro. E, soprattutto, aveva investito veramente molto. Inoltre, a differenza di altri che in Italia in quegli anni vedevano accrescere la propria fama, alcuni molto bravi come i Litfiba, noi eravamo eccessivamente metal” poi continua “il nostro terzo album ‘Rock Rock Rock’ era più morbido, più melodico e forse non adatto alle case discografiche italiane. Se la Dischi Noi avesse continuato la propria attività, oggi sicuramente saremmo da un’altra parte. Pensa che avevamo un contratto di sette dischi da pubblicare in sette anni. Un vero peccato!”. Nonostante i rimpianti, i bei ricordi non mancano, come quello relativo al concerto all’Hammersmith di Londra “fu una grande emozione suonare nel più grande teatro rock europeo del momento. Noi – italiani, metallari e biker – prima dell’esibizione fummo condotti con dei taxi nella sala prove personale dei Motörhead, volevano testarci dal vivo! Non dimentico neanche la presenza dei tantissimi giornalisti importanti con cui parlammo a un party organizzato dopo il concerto dalla Dischi Noi”. Al di là dei picchi di notorietà, come andava la vita del metallaro italiano negli anni 80? Michele ce l’ha descritta così: “ero sempre in giro in moto con gli Hurricanes. Facevo concerti e andavo a sentire altre band dal vivo. Avevamo una vita veramente intensa tra risse, bevute, feste con gli amici e suonate. Era la normalità, il nostro modo di vivere!”.