Abbath – Ashes Of The Damned
Il 03/09/2016, di Fabio Magliano.
Voltato pagina e lasciata alle spalle non senza polemiche un’avventura ventennale chiamata Immortal, per Abbath è nuovamente tempo di gettarsi nella mischia con una band che porta il suo nome ma, soprattutto, che si propone di mantenere accesa la fiamma oscura del black metal.
Carisma. Così Olve Eikemo, conosciuto ai più come Abbath Doom Occulta, definì qualche anno fa, in un face to face nella gelida Bergen la sua capacità di incutere timore e trasudare un che di malsano anche senza l’ausilio del facepainting. Quello stesso carisma che sprigiona nei camerini del Rock Planet a poche ore di distanza dalla data italiana dei suoi Abbath. Il cantante norvegese è alticcio, l’incontro con il mare della romagna (che lui stesso non esita a definire “Oceano”) non lo ha lasciato indifferente, ma gli occhi glaciali e quella bocca pronta a torcersi in un che di indefinito nel quale cerchiamo di vederci un minimo sorriso sono li, puntati su di noi, bramosi di saperne di più sulla nuova vita di Abbath, quella post Immortal, che lo ha visto prima abbandonato quindi usurpato di quel moniker che per anni è stato vessillo del black metal più crudo, e costretto a ripartire dal suo nome di battaglia con il quale ha ribattezzato la sua nuova incarnazione artistica. Abbath. Come il disco di debutto pubblicato lo scorso mese di gennaio su Season Of Mist, prima mossa in quella guerra a scacchi che attende ora la risposta del duo Demonaz e Horgh, depositari del nome Immortal e prossimi, almeno stando ai proclami di rito, al ritorno sulle scene. E farà effetto, inutile girarci attorno, parlare di Immortal senza colui che per venticinque anni ne è stato volto e anima, ma la convivenza con i vecchi compagni di battaglia, nel 2015 era divenuta realmente impossibile “Con gli altri ragazzi non eravamo più sulla stessa lunghezza d’onda, i nostri intenti non combaciavano più – racconta con voce catramosa l’artista norvegese – C’è stato un momento in cui mi sentivo ispirato, avevo idee, avevo voglia di fare musica nuova, ma per quanto esortassi i miei vecchi compagni, non vedevo in loro la mia stessa volontà. Tutto si trascinava stancamente, non c’era voglia di fare prove, non c’era voglia di incidere un nuovo disco, non c’era più quell’entusiasmo che ci aveva accompagnati nei primi anni della band. Eravamo semplicemente degli estranei che convivevano sotto un nome che a qualcuno iniziava a stare stretto. Cazzo, si stava parlando della mia musica, della mia vita, non doveva andare così, ed allora la strada più naturale è stata la separazione. Una volta che le strade si sono divise mi sono nuovamente sentito libero di esprimermi attraverso la mia musica, e ‘Abbath’ è la naturale conseguenza”. Una band e un album omonimo che non segnano una frattura drastica con il passato, ma semplicemente un nuovo capitolo di una storia che ha Abbath come vero fulcro “Si tratta sempre della mia musica – prosegue – Suonata da una band diversa, da musicisti diversi, con testi differenti…ma è sempre la mia musica, non c’è una rottura drastica, è la semplice continuazione di me stesso. Nella musica degli Abbath c’è la vecchia scuola del metal, ci sono elementi rock’n’roll che amo molto e che ho sempre messo anche nella musica degli Immortal… io ho sempre fatto quello che mi piace, non ho mai pensato troppo a come dovesse suonare un pezzo… se il brano funzionava e mi piaceva, allora andava bene così. E’ andato bene con gli Immortal, ha funzionato anche per gli Abbath”. Un progetto che prosegue stilisticamente quanto ascoltato nelle vecchie produzioni di Abbath, quantomai deciso a proseguire sulla sua strada lasciando agli altri sperimentazioni, contaminazioni e strizzatine d’occhio a ciò che maggiormente aggrada alla massa “A me interessa fare cosa mi piace, non me ne frega niente di cosa pensa la gente e tanto meno di cosa va di moda. La musica è qualcosa che ti viene dal di dentro, non può essere ragionata. Io mi sono sempre affidato all’istinto. Nella musica come per tutto il resto. La musica è libertà e io da persona libera ho sempre fatto quello che volevo, ho sempre suonato ciò che mi piace fregandomene di quello che dicevano gli altri. Io sono la mia musica, e questa è la regola che ho sempre messo alla base di tutto”.E con gli Abbath, Mr. Eikemo non tenta di cancellare quanto fatto con la vecchia band, tanto meno avverte l’ingombrante peso di un gruppo che ha scritto pagine importanti nella storia del black metal scandinavo, destinato a ritornare come un boomerang ad ogni nuova intervista “Il nome degli Immortal non mi pesa, non potrebbe pesarmi – afferma schiettamente – perchè per anni è stata la mia vita e per alcuni versi continua ancora ad esserlo, non a caso nel mio show trovano posto diversi brani della mia vecchia band. Questo è semplicemente un capitolo nuovo della mia vita artistica, scritto insieme a persone nuove che reputo perfette per me, in questo momento. E non me ne frega neppure del dovere ricominciare da capo, non è il successo che vado cercando, ma è la libertà. Quella libertà che mi ha consentito di sopravvivere in una scena che negli anni è implosa. Porto avanti la mia battaglia battaglia personale. Io sono ancora qui, chi mi vede sul palco sa che non l’ho tradito, che sono vero, come vera è la mia musica”. Se con gli Immortal il parallelo giunge quasi spontaneo, Abbath prende invece le distanze dagli “I”, l’all star band che nel 2006 fece gridare al miracolo con l’ottimo ‘Between Two Worlds’, disco che ad oggi non ha ancora avuto un seguito e che forse non lo avrà mai “Gli Abbath sono la naturale prosecuzione di quanto fatto con gli Immortal, mentre gli “I” sono stati semplicemente un progetto estemporaneo che penso non avrà più un seguito. C’è stato un momento in cui mi sono trovato tra le mani una grande mole di materiale, roba che non avevo potuto usare per gli Immortal perchè troppo distanti stilisticamente dagli standard della band. Mi sono trovato a parlarne con Ice Dale degli Enslaved e questo progetto è venuto fuori dal nulla, in modo molto naturale. Gli I sono qualcosa che è semplicemente successo, qualcosa di divertente, ma visceralmente gli Abbath sono tutta un’altra cosa”. Ed in tema di side project, impossibile non citare i Bombers con il loro tributo ai Motorhead, e lasciarsi andare ad un pensiero ad un rocker che ci ha lasciato comunque troppo presto “Lemmy è stato il mio padre artistico – confessa rompendo almeno per un istante quel glaciale distacco che ha accompagnato tutta la chiacchierata – perchè si può dire quel che cazzo si vuole, ma senza i Motorhead non ci sarebbe stato neanche il black metal e di conseguenza gli Immortal. Il black metal è la musica del diavolo, è rock’n’roll spinto all’eccesso, è pura fottuta libertà, tutto quello che Lemmy ha sempre predicato. A volte mi capita di pensarci e fatico a credere che non ci sia più. Insieme a Ronnie James Dio è stato il personaggio più vero e corretto che abbia mai incontrato. Era semplicemente il migliore, e credo che qui tutti dobbiamo qualcosa a Lemmy. Se oggi ci riempiamo la bocca di rock’n’roll, lo dobbiamo a lui”. La chiusura è però nuovamente affidata agli Immortal, con un gesto distintivo, una schiarita, o forse un’illusione di rito “Non si sa mai cosa può riservare il futuro, la vita a volte può prendere delle strade strane, non si può dire. Quello che è certo è che questo non è il momento di pensare se ci sarà mai una reunion con gli Immortal. C’è uno show degli Abbath da portare avanti, tutto il resto non conta”. E chi ha assistito al concerto ha avuto conferma che, Abbath o Immortal, sul palco è sempre un autentico inferno quello che prende vita ogni sera.