Lacuna Coil – Il Delirio Della Mente
Il 04/06/2016, di Angela Volpe.
I Lacuna Coil sono in attività dal 1994, se consideriamo gli Ep di debutto; nel 1998 il primo full-length album, “In A Reverie” per Century Media, al quale sono seguiti “Comalies”, “Karmacode”, “Shallow Life”, “Dark Adrenaline” e “Broken crown halo”. Fieri di successi come ‘Heaven’s A Lie’, premiata nel 2005 all’Indipendent Music Award come migliore canzone hard rock/metal, nominati all’Mtv Europe Music Awards nel 2006 come Best Italian Act, senza contare le ottime posizioni ottenute nella Billboard americana. Tutto questo fa di loro una delle band italiane più conosciute e affermate oltre i confini nazionali e dopo soli due anni dall’ultimo lavoro tornano con “Delirium”, un album sul quale la band ha lavorato con passione e attenzione ai dettagli. Se agli inizi della loro carriera il genere dei Lacuna Coil poteva identificarsi nel goth metal, nel corso degli anni la band ha inserito elementi sempre nuovi, dalle melodie sinfoniche di “Comalies” agli elementi nu-metal di “Karmacode” e l’ultimo album si preannuncia come un’ulteriore evoluzione in tal senso. “Più che un nuovo capitolo dei Lacuna Coil, “Delirium” è proprio un libro nuovo. – conferma Cristina Scabbia, la voce storica della band, assieme a quella di Andrea Ferro – sicuramente questo è il disco più heavy che abbiamo mai prodotto, sia per la musica che per le parti in growl di Andrea.” Il primo grande cambiamento subito percepibile al primo ascolto di “Delirium” è proprio la maggiore presenza di parti in growl, che sono state potenziate. “Inoltre abbiamo avuto dei recenti cambi di lineup, con l’ingresso ufficiale di Ryan Folden alla batteria, anche se ci seguiva da alcuni anni. Il batterista è il motore della band e il suo apporto ha contribuito alla creazione del nuovo sound” , spiega Cristina.
L’impronta del sound heavy di “Delirium” è inoltre lo specchio della tematica di fondo a cui si ispira l’album, quella dei sanatori e delle sofferenze causate da malattie mentali: “Tutto è partito dalla parola Delirium, stavamo lavorando sulla musica, proprio in fase di scrittura della canzone che da il nome all’album e questa parola ci ha aperto un mondo, abbiamo capito su quale tematica volevamo improntare l’album”. È un tema certamente dark e molto serio, che la band ha voluto trattare adeguatamente, come conferma Cristina: “Non volevamo che se ne parlasse in modo superficiale o ridicolizzare l’argomento.” Entrambi i cantanti, le cui voci alternate e fuse insieme sono da sempre la peculiarità dei Lacuna Coil, si sono calati personalmente in queste realtà. “Abbiamo visitato dei manicomi abbandonati nella zona di Milano e strutture odierne funzionanti, purtroppo anche per vicissitudini personali. Per motivi familiari mi sono trovata vicina a strutture mediche nelle quali ho conosciuto i pazienti, il tipo di medicamenti e terapie a cui venivano sottoposti. Sono esperienze pesanti da affrontare e che fanno paura, anche perché c’è poca conoscenza in materia. È un mondo ignoto, nel quale non possiamo entrare.” Andrea aggiunge: “Ci premeva avere un approccio reale al problema, abbiamo visto molte foto di pazienti che ci hanno colpito profondamente. I loro sguardi erano vuoti, assenti, innaturali perché fuori dal controllo della mente. Aveva quindi più senso attenersi alla realtà, perché quelle foto vere erano molto più spaventose dei film ambientati nei manicomi.” Precisiamo però che i testi dei brani di “Delirium” non sono medical report, esprimono piuttosto il disagio e la sofferenza che pervade questi ambienti. Cristina precisa che: “Più che il punto di vista medico, sul quale logicamente non siamo preparati in modo scientifico, per noi era importante esprimere le nostre sensazioni riguardo la tematica, per come l’abbiamo vissuta e percepita.” C’è quindi un lavoro interiore in “Delirium”, che pervade la musica oltre che i testi. Con alle spalle una carriera così ricca e incanalata verso uno stile preciso, viene da chiedersi come si riesca a trovare nuovi spunti per comporre. “Non abbiamo mai frenato la nostra ispirazione – afferma Cristina – ci siamo sentiti liberi di spingere sull’acceleratore e di andare fino in fondo in qualsiasi direzione ci sembrava appropriata per la realizzazione dell’album. Se la canzone nasceva in maniera heavy seguivamo quella linea, se un brano aveva un’impronta più malata e strana lasciavamo che si sviluppasse in quel modo.” È davvero importante per un musicista riuscire a distaccarsi dalle critiche e comporre senza la preoccupazione di voler compiacere un pubblico. “Amiamo i nostri fans, ai quali dobbiamo molto, ma non siamo un team di lavoro che deve scrivere una canzone pop per scalare le classifiche, cerchiamo di esprimere la nostra arte in maniera onesta senza preoccuparci dei commenti che vengono dall’esterno, ritengo che quando si presenta un lavoro onesto il pubblico lo capisca e lo apprezzi.” Anche Andrea Ferro conferma che i precedenti album dei Lacuna Coil non pesano e non influenzano il loro presente. “È naturale che le caratteristiche principali del gruppo rimangano invariate, ma non ci siamo lasciati condizionare, abbiamo lavorato senza pensare all’identità specifica dei Lacuna Coil, abbiamo adottato un approccio più fresco, quasi come si fa agli inizi della carriera, abbandonando per un attimo consapevolezza e aspettative, e questo ha fatto sì che “Delirium” risultasse un disco diverso dagli altri.” La peculiarità di “Delirium” sta proprio nell’essere un album con un’atmosfera unitaria, palpabile, quasi fosse un luogo fisico e tangibile. Cristina lo commenta così: “Più che un disco, “Delirium” è un luogo di raccoglimento. Di proposito abbiamo fatto in modo che non ci fosse una canzone che spiccasse più delle altre. L’album deve essere ascoltato nella sua totalità. La canzone di apertura e quella di chiusura sono emblematiche, inizia con ‘The House Of Shame’ e termina con ‘Ultima Ratio’, che rappresenta idealmente una sorta di fuga da questo manicomio che ci siamo immaginati ma anche in senso lato da se stessi. È un disco molto profondo.” Anche le immagini selezionate per cover e booklet rispecchiano alla perfezione il sanatorio all’interno del quale si sviluppano le melodie. “Le immagini sono state studiate appositamente con determinati colori e in un ambiente molto asettico per rappresentare le nostre idee. Abbiamo cercato di creare un immaginario in modo che l’ascoltatore non solo sentisse la musica ma la vedesse.” In questo senso, i Lacuna Coil hanno centrato appieno l’obiettivo, anche con l’aiuto di testi molto descrittivi e con un tappeto avvolgente di suoni che dà proprio l’impressione di trovarsi in un luogo chiuso ben preciso. È certamente un disco che rende molto bene se lo si ascolta a occhi chiusi, in macchina o in una stanza, ma i Lacuna Coil, da sempre, sono fatti per il palcoscenico. Si sono esibiti al Wacken, al Gods of Metal, a Tokyo, in Australia e in numerose città d’Europa e del mondo e sicuramente li vedremo presto di nuovo on stage, dovranno quindi trovare un modo per trasporre l’ambiente così particolare e oscuro di “Delirium” sul palco. “Stiamo studiando una parte visiva, avremo di sicuro nuove scenografie, nuovi abiti di scena. Sarà senza dubbio difficile interpretare il senso di inquietudine che pervade “Delirium”, la situazione live per forza di cose non consente questo tipo di raccoglimento. Inoltre dovremo incorporare le vecchie canzoni alle nuove cercando di rendere il tutto omogeneo, ma abbiamo molte idee e ci lavoreremo per rendere tutto al meglio.” Prendiamo le parole di Cristina come una promessa, perché se c’è un merito che occorre attribuire ai Lacuna Coil è la tenacia. Hanno da sempre presentato la loro musica a testa alta, sfidando il mercato musicale italiano, ignorando le critiche facili e mantenendo la loro personalità e la voglia di suonare e proporsi. Soprattutto, i Lacuna Coil hanno superato i dissensi raccolti dal pubblico italiano del metal, spesso pregiudizievoli e dettati da fattori che esulano dal puro ambito musicale. “Culturalmente, in Italia il metal è sempre stato un settore un po’ chiuso ed è un peccato – asserisce Cristina – Mi spiace che l’Italia si chiuda in se stessa, è sintomatico di una scena che non vuole crescere. È una sorta di auto protezione che però diventa auto castrazione, perché non permette ad altri gruppi validi di emergere e avere una carriera come la nostra. Manca quell’apertura mentale che consentirebbe al genere metal di essere rispettato e riconosciuto a livello popolare, come succede in altri paesi, dove viene trattato allo stesso livello degli altri. L’Italia tende a proteggere questo genere e a volte, il troppo amore soffoca; questo purtroppo porta all’auto distruzione.” Si potrebbe dibattere a lungo sulla cultura musicale di massa in Italia, dominata da canzonette scritte a tavolino per divenire delle hit e conquistare le radio. È sempre facile puntare il dito, sputare giudizi, paragonare i connazionali a band più conosciute a livello mondiale (perché si sa, “l’erba del vicino è sempre più verde”), ma quando si parla di musicisti che da vent’anni propongono la loro arte con passione, ciò di cui si dovrebbe tener conto è la perseveranza, quella cosa che da senso alla musica e valore alla vita.