Bolgia Di Malacoda – Nessun Di Voi Sia Fello
Il 02/09/2016, di Stefano Giorgianni.
Venti ferali soffiano dal grossetano, melodie seducenti e richiami alla memoria confluiscono nella proposta di una band che di scontato non ha nulla. Stiamo parlando dei Bolgia di Malacoda, gruppo nato nel 2010 che sei anni dopo, in questo Anno del Signore 2016, pubblica il full-length di debutto “La Forza Vindice della Ragione” (recensito nel numero 05/16), una delle uscite italiane meno scontate e più inebrianti di questi mesi. Ferus, vocalist e mastermind del gruppo, ci ha parlato dell’origine del progetto e dei futuri piani che lo attendono. Si inizia in maniera gaia e in pieno stile malacodiano: “Come si dice da queste parti “mainagioia” però vino a volontà e soprattutto risate sguaiate per cose deplorevoli”, queste le prime parole del cantante, che poi ricorda la genesi della band, un “progetto nato da una semplice intuizione, quella di mettere in musica ciò che mi passa per la testa ignorando stili e generi, quello che mi viene lo butto fuori, l’unico punto d’obbligo era ed è la lingua italiana; tutto gira intorno al fatto che nella mia lingua posso esprimere concetti che in altre lingue non avrebbero lo stesso senso, il ribadire questo mi duole in quanto la considero il frutto di una colonizzazione culturale.”. Un’idea quanto mai personale che si rispecchia nei brani scritti per i Bolgia di Malacoda, nome di nobile discendenza letteraria: “Malacoda è il diavolo della bolgia dei barattieri nel canto XXI, ora non è che io conosca la “Divina Commedia” a memoria e sicuramente non l’ho letta tutta, ma suonava molto toscano; c’è una frazione di Castel fiorentino che si chiama Malacoda, a furia di passarci mi venne in mente questo nome, poi la bolgia dei barattieri… Il vizio preminente dall’Alpe a Malta.”. Ascoltando le creazioni di Ferus s’intuisce la vastità del bagaglio musicale che comprende “direi un po’ tutto quello che mi piace ascoltare, anche generi più disparati: da Guccini a De André passando per Litfiba, Rammstein, Slayer e nel modo di suonare sicuramente Immortal e Gorgoroth, ecco, dal cantautorato italiano al black metal norvegese”, un’eterogeneità matura che è sfociata nella messa in musica dell’Inno a Satana di Carducci, che “era un idea addirittura precedente al progetto”, confessa Ferus, “i testi che scrivo sono il frutto di sensazioni ed idee personali, parole scaturite da pensieri a volte negativi a volte ragionevoli, in qualche caso positivi; a volte prendo spunto da qualche passaggio storico o letterario.”. Non solo testi ragionati, anche uno stile particolare a infarcire la putrida e sublimante proposta dei Bolgia di Malacoda, che cercano “di aver un sound a dir nostro “bello grasso”, ecco diciamo quella sensazione di ballonzolamento, ma come genere non saprei, più semplicemente rock- metal, post-rock.”. Da rimarcare è pure l’accuratezza nella lingua, ben simboleggiata nel titolo dell’album: ““Salute o Satana o ribellione o forza vindice della ragione”, io in questa frase ci rivedo l’idea di rivalsa della ragione dell’uomo in sé sull’oppressione che esso stesso si è creato, la rivalsa dal prominente senso d’imbecillità che affligge questa nostra natura dalla notte dei tempi; insomma, è il concetto prevalente del disco.”. Si passa poi alle registrazioni del disco, il primo, il più arduo: “Io ho registrato chitarra, basso e voce, inoltre per le chitarre sono state effettuate sei sovra incisioni per traccia, un lavoro lungo che comunque alla fine ci ha dato soddisfazioni. Un lavoro non esente dalle difficoltà dell’autoproduzione: “Abbiamo contattato diverse etichette ma purtroppo non avevamo risorse per investire, con il disco abbiamo speso bene e ci hanno dato una mano due bravi tecnici del suono che abbiamo qui in Maremma.”. E sul futuro: “Abbiamo già diversi brani e alcuni li abbiamo suonati dal vivo, perciò stiamo pensando al nostro prossimo album e contiamo di riuscire a farlo l’anno prossimo. Per ora sarebbe utile ingranare la marcia e riuscire a fare più date possibili.”.