Devil You Know – Il Vostro Mondo Sanguina
Il 30/10/2015, di Stefano Giorgianni.
Dopo il track-by-track che vi abbiamo presentato in esclusiva, ora vi offriamo un’intervista a Francesco Artusato a ridosso dell’uscita del nuovo album dei Devil You Know. Scoprite un po’ di retroscena di “They Bleed Red” e preparatevi all’arrivo della band statunitense sul nostro territorio, per la prima volta, fra qualche giorno!
Ciao Francesco! Benvenuto su Metal Hammer Italia! Come va?
Ciao! Tutto bene! Finito il nuovo album, molto soddisfatti, non vediamo l’ora di iniziare il nuovo tour con musica e pezzi nuovi!
Siamo qui per parlare del nuovo album dei Devil You Know “They Bleed Red”.Come presenteresti questo disco ad un pubblico che non ha ascoltato “The Beauty of Destruction”, il vostro debut?
Un album heavy, molto vario, con molti stili al suo interno, diverse melodie vocali ma allo stesso tempo un grande impatto sonoro dato dalla sezione strumentale.
Già dai primi istanti questo album suona diverso dal primo, più rabbioso, più compatto. Avete cambiato qualcosa nel vostro approccio alla scrittura dei pezzi?
Sì, a dirtela tutta, questa volta eravamo solo noi col produttore. Nessuno che ci potesse influenzare in alcuna maniera. Sai, quando ci sono persone esterne nella fase di scrittura, cercano tutti, bene o male, di indirizzarti da una certa parte. Stavolta siamo stati totalmente indipendenti. Neanche uno, a parte noi della band, che ci diceva cosa dovessimo fare o meno. Quella che sentite in quest’album è la musica che vogliamo scrivere, che rappresenta la band. In più la scelta del produttore è stata perfetta, il suo lavoro lo avevamo già apprezzato in precedenza, poi lui continua a lavorare con band come Lamb of God, ed è una persona che rispetta il sound del gruppo; non è uno di quelli che dice ‘faccio suonare voi come altri cento’, questo era proprio ciò che volevamo. Il nostro desiderio era quello di avere un album più aggressivo, heavy, ma con tonalità un po’ più dark. Poi a livello di produzione volevamo una cosa abbastanza semplice, molto diretta.
Essendo giunti al secondo disco la formazione si è sicuramente compattata. Avete trovato più facilità nell’impostazione dei pezzi? La band ha raggiunto una sua quadratura?
Sicuramente. Il primo album era un esperimento, è nato solo dopo qualche mese che suonavamo assieme. Questa volta i pezzi son un qualcosa di più specifico, sapevamo quello che volevamo fare. Avendo visto che ogni band ha il proprio sound anche dal vivo e abbiamo cercato anche di individuare quello che volevamo mantenere per i concerti.
In merito a questo, ho notato la mancanza di Roy Lev-Ari in line-up. Cosa è successo?
È stata una decisione consensuale. Gli auguriamo il meglio per la sua carriera. Noi continuiamo in quattro invece che cinque.
Il tuo background con il diploma conseguito alla Berklee in composizione film-scoring ti aiuta in fase di songwriting o esula da quel che scrivi per i Devil You Know?
Quell’influenza rimane sempre, a prescindere che stia scrivendo canzoni per i Devil You Now, per gli All Shall Perish o per il mio progetto solista. La passione per un certo tipo di musica, anche per la classica, non si cancella. Quello delle colonne sonore è un sound che mi piace molto ed anche in questo album ci sono delle parti in tal senso. Quando abbiamo iniziato a lavorare con il nostro produttore mi ha proprio detto che un pezzo assomigliava a una colonna sonora di un film. Un tratto inusuale rispetto a ciò che è abituato a sentire dalle altre band. Dunque questa mia caratteristica è un qualcosa che esce fuori, anche senza cercare.
L’anno scorso avete ottenuto il riconoscimento come Best New Artist ai Metal Hammer’s Golden Gods Awards. Puoi raccontarci qualcosa di questo avvenimento?
È stato eccezionale. Io e Howard siamo andati a Londra per ritirare questo premio. Siamo rimasti per qualche giorno nella capitale inglese e il giorno dell’evento eravamo comunque emozionati. È stato qualcosa di speciale; per una nuova band ottenere subito un riconoscimento e di un certo rilievo è stata una bella soddisfazione.
Dato il consolidamento del gruppo, come si è svolto il songwriting per “They Bleed Red”? Howard partecipa solo con i testi o contribuisce anche alla parte strumentale?
Come era stato per il primo album i pezzi nascono o da una mia idea o da John (il batterista, ndr.), da riff, groove, etc. Su questo disco ci sono brani che ho ideato completamente, anche se poi vengono ristrutturati in studio. Poi, per quanto riguarda a Howard, lui non partecipa, soprattutto per il primo album a dir la verità, alla parte strumentale. Però questa volta anche lui ha dato il suo contributo, con opinioni e suggerimenti. Da lui sono venute alcune idee che hanno fatto risaltare certe parti delle canzoni a cui noi non avevamo pensato. Generalmente noi gli diamo la base strumentale pronta e lui la ascolta in cuffia per scrivere i testi e le melodie.
Per i nostri lettori vorrei che tornassi indietro di qualche tempo fino a quando avete reclutato Howard Jones nel ruolo di vocalist. È stato difficile da convincere o vi siete trovati immediatamente a vostro agio?
È stata una sorpresa. Io e John eravamo al telefono parlando del cantante che volevamo avere per il nostro gruppo. Lui aveva il contatto di Howard attraverso i manager e mi ha proposto di mandargli i demo, io ovviamente ho acconsentito. È stata una di quelle cose che ti restano impresse. Ho pensato ‘se risponde, risponde’ ed ha risposto quasi subito dicendo che gli piacevano i nostri pezzi. Lui in quel periodo aveva anche voglia di rimettersi in gioco e di suonare con una band. È stato tutto molto naturale.
Tornando al nuovo album. So che ti diletti in grafica digitale e vorrei chiederti, da artista e membro della band, da dove viene l’idea della copertina e cosa raffigura…
Abbiamo lavorato con le stesso artista del primo album, Travis Smith. L’idea per questa copertina era comunque quella di avere un collegamento con il precedente a livello visivo. Avevamo il titolo ‘They Bleed Red’ e volevamo qualcosa di metaforico. Rappresenta il pianeta Terra che sanguina. All’interno del booklet ci sono però altre immagini che vanno sullo specifico in riferimento a certi individui. Poi c’è anche l’idea del titolo che guarda il mondo da uno sguardo esterno, come se qualcuno guardasse il nostro pianeta sanguinare da fuori.
Uno dei miei pezzi preferiti di questo album è “The Way We Die”. Puoi raccontarci qualcosa di questo brano?
Il chorus lo avevamo pronto e dovevamo far funzionare la canzone perché questo ci piaceva molto. La struttura del brano in realtà è molto semplice, poi c’è l’assolo che invece è lungo. Quando con il produttore abbiamo registrato le parti vocali per il ritornello sapevamo che quella sarebbe stata una delle canzoni che avrebbe fatto la differenza.
Altra traccia che fa coincidere perfettamente aggressività e melodia è “Your Last Breath”. Come è nato questo pezzo?
È uno dei primi pezzi che abbiamo scritto per questo nuovo album. È uno di quelli che è rimasto quasi invariato da quando è nata, ti parlo di più di un anno fa. Ricordo che Howard si è subito innamorato di questa canzone. Diciamo che è uno di quei brani che escono senza alcuna difficoltà, difatti siamo arrivati in studio che era già pronta.
In “Stay of Execution” si sente un fortissimo influsso thrash per quanto riguarda il riffing. Vuoi dirci qualcosa in merito?
È stata una delle ultime canzoni scritte, anzi probabilmente l’ultima. Avevamo alcuni riff che non avevamo impiegato e che John voleva assolutamente usare. Una volta finita l’abbiamo fatta sentire al nostro manager e hanno deciso subito che era il primo pezzo da lanciare.
Vuoi dirmi qualcosa sul tour con Five Finger Death Punch e Papa Roach? Quali sono le vostre aspettative? Ricordiamo che il primo tour vostro qui perché il precedente è saltato.
A un anno dal tour cancellato finalmente veniamo in Europa per un tour completa. Poi abbiamo l’opportunità di venire con due band così grandi, quindi sai che il pubblico è assicurato ogni sera e qualcuno in più che può conoscere la tua musica. L’anno scorso aver cancellato quel tour ci ha fatto imbufalire. Il team che avevamo dietro, manager, agenti e quant’altro è stato interamente licenziato. Il problema è che puoi silurare questa gente che la colpa di un tour mancato ricade sempre su di te. Ti anticipo che ci sono già piani per l’anno prossimo di tornare in Europa.
Quindi il terzo album dovrà aspettare un po’, vero?
Probabilmente faremo un bel po’ di concerti stavolta. Il ciclo di vita di un album è di due anni, ovviamente in questa situazione, con il precedente tour cancellato, siamo stati spinti a scrivere nuova musica. Ora i piani sono quelli di suonare in giro per qualche tempo.
Bene Francesco! Abbiamo finito! Ti ringraziamo per la tua gentilezza e di averci concesso questa intervista. Se vuoi mandare un messaggio ai tuoi fans italiani di Metal Hammer, ti lascio il prossimo spazio!
Grazie a tutti coloro che hanno supportato questa band finora ed è stata una sorpresa vedere quanti si sono affezionati al progetto. Non vediamo l’ora di vedervi ai concerti e fateci sapere cosa ne pensate del nuovo album!