At The Gates – Reality, A New Beginning
Il 12/11/2014, di Andrea Vignati.
L’attesa è finita per gli At The Gates, tornati con un album che sta facendo discutere il pubblico metal. La matrice abrasiva del sound è rimasta intatta ma ci sono diversi elementi inediti sui quali ragionare ed Anders Björler ci da una mano per capirli.
Rob Halford cantava ‘Reality, A New Beginning’ quando, libero dall’ingombrante dovere morale di rivestire i panni del singer dei Judas Priest, si lanciò nella stravagante prima parte della sua carriera solista. Grazie Rob, il tuo lo intendiamo come un verso liberatorio, che bandisce una volta per tutte le recriminazioni del passato per volgere lo sguardo al futuro. La realtà quale punto di approdo, la certezza solida ed incontrovertibile di essere vivi e vegeti, così come siamo, senza artifici. Allora perché muovere un guerra ideologica alla realtà? Forse per evadere i confini della nostra mortalità? Oppure per voltare le spalle a ciò che è tangibile per sposare una visione metaforica della vita. Sta di fatto che il titolo ‘At War With Reality’ offre differenti interpretazioni e racchiude un sogno diventato realtà per moltissimi fan degli At The Gates. Quasi venti anni di silenzio discografico per loro ed una storia interrotta sul più bello: due elementi che ci devono far riflettere, proprio per capire l’esigenza della immancabile reunion – prima solo dal vivo, come prevede un copione consolidato, poi con l’immancabile disco di inediti per il quale tutti tengono le dita incrociate – passaggio obbligato per gli alfieri del metal, incapaci di guardare al futuro e vittime di amarcord sistematico. Troppo cattivi? Forse, specialmente dopo avere parlato con il disponibile Anders Björler, che ci ha illustrato pazientemente tutti i retroscena di un album che racchiude la ritrovata serenità di un gruppo di artisti a loro tempo inconsapevoli di aver scritto un capitolo importante nella storia del metal. Giusto per rompere il ghiaccio occorre capire da quale seme e sotto quali prospettive è stata riesumata la creatura At The Gates: “Tutto è nato quando abbiamo deciso di accettare la proposta di alcuni reunion show nel 2007. La prospettiva iniziale era quella di divertirci tra di noi, esorcizzare il passato ed accontentare quella generosa fetta di pubblico che ha scoperto la band solo dopo lo scioglimento. Ci abbiamo preso gusto, tanto da estendere l’esperienza, con tempi alterni, sino ad oggi. Il motivo? Semplice, siamo stati accolti da un calore sinceramente inaspettato e volevamo provare a suonare ovunque fosse possibile, raggiungendo quel pubblico che mai ci saremmo aspettati fosse interessato nella band. Di nuova musica manco a parlarne, anche se c’è stata la tentazione, fortissima, di mettere insieme un album di cover per supportare i tour. Col fatto poi che ho mollato i The Haunted, che mi sono lanciato in un’ambientazione completamente progressive col mio disco solista, ‘Antikythera’ (2013) e che il rapporto col resto della truppa è risultato sempre fantastico mi sono ritrovato a scrivere qualche riff, a buttare giù degli schemi marcatamente metal che da qualche anno mancavano nelle mie corde. Ho mandato il materiale a Tomas (Lindberg, voce) ed a Jonas (Björler, fratello di Anders) ed il resto è storia.” Stelle magicamente allineate, momento idilliaco, i presupposti ideali per creare qualcosa di davvero speciale. Ma lo è davvero così speciale ‘At War With Reality’? Oppure si tratta solo di un buon disco rispondente al 100% ai tratti salienti della band? “Non abbiamo deciso coscientemente di scrivere un disco in linea con la nostra tradizione, ma fin da principio ci siamo accorti che certe dinamiche erano ancora presenti tra di noi. Naturale quindi seguirne il flusso, cercando però di scrivere materiale in linea coi presupposti contemporanei che ci si aspetta da un disco metal. Sicuramente ‘At War With Reality’ rappresenta esattamente quello che volevamo fosse: il disco di ritorno di una band con un passato alle spalle, ma che è ancora capace di estrarre elementi inediti dal cilindro.” Anders in che modo ritiene di essere maturato dallo split della band, avvenuto in circostanze francamente inaspettate, ben 18 anni fa? La pacatezza delle sue parole, il tono rilassato e conviviale già suggerisce qualcosa: “Sono una persona diversa perché sento dentro di me di non dover dimostrare più niente a nessuno. L’aver instaurato un rapporto rilassato con gli altri mi fa stare tranquillo e così posso tirare fuori il meglio di me stesso, cosa che sinceramente non avveniva da qualche anno. Attorno a me ci sono persone ragionevoli che vedono le cose più o meno nella stessa maniera con cui le vedo io ed affrontare una nuova sfida non è più un problema insormontabile, bensì l’occasione di imparare qualcosa di nuovo. Gli At The Gates finirono proprio perché mi sentivo una persona incompleta, stressata a morte: volevo studiare, crearmi una personalità anche al di fuori della band e la musica, nel 1996, per il sottoscritto non era più stimolante come in precedenza. La pressione su di noi, la necessità di suonare costantemente dal vivo, diedero origine ai presupposti ideali per mollare il colpo e così è stato, da un momento all’altro senza fare troppe storie. Considera che eravamo tutti molto giovani e gestire gli eventi non era il nostro forte all’epoca.” Curioso però che da li a qualche anno gli At The Gates diventarono fonte di ispirazione inesauribile per parecchie giovani metal band. Del successo però, a quei tempi, neanche l’ombra: “Verissimo, avevamo un disco eccellente da promuovere, ‘Slaughter Of The Soul’, un nuova etichetta (Earache) che ci garantiva una distribuzione capillare e quando suonavamo da headliner quando andava bene c’erano 200 persone ad accoglierci. Diciamo che la nostra fama si è notevolmente accresciuta verso la fine del millennio, quando il disco era ormai stato metabolizzato da tutti quei fan prima troppo giovani per seguire attivamente la band. Molto hanno fatto anche le parole di elogio ricevute da alcune istituzioni del metal che ci citavano come un riferimento influente; sta di fatto che solo a quel punto il nostro catalogo ha cominciato a vendere in maniera dignitosa.” Anders non fa mistero circa la comparizione dei The Haunted nel 1996, band che nella prima incarnazione incorpora ben tre elementi dei dismessi At The Gates: “I The Haunted sono nati per riportarci al livello di sala prove, per ritrovare il gusto di scrivere musica per diletto senza dover seguire le regole imposte da casa discografica, manager e pubblicitari. Figurati che fino al 1998 non abbiamo nemmeno avuto ufficialmente un cantante. Si trattava solo di suonare, goderci del tempo libero assieme ben lontani dalle occupazioni quotidiane. Anche a livello stilistico rappresentavano una novità per me: il sound thrashy dei The Haunted risentiva fortemente della mano di Patrick Jensen, mentre io mi ero formato alla scuola di Alf Svensson, che rimase negli At The Gates dal 1990 al 1993. Per me era come un’istituzione, era più vecchio di sei anni e pareva avesse già capito tutto della musica, mentre io a quell’epoca ero un ragazzino influenzabile. Le accordature erano diverse, così come le atmosfere. Si trattava di un mondo tutto da scoprire.” L’entusiasmo di Anders si placa per un attimo quando cerchiamo di entrare nel merito dei significati di ‘At War With Reality’: “Il titolo racchiude un aspetto filosofico e scaturisce da alcuni appunti del 1996. A quell’epoca eravamo incazzati neri e quelle parole riassumevano perfettamente l’amarezza che ci portavamo dentro. Il significato di oggi è ben più esistenziale e l’intero album, sia per la musica, che per i testi, è stato ispirato dal realismo magico, genere letterario esploso negli anni ’50 in america latina e foriero di profondissimi messaggi didascalici ed allegorici. Un terzo step, dopo la composizione di musica e testi, ha coinvolto Costin Chioreanu che ha confezionato l’artwork seguendo il flusso emozionale generato dall’insieme; il suo è stato il sigillo che mi fa dire che questo nuovo disco è il più misterioso e poetico della nostra carriera.” Sorprendono le parole che seguono, con Anders che ci confida la discrezione con la quale tutto il processo creativo è stato gestito sin dal primo giorno: “Abbiamo lavorato all’ombra per sette lunghi mesi per evitarci qualsiasi intromissione dall’esterno. Siamo stati discreti e concentrati, abbiamo pianificato con attenzione ogni attività proprio per evitare stress inutili. “Muovere” la macchina At The Gates senza che nessuno se ne accorgesse non era impresa facile, però è stato divertente vedere le facce dei nostri amici più intimi quando abbiamo iniziato a divulgare i dettagli circa il nuovo disco.” La personalità del gruppo è ciò che ha permesso l’ottenimento di un risultato pienamente soddisfacente secondo Anders, così come l’armonia è stato l’elemento essenziale che ha alimentato la fase creativa: “Quando ci siamo conosciuti, nel 1989 o l’anno seguente eravamo solo dei ragazzini con tanti problemi legati alla gioventù; tra di noi si è da subito stabilito un legame fortissimo, cementato nelle radici comuni che la passione nel metal ci offriva. Ritrovarci in studio, nel 2013, è stato come riaprire quel baule dove ognuno di noi ha custodito il proprio passato; siamo certamente musicisti migliori, maturati sotto ogni punto di vista, ma siamo sempre le stesse persone ed il carattere non è poi mutato così tanto nel tempo. Siamo cresciuti, sappiamo gestire meglio il nostro umore, ma l’essenza è rimasta la stessa. Capisci quindi, considerando il nostro passato, quanto sia stato importante ritrovare la pace e la tranquillità, scoprendo che siamo diventati le stesse persone con un cervello che funziona meglio, ah ah (si concede la battuta, nda).” Ma sono i tratti peculiari dell’album a rendere sostenibile l’esistenza degli At The Gates 2.0, come chiarito subito dopo dal chitarrista svedese: “Non bastava scrivere buone canzoni questa volta, volevamo scrivere un intero disco che avesse un senso. Ed è per questa ragione che ritengo la canzone ‘At War With Reality’ la più rappresentativa del lotto, poiché contiene gli elementi classici del nostro sound sotto ad una forma evoluta ed emozionale. Abbiamo intriso le composizioni di malinconia, di una patina di decadenza che penso sia l’elemento puramente innovativo del sound. Prendi ad esempio ‘Order From Chaos’, oppure la finale ‘The Night Eternal’: queste due canzoni contengono moltissimi dettagli che le rendono cupamente armoniche nella loro freddezza. Ad ispirare gli arrangiamenti e le dissonanze è stata la musica di alcuni compositori classici russi, tipo Prokof’ev per intenderci. Chi lo sa, magari nel futuro ci butteremo su soluzioni ancora più oscure o imprevedibili: per il momento il cammino rimane aperto in ogni direzione possibile. L’unica certezza è che non sono in grado di scrivere musica felice e positiva, per cui fatevene una ragione.” Il futuro, questa imprevedibile creatura, cosa mai avrà in serbo per la band? Tornati per rimanere, o solo per sondare il terreno? “Siamo qui, suoniamo la musica che ci piace, incontriamo amici e giriamo per il mondo senza nessuna illusione. Ognuno di noi ha la sua occupazione e gli At The Gates sono solo un divertimento per noi. Nel 1996 avevamo fame, volevamo essere la più grande band del mondo e tutti sanno come è andata a finire; oggi siamo più razionali e viviamo ogni giorno come se fosse l’ultimo. Detto questo, siamo tornati per rimanere, non si tratta di un espediente per raggranellare qualche soldo in più, state tranquilli. Non c’è nessuna strategia nemmeno nei confronti dei The Haunted: chi arriva prima, meglio alloggia recita il motto, e per noi è davvero così.” Disarmante poi la chiosa dell’intervista: “Sono felice perché sono vivo: molti miei amici non ce l’hanno fatta ed a me basta risvegliarmi ogni mattina e sorseggiare un buon caffé guardando fuori dalla finestra. Se c’è il sole sono felice, se piove, un po’ meno, ma va bene così. Le dinamiche della vita sono imprevedibili ed essere vivi è già un traguardo importante per il sottoscritto.” Depression mode ON.