Black Sabbath – Masters Of Demons
Il 20/08/2015, di Barbara Volpi.
Il patto con il Belzebù satanico Ozzy Osbourne, Tony Iommi e Geezer Butler lo fecero molti anni fa, nel 1969. Fu un anno speciale per il rock n’ roll e per il mondo: uscirono ‘Led Zeppelin’ e ‘Led Zeppelin II’, i Doors si arrotolavano nel blues sciamanico di ‘The Soft Parade’, i Beatles partorivano i viaggi pop psichedelici di ‘Yellow Submarine’ e ‘Abbey Road’, i Rolling Stones coniavano ‘Let It Bleed’ e i Velvet Underground il loro album omonimo. Charles Manson il 9 agosto dello stesso anno ordiva (e alcuni membri della sua ‘family’ eseguivano) una delle stragi più efferate che la storia degli Stati Uniti ricordi, quella dell’attrice e moglie di Roman Polanski Sharon Tate (incinta di otto mesi) e di alcuni suoi amici nella villa di Cielo Drive. Da lì in poi la variopinta e naif generazione hippy del ‘flower power’ si sarebbe inabissata per sempre, soffocata da un velo di oscurità e di morte. I tempi stavano cambiando, e le utopie ideali dei sixties stavano lasciando spazio alle ombre funeste e virulente dei seventies, dove al sole si sarebbe sostituita la sua eclissi. L’heavy metal si sarebbe nutrito di tale cono d’ombra. Sarebbe germinato e maturato dentro gli anfratti angusti del malessere sociale, lì dove la crisi economica stava andando ad affamare una working-class già stritolata dal disagio.
A Birmingham nel 1969 faceva freddo ed era buio. Ora questa città del West Midlands britannico ha cercato di riconvertire il suo dna proletario costellandosi di futuristiche gallerie d’arte ed avveniristici centri commerciali, tuttavia camminando per le sue strade dove non c’è più solo la ‘white minority’ del sotto-proletariato bianco ma gente d’ogni nazionalità, si sente ancora l’aria pesante del rito sabbhatiano che fu. Le vecchie fabbriche con le loro ciminiere in mattoni rossi sono state trasformate in eleganti loft e in locali notturni, eppure in quelle stradine strette e pieni di angoli bui e umidi il fiato si fa ancora corto e l’atmosfera pesante. Pare di doverci incontrare dietro al muro Jack lo squartatore o Ozzy Osbourne ubriaco, non si sa quali dei due potrebbe essere più surreale. Ma oggi, si sa, è un’altra storia.
Allora invece, il disco ‘Black Sabbath’ registrato in fretta e furia nel novembre 1969 costò appena seicento sterline, mentre il 4 luglio 2014 per assistere ad Hyde Park al “BST”, annunciato a grandi caratteri dal chitarrista Tony Iommi come “quello che potrebbe essere il nostro ultimo show; non abbiamo nessun tour programmato oltre a questo,” si sono pagate almeno 69 sterline a testa. Considerando che erano presenti all’evento circa 60 mila persone, il conto è presto fatto. Il rito sabbathiano, che si sviluppò negli anfratti oscuri di Birmingham ispirato dai romanzi di magia nera e horror scritti da Dennis Wheatly, dopo venticinque anni si è trasformato in una mera macchina per far soldi, con la figura appannata di Ozzy Osbourne rilanciata dal popolare serial televisivo “The Osbournes” che barcollante sul palco resiste al suo stesso mito (ma dovevate vederlo arrivare in carrozzina nel backstage come un anziano qualsiasi il povero John Michael Osbourne, assistito a vista da moglie e figlia dovutamente ripassate dall’ultimo chirurgo estetico di grido).
Eppure l’immaginario della visione è più forte della realtà, o forse più forte è semplicemente la fascinazione della sopravvivenza che i Black Sabbath hanno saputo dimostrare superando abissi che avrebbero inghiottito un comune mortale per molto meno: droghe, alcolismo, malattie (in ultimo il linfoma di Tony Iommi), scioglimenti, reunion, cambiamenti di line-up, dichiarazioni altalenanti di odio ed amore reciproci tra i membri, improvvise cadute e repentine rinascite. Sarà per questo che l’antico patto con il demonio, entrato oramai nella mitologia sabbathiana, stenta a svanire. Chi, se non dei sacerdoti dell’occulto, degli adepti prescelti e baciati in bocca dal caprone con le corna avrebbero potuto, dopo tutte le vicissitudini passate, rinascere nuovamente dalle proprie ceneri per tornare a quasi sett’antanni sul palco? “This is the end my friend, Satan’s coming ‘round the bend, people running ‘cause they’re scared, you people better go beware” si diceva in ‘Black Sabbath’, ma la fine annunciata per i maghi dell’ombra pare non arrivare mai. Deve essere veramente il patto dell’eterna giovinezza e della ricchezza in cambio di che cosa, caro Mefistofele? Forse in cambio della messa nera che ancora oggi i tre ‘wizard’ perpetrano nella sua matrice originale, seppur mascherata in una sceneggiatura da avanspettacolo.
La nuova avventura dal vivo dei nostri era iniziata il 29 maggio 2014 ad Abu Dhabi, negli Emirati Artabi, per concludersi il giorno dell’Indipendenza Americana nel cuore della terra natia. Albione deve essere orgoglioso di questi suoi figli che, dopo lo hiatus del 1978, si erano riuniti nel 1985 per prendere parte al Live Aid di Philadelphia, poi di nuovo nel 1992 durante il Prince Of Darkness’s Retirement Tour, nuovamente nel 1997 per l’Ozzfest, nel 2005 a Donington per il Download Festival ed infine nell’epico ritorno in occasione dell’album ’13’. Quindi credere o meno al fatto che quella del 4 luglio sia l’ultima performance in assoluto resta un po’ a discrezione del singolo, come il fatto di abbracciare o meno in toto l’intera leggenda dei Black Sabbath. “Sono nel music-business da quasi mezzo secolo e sono ancora entusiasta come un bambino” dichiara Tony Iommi “ma certo la mia malattia mi ha messo fisicamente di fronte al fatto che non sono eterno. Per cui non so obbiettivamente se saremo in grado di sostenere un altro tour in futuro. Ci vuole molta energia a suonare sul palco, almeno nella misura in cui lo facciamo noi, che diamo noi stessi completamente. Personalmente dopo uno show mi sento esausto. Anche Ozzy non ha più una salute di ferro. Spero vivamente che quello ad Hyde Park non sia il nostro ultimo show ma, nelle nostre condizioni, chi può dirlo. Amiamo suonare dal vivo, amiamo il nostro pubblico, e non ci riuniamo certo per soldi visto che non ne abbiamo bisogno. Il fatto è che veramente il continuo cambiamento di ambiente, fuso orario della vita on the road, più l’energia richiesta sul palco nel momento dell’esibizione, ci drenano ogni forza vitale. Dobbiamo essere realisti e prendere atto dei nostri limiti. Io dopo la chemioterapia ho molta meno resistenza rispetto a prima. Ho terminato l’ultimo ciclo a marzo e posso giurare che non è stata una passeggiata.” Anche se il cancro è regredito il chitarrista dice di provare ancora gli stessi sintomi di quando era ammalato. “Sono sempre stanco ed ho sudorazioni profuse. Non capisco se è la reazione ai farmaci o se non sono guarito. Sto aspettando il risultato di alcuni esami diagnostici e non nascondo di essere alquanto preoccupato, ma al di là di ciò la verità è che dalle perfomance dal vivo esco stremato.”
Malgrado le lunghe ombre che si addensano sulla futura carriera di Ozzy Osbourne, Tony Iommi e Geezer Butler, il mito sabbathiano resiste inossidabile alla sua stessa decadenza. Il numero di band, del presente e del passato, che si sono dette ispirate dal combo di Birmingham sono così tante da poter riempire le pagine di un intero libro e vengono associate ai generi musicali più disparati. La scena metal classica omaggia i Black Sabbath con nomi quali Slayer, Metallica, Venom, Mayhem, Judas Priest, Anthrax, Guns N’ Roses, Opeth, Pantera, Megadeth, Fear Factory e Van Halen, tutti adepti dichiarati della band. Il grunge enumera fan quali i defunti Nirvana, i Soundgarden, gli Alice in Chains, ma anche le scene nu-metal e dell’alternative rock non sono da meno con onori e devozione da parte di Korn, Body Count, Disturbed, The Smashing Pumpkins, Slipknot, Foo Fighters. E che dire di tutta la compagine stoner, sludge e doom che senza i Black Sabbath non esisterebbe neanche? Non ci possiamo poi dimenticare degli album tributo ‘Nativity In Black Volume I, II, III’, diventati subito dischi d’oro in tempi già di crollo del mercato discografico, e contenenti cover di gruppi quali White Zombie, C.O.C., Faith No More, Type O’ Negative, Machine Head, Monster Magnet, Busta Rhymes, Danzig, Helmet, No FX, solo per citarne alcuni. Come a dire, l’intero mondo della musica senza differenza di genere, razza e religione, unito nell’unico culto del messia sabbathiano. Nessuna band al mondo nella storia del rock ha mai raggiunto questo risultato, il che significa che se anche oggi sul palco i tre moschettieri dell’occulto ci paiono delle macchiette che fanno il verso a se stesse, il loro valore storico ed epocale resta ineguagliabile.
Eppure Tony Iommi dichiara: “Onestamente non so valutare quanto i Black Sabbath abbiano influenzato la nuova scena musicale, perché non sono uno di quei musicisti che si tiene aggiornato sulle nuove uscite. Sono sicuro che ci sono un sacco di gruppi giovani ed ispirati là fuori, il che mi fa piacere, perché ciò significa che anche se i Black Sabbath moriranno la loro eredità e il metal non moriranno mai.” E dopo ’13’, un numero alquanto scaramantico, ci sarà almeno un nuovo album anche se non seguito da un tour? “Amo lavorare con i miei fratelli di sempre e mi sono davvero divertito a registrare ’13’, per cui non escludo che possa esserci un seguito. Però nulla è sicuro a questo punto. Le voci che distribuiscono false certezze non sono certo le nostre.”
Onirici, oscuri, ironici, visionari, profetici, i Black Sabbath sono più di un mero gruppo musicale. Si sono incastrati in una simbiosi perfetta con il lato oscuro del mondo e ne raccontano il dolore, la conflittualità, la surrealtà e i paradossi. Brani come ‘Wicked World’, ‘War Pigs’, ‘Electric Funeral’, ‘Paranoid’ sono di un’attualità agghiacciante e potrebbero essere stati scritti cinque minuti fa. E’ questo il valore inestimabile ed immortale della band: l’aver saputo trasporre in un verbo cosmico, pagano ed onnisciente la disperazione eterna della storia dell’umanità e degli abissi dell’anima che, malgrado il passare delle ere ed il trascorrere dei tempi, restano sempre uguali a se stesse, intrappolate in una reiterazione infernale che gli accordi ipnotici e grevi dei Black Sabbath sanno ben rappresentare. Non c’è via d’uscita, non c’è scampo dal girone dei dannati che cercano inutilmente uno spiraglio di resurrezione. Siamo tutti nelle mani del destino (‘Hand Of Doom’), vittime sacrificali come i bambini della tomba (‘Children Of The Grave’), in attesa del giorno dopo l’eternità (‘After Forever’). Grazie a Ozzy e compagni per averci ricordato di essere mortali. La loro musica, invece, non morirà mai.
Vinny Appice e l’ultima dei Sabs
I rumors in rete si erano sparsi a macchia d’olio dopo che lo scorso maggio Tony Iommi, celebre chitarrista della storica formazione dei Balck Sabbath, aveva annunciato ai microfoni dei giornalisti che la data del 4 luglio in Hyde Park, avrebbe potuto essere l’ultimo show della band.
La tappa londinese avrebbe segnato così l’utlimo show di un tour lungo un anno in supporto a 13, ultima release della rock band inglese, che aveva riunito tre membri della storica line up: il principe delle tenebre Ozzy Osbourne, il bassista Geezer Bulter ed il chitarrista Tony Iommi, che appunto si era lasciato sfuggire questa riflessione, immediatamente girata nel web scatenando le teorie più disparate.
Non sapendo cosa aspettarsi, chiedere qualche dritta a chi li conosce personalmente ed ha collaborato con loro è la strada più semplice per cercare di farsi un’idea più chiara in merito.
Tra i tanti nomi c’è anche quello di Vinny Appice, fratello minore di Carmine, insieme al quale viene riconosciuto come uno dei punti di riferimento tra i batteristi che hanno fatto la storia del rock moderno, nonchè artista che ha lavorato al fianco dei Sabbath, vantando anche durature collaborazioni con i suoi membri storici.
Alla domanda lapidaria, su quale sia il suo parere in merito, la risposta arriva ragionata e ponderata: “Non ho ancora avuto modo di parlare con loro riguardo questa decisione e posso solo vagamente supporre che, se dovesse realizzarsi quanto ha dichiarato Tony, la scelta probabilmente sarebbe guidata dal voler chiudere alla grande. Dopo un album come ’13’, al quale poi è seguito un tour spettacolare durato un anno, il 4 luglio ad Hyde Park potrebbe essere la conclusione perfetta”. Sono questi i pensieri di Vinny Appice che con i Black Sabbath ha iniziato a collaborare agli inizi degli anni Ottanta nel periodo in cui uscì ‘Mob Rules’, secondo album con alla voce Ronnie James Dio, che ricorda “Per me è stata una soddisfazione enorme poter far parte di una band come erano i Black Sabbath in quel periodo. Avevano già raggiunto un grande successo ed erano seguiti da uno stuolo di fan immenso. Per me, quella con loro è stata una grandissima esperienza che mi ha formato sia musicalmente che umanamente, perchè ognuno di loro mi ha saputo dare qualcosa di prezioso.I Black Sabbath li considero amici, con loro ho passato dei momenti stupendi ed era fantastico potermi esibire sul palco insieme a loro. Però, tra tutti, l’artista che mi ha colpito maggiormente è stato senza dubbio Ronnie James Dio. Aveva un bel carattere e negli anni abbiamo legato molto, io lo consideravo, anzi, lo considero tutt’ora come un fratello. Era un artista intelligente, possedeva una personalità estremamente creativa e la cosa che apprezzavo più in lui era il grande rispetto e la considerazione che aveva per i suoi fan. Non è da tutti saper riconoscere valore a chi crea il tuo successo, per Ronnie invece era fondamentale. Dal punto di vista professionale non ne parliamo! E’ stato un grandissimo cantante, uno dei migliori di sempre e non credo esista, ancora oggi, qualcuno in grado di cantare come faceva lui. Gli anni che ho trascorso lavorando con lui non li scorderò mai!”. Un altro nome che arriva sempre dal periodo Blak Sabbath e con il quale Vinny ha creato collaborazioni parallele è quello di Tony Iommi che non manca di indicare come “Artista completo, grandissimo chitarrista, musicista e scrittore. Posso comunque dire questo: tutte le persone che la mia vita di musicista mi ha portato ad incontrare sono state fondamentali per ciò che sono diventato. In tutti questi anni non ho fatto altro che cercare di stare con gli occhi aperti e prestare attenzione a quanto accadeva intorno a me. Mettersi continuamente in gioco, con la giusta dose di umiltà e pazzia: è questo quello che ho fatto con tutti loro, da Carmine, a John Lennon, fino a Tony Iommi e Ronnie James Dio!” Il nome di Vinny non è però legato solamente a ‘Mob Rules’, ma anche a ‘Dehumanizer’, che è arrivato un decennio più tardi ma che su Vinny ha avuto lo stesso impatto emotivo. “Suonare con loro mi ha sempre dato enorme piacere, non ho un brano che prediligo o preferisco suonare live, quanto piuttosto ci sono degli album a cui mi sento più legato e che mi diverto a suonare. ‘Heaven & Hell’ è uno di questi, ma anche ‘Paranoid’ ed ovviamente ‘Mob Rules'”.
I Sabbath hanno dunque segnato un momento importante nella carriera di Vinny che chiude la sua riflessione sulla domanda dal quale tutto è partito concludendo con queste parole: “Con gli anni di carriera che hanno alle spalle e conoscendoli, credo che anche in questo caso faranno la scelta giusta… sono i Black Sabbath, sono stati anche loro che hanno scritto la storia del rock e sono certo che lo faranno anche ora!” (Elisa Penati)
Ozzy, Bonzo e il mito dei Black Zeppelin…
Quella figura alta, allampanata, in elegante abito nero che nel backstage di Hyde Park si avvicina spocchiosa andando passo dopo passo assumendo i lineamenti di Jimmy Page, diviene pretesto per andare a tirare fuori dai cassetti della memoria uno dei grandi misteri della storia del rock, quello legato ai Black Zeppelin e ad un fantomatico demo la cui essenza è pari a quella del Santo Gral e dell’Arca dell’Alleanza. Un album nato da una jam che vede coinvolti i membri delle due band più influenti della storia del rock duro, i Black Sabbath da una parte e i Led Zeppelin dall’altra, sulla cui esistenza aleggia ancora più di un dubbio, sapientemente alimentato dai protagonisti stessi di quella storica jam che, pur non negando l’evento, hanno continuato a glissare sulla sua trasposizione su disco, una scelta che, almeno alla luce della “fame discografica” registrata negli ultimi anni e della costante ricerca del “disco epocale” da parte delle case discografiche, farebbe propendere per l’inesistenza del nastro. Quello che è invece ormai assodato, è lo storico incontro tra le due band, avvenuto a Battersea a Londra, dove i Black Sabbath stavano ultimando una non precisata sessione di registrazione (anche se alcuni indizi portano a ‘Sabbath Bloody Sabbath’, anno di grazia 1973). Scintilla dalla quale tutto partì fu il desiderio di John Bonham in visita ai Sabbath, di provare il drum kit di Bill Ward per suonare ‘Supernaut’. Ed è proprio l’ex batterista del “Sabba Nero” a far diradare la nebbia attorno a questa leggenda metropolitana, in una recente intervista “Era attorno alla metà degli anni Settanta, non ricordo il periodo preciso – racconta Ward – come non ricordo a che album stessimo lavorando, ricordo solo che Bonzo entrò in studio, si sedette al mio posto e volle suonare ‘Supernaut’, una canzone che a detta sua gli era piaciuta molto”. Quello che venne a crearsi, da lì ai successivi 45 minuti, fu qualcosa di incredibile “Mancava Jimmy Page, ma c’era John Bonham, Robert Plant e John Paul Jones…Bonzo stava martellando come un pazzo dietro la mia batteria, mi pare ancora di sentirlo suonare, e Ozzy, Tony e Geezer gli andavano dietro… fu una situazione alquanto folle. Bonzo si divertiva come un pazzo ad usare le mie due casse, lui che era abituato ad usarne una sola con i Led Zeppelin, suonava a velocità incredibili e posso dire che la sua versione di ‘Supernaut’ aveva una violenza che i gruppi hardcore moderni si sognano”. Una versione, questa, confermata recentemente anche da Tony Iommi, non senza una leggera vena comica “John Bonham voleva suonare con noi ‘Supernaut’ – ricorda il chitarrista – peccato che fosse uno dei batteristi più “violenti“ in circolazione e che Bill fosse terrorizzato dall’idea di fargli suonare la sua batteria correndo il rischio che potesse sfondargliela. Ed infatti quando John gli chiese se potesse usare il suo drum kit, la risposta fu una sola “No!””. Alla fine ad avere la meglio è l’amicizia, profonda e sincera tra i due batteristi, e la jam potè avere il suo compimento. Con relativa certificazione discografica? Parrebbe di no a sentire Bill Ward “C’è stato un momento nel corso di quella jam che ci balenò l’idea di registrare qualcosa su nastro ma alla fine, che io sappia, i nastri rimasero fermi e nulla fu inciso. Quel folle giorno, l’unico in cui Black Sabbath e Led Zeppelin si trovarono a suonare insieme in studio, è rimasto scolpito unicamente nella mia mente”. E in quella di chi, imperterrito, continua a immaginarsi la scena e a sognare un bootleg fantasma… (Fabio Magliano)
“Suonare coi Sabbath è stata un’esperienza unica ed esaltante, i loro brani contengono delle vibrazioni particolari, ma si è trattato di situazioni speciali praticamente irripetibili. Conservo dei ricordi particolari, proprio perché ritengo Judas Priest e Black Sabbath i due cardini indissolubili attorno ai quali gira il metal…per capire cosa intendo dire andate a cercare su internet le immagini di quei concerti e capirete tutto.” (Rob Halford)