Machine Head – Sinfonie di Sangue e Metallo
Il 12/10/2014, di Andrea Vignati.
Tre anni fa la piaga delle cavallette alimentava il pentimento di Robb Flynn e dei suoi Machine Head, oggi è il trionfalismo sinfonico a dominare uno scacchiere che ha già incoronato il suo re.
Non piacciono a tutti ma molti li adorano alla follia; c’è chi li dipinge come dei voltagabbana opportunisti, chi invece riconosce in loro la matrice thrash metal del terzo millennio. Sono i Machine Head di Robb Flynn che, a venti anni dall’esplosivo debutto musicale ‘Burn My Eyes’, tornano sul mercato con l’ottavo album da studio della loro carriera, ‘Bloodstone & Diamonds’. Di acqua sotto ai ponti ne è passata parecchia dagli esordi, comprese alcune discutibili scelte artistiche che hanno declinato il gruppo sul versante nu metal per qualche anno, ma ciò che abbiamo tra le mani oggi è un ritratto dalla solidità indiscutibile, un’opera omnia nella quale gli americani esprimono tutta la loro attitudine. Robb Flynn, all’altro capo del telefono da una camera di hotel in New York City, ha voglia di parlare, di mettere in chiaro le ragioni che lo hanno spinto a rivedere un’altra volta l’immagine musicale del suo gruppo: non proclami politici da ciarlatano di piazza, bensì un’analisi accurata per raggiungere la sostanza di un lavoro che ha attinto nel profondo della sua anima la necessaria linfa vitale. Radicale, convinto e determinato, Robb mette i Machine Head sopra ad ogni cosa, primi della lista nelle priorità, tanto che, nel corso dell’intervista, declina gentilmente di alimentare le voci attorno ad un quanto mai improbabile ritorno sulle scene dei suoi Vio – Lence riferendosi a loro come “alla mia vecchia band”. Ancora una volta vecchio e nuovo fungono come le due facce di una medaglia al valore, quello del metallo americano. Robb si lancia subito nella disanima per mettere ordine e chiarezza attorno alla sua nuova creatura: “Il nuovo materiale è stato messo insieme poco alla volta, lavorando in modo discontinuo per consentire a ciascuno di noi il mantenimento di una certa razionalità nella composizione. Non volevamo scrivere per forza musica che suonasse Machine Head, ma canzoni libere, pesanti e convincenti. Prendersi una pausa, essere in grado di guardare dall’alto ciò che si sta facendo, ci ha permesso di agire più freddamente e sviluppare meglio quelle idee che ci sembravano più valide. D’altronde lasciar fluire la musica senza troppi condizionamenti è la posizione migliore per tirare fuori qualcosa di buono davvero.” Pare che Robb abbia voluto mantenere una certa distanza dal desiderio di plasmare la perfezione, condizione che spesso lo ha messo nella posizione di creare musica impeccabile dal punto di vista formale ma un pochino impersonale. “Ho cercato di essere più morbido nei confronti degli arrangiamenti, una vera e propria ossessione per il sottoscritto. Questa volta ho ragionato nella forma canzone, rispettando quei dettami che rendono un brano grande ed ascoltabile: non intendo confonderti, ma ho applicato un metodo molto pop agli arrangiamenti, trovando spazio per i cori, ponendo l’accento sull’uniformità delle parti. L’attenzione è stata rivolta al flusso emotivo, all’incastro perfetto tra i riff, nella successione delle canzoni.” Rispettando un marchio di fabbrica ormai consolidato: “Esatto, perché la formula magica è la stessa dal 1994 ed in qualche modo è entrata ormai nel dna della band. L’ossessione della canzone perfetta è una chimera per ogni musicista ma, come affermò Bob Dylan, un artista che resiste nel tempo lo fa per trovare modi differenti di dire la stessa cosa. Sembrerà una pazzia, ma è proprio così, è da questo principio che scaturisce la voglia di andare avanti. Lavorare per trovare una via nuova per essere se stessi è eccitante e quando ci riesci il pubblico sente la tua eccitazione e la condivide. ‘Bloodstone & Diamonds’ è una pietra miliare per me e per il sound dei Machine Head, questo ci rende incredibilmente orgogliosi.” Nemmeno la resa live dei brani pare condizionare Robb sulla composizione, eppure tra le sue parole emerge ancora l’ambizione più pura: “Non potrai mai sapere come renderà un determinato brano e per questo non ci facciamo condizionare; anzi, siamo molto egoisti quando si tratta di comporre nuova musica, scriviamo per noi stessi e può capitare che dal vivo un pezzo non renda come dovrebbe. Ci sta, fa parte del gioco. È una specie di sfida senza regole scritte, alla fine non puoi che migliorare te stesso: io sono cresciuto musicalmente in ambienti estremi, che si trattasse di punk, thrash oppure hip hop. I Public Enemy, ad esempio, non facevano prigionieri: assistere ad un loro concerto era come andare in guerra, ma non credo scrivessero musica con questa intenzione, era il loro carattere ad emergere e questo è ciò che conta davvero. Avere le palle per essere il migliore, alimentare la competizione: Slayer e Metallica non si sono rivolti la parola per 30 anni per un motivo! C’era della tensione fra le band per dimostrare chi era il più forte. Nell’epoca d’oro del thrash c’era chi voleva essere il più veloce, chi il più pesante, chi il più intricato, chi il più estremo, diverse prospettive per raggiungere il top ed io penso che i Machine Head non temano la competizione con nessuno.” Quando fu distribuito ‘Unto The Locust’ Robb ammise di frequentare corsi di chitarra classica e canto, attività selezionate per accrescere ancora di più il proprio valore personale. “…ma ho smesso, ho capito che sono tagliato per certe cose e per altre sono negato. Non sarò mai il nuovo Pavarotti e non intendo diventare un cultore della chitarra classica. Ho preferito investire le mie energie nel perfezionare la composizione, nel cercare un equilibrio maggiore nei brani. A conti fatti ‘Bloodstone & Diamonds’ intende intraprendere un excursus nella semplificazione radicale; sia la musica che i testi sono stati confezionati per lasciare solo il necessario e tagliare il superfluo. Nel metal è così frequente trovare musicisti che infarciscono la loro musica ed i testi di una valanga di orpelli inutili che tolgono il fiato. Tagliare e semplificare per ridare gioia all’ascoltatore, magari aggiungendo elementi orchestrali, acustici e sinfonici in grado di rendere realmente unica la propria musica, includere un sospiro si sollievo ad un pacchetto musicale devastante.” Interessante interpretare questa affermazione: la prendiamo come la dichiarazione esplicita di un punto di arrivo per la band, oppure come la definizione dei principi attorno ai quali sarà sviluppato il sound da qui in avanti? “Riflessione interessante, non semplice da chiarire. Siamo “arrivati” così tante volte che non saprei proprio cosa rispondere: ogni nostro disco ha funzionato come una piattaforma di appoggio dalla quale si sono poi sviluppati elementi inediti per il successivo. Siamo rinati tante volte, sono risorto coi miei testi ad ogni album, perché da ogni morte parte una rinascita. Quando ti trovi sulla vetta puoi fare due cose: guardarti indietro per ammirare il cammino, oppure lanciarti nuovamente senza sapere dove andrai ad atterrare…” Anche se a Robb un giretto redditizio nel mainstream non farebbe schifo, come ammette candidamente: “Ci siamo fatti il culo per anni, garantendo la nostra disponibilità in ogni ambito per raggiungere una popolarità sempre maggiore col risultato che i nostri fan si sono letteralmente moltiplicati. Oggi c’è un mondo intero di persone che vive coi Machine Head, respira, mangia, dorme e caga con la nostra musica. Allora mi chiedo se ha ancora senso accettare compromessi e suonare ovunque, oppure è giunto il momento di godermi il nostro pubblico e pensare ad offrire loro solo il meglio. Non siamo i ##zzo di Beatles e neppure i Led Zeppelin, ma abbiamo uno zoccolo duro di persone che ci seguono e che ci amano: sono fermamente convinto che non ci sono molte altre band che possono dire lo stesso.” Anche il passaggio dalla Roadrunner Records alla pimpante Nuclear Blast pare aver aggiunto verve alla carica di Robb: “Sono molto soddisfatto del supporto che ci ha garantito l’etichetta tedesca, ho riconosciuto le stesse motivazioni che aveva la Roadrunner ai tempi di ‘Burn My Eyes’. C’è del sano entusiasmo nel loro modo di fare e per un artista, sentirsi parte di un sistema che vuole vincere, è molto importante. Oggi il mondo è molto più piccolo di quanto non lo fosse 20 anni fa: cellulari, internet, Skype sono mezzi di comunicazione che ti fanno sentire a casa ovunque tu sia e ricevere un sms dal presidente di Nuclear Blast (Markus Staiger) con i suoi vivi complimenti per il nuovo album mi ha davvero galvanizzato. Dal presidente di Roadrunner non ho mai ricevuto nulla di simile e questo già mi fa pensare di essere entrato a far parte di una famiglia che tiene a noi, ah ah (ridacchia, nda).” A proposito di famiglia, quando chiediamo a Robb di ricordare la figura di Debbie Abono (mancata il 16 maggio 2010), già sua manager ai tempi dei Vio-Lence, le parole fluiscono toccanti e profonde: “Debbie era una persona unica e non ci sarà mai nessuno come lei. Prova a pensare ad una signora di 55 anni che, senza alcuna esperienza pregressa, si butta nel calderone del thrash metal della Bay Area per fare da mamma – manager ad una manica di scapestrati senza sale in zucca. Lei si è presa cura dei Possessed, degli Exodus, dei Metallica ed anche della mia band (si riferisce ai Vio-Lence senza mai nominarli) quando avevo solo 19 anni. Non faceva mai mancare il suo supporto a nessuno, in termini morali ed economici, finanziando demo tapes, tour e merchandise. Pensa che a 60 anni suonati si è sparata due mesi in giro con noi per gli Stati Uniti sopra un van senza rimorchio: fissavamo la batteria sul tetto e stavamo stipati come sardine viaggiando per migliaia di chilometri ogni giorno. Quando gettai la spugna con la mia vecchia band ci trovavamo nel bel mezzo della Florida e non avevo un becco di un quattrino per ritornare a casa; in aggiunta io e sua figlia ci eravamo appena lasciati, ma trovai comunque il coraggio di chiamare Debbie per farmi avere qualche soldo. Mi mandò 500 dollari e da quel giorno mi sentii sempre in colpa per non aver restituito la somma fino a quando, col primo assegno ricevuto per i Machine Head, non andai diretto a casa sua e la invitai fuori a cena restituendo il dovuto. Da quel momento in poi siamo sempre rimasti molto legati ed anche nelle nostre ultime conversazioni (la voce di Robb trema a questo punto) lei mi ha sempre detto che avevo qualcosa di speciale e che ce l’avrei fatta. Non riesco a dire quanto queste parole sono state importanti per me ed ancora lo sono; Debbie è stata una seconda mamma per me, un essere speciale impossibile da replicare.”