Liquido di Morte – Dopes To Infinity
Il 12/10/2014, di Barbara Volpi.
Ci sono veleni che uccidono solamente chi non ne fa uso. I Liquido Di Morte, con il loro esordio omonimo, offrono l’opportunità di assuefarsi lentamente e senza danni a spirali sonore tanto tossiche quanto salvifiche. E l’effetto catartico è assicurato: provare per credere.
Tre pezzi che sono un viaggio nei meandri della psichedelia e del post rock per questa band milanese che garantisce circa quaranta minuti di pura droga sonora. Dentro ai Liquido Di Morte ci sono personaggi molto stimati per le loro ‘solomacellate’ e per la loro dissacrante auto-ironia, sostenuti nei loro deliri cannabinacei da Tommaso Mantelli e Nicola Manzan (Bologna Violenta). Sentite che cosa ci dicono.
Quando e come è partita l’idea di questo progetto?
“L’idea originale dei Liquido Di Morte nasce casualmente circa dieci anni fa in trattoria. Da quel momento in avanti molti di noi non hanno pensato ad altro, concentrando tutta la propria debordante creatività nell’onorare un moniker di tale peso. In particolare la sezione ritmica ha abbandonato ogni attività che non fosse suonare per raggiungere un livello tecnico di rilevanza mondiale. Al lettore e all’ascoltatore decidere se tanto sacrificio sia stato fruttuoso.”
I brani paiono dei viaggi sonori che si sviluppano mediante un percorso proprio. Vi siete abbandonati al flusso creativo mentre suonavate oppure avevate un perimetro entro il quale delimitare l’evoluzione dei pezzi?
“Abbiamo suonato ininterrottamente per settimane: la jam più lunga è durata circa 9 ore e risale al mese di Maggio 2010. Da quella singola jam è uscito l’intero platter di debutto: opportunamente tagliata ed editata, si intende. Abbiamo la fortuna di avere molti amici in Cina, fan conosciuti durante il nostro primo tour nel continente asiatico, più che altro: per pochi centesimi l’ora si sono ascoltati tutte le registrazioni (il totale ammonta a circa 310 ore, che se ci pensi non sono neanche tantissime) e ci hanno segnalato quali erano i migliori 40/45 minuti. Noi li abbiamo tagliati e incollati all’interno della forma canzone, che malgrado tutto rimane la nostra boa. Con un piccolo ma determinante sforzo siamo scesi a 37 minuti e il debut album era pronto per essere rilasciato.”
Come si è svolta la fase di registrazione?
“Non ce lo ricordiamo, scusa. Troppo fatti.”
Perché ‘Liquido di Morte’?
“Il perché è racchiuso in un piccolo scrigno consegnato sette anni fa a un notaio di Via Della Commenda, a Milano. Purtroppo l’origine del nome risale a qualcosa che qualcuno di noi ha urlato in occasione di un incidente mentre stavamo facendo qualcosa che ora come ora non si può raccontare. Nello scrigno consegnato al notaio c’è un breve filmato di quell’avvenimento, i nostri nomi reali e un lingotto d’oro. Il notaio ha istruzione di consegnare lo scrigno all’ultimo membro dei Liquido Di Morte che rimarrà in vita. Sarà lui a decidere se il contenuto verrà reso pubblico o meno.”
La splendida cover dell’album ha una qualche attinenza con il concept dei brani?
“No, in realtà è completamente slegata. Abbiamo scritto su un foglio tutti i temi trattati nell’album e l’abbiamo consegnato all’artista che avevamo scelto per realizzarla dandogli istruzioni di toccare tutti gli argomenti e le simbologie che voleva a esclusione di quelli segnati sul foglio. Questa può sembrare una prassi particolarmente bizzarra, ma è in realtà un processo creativo che mira alla complementarietà fra parola parlata, parola suonata e parola disegnata. I primi a sperimentare questo tipo di pratica furono nientemeno che i Supertramp.”
Ascoltando il disco mi sono venuti in mente Mogwai, Earth e Wolves In The Throne Room. Sono stati in qualche modo una vostra influenza o potete comunque elencare gruppi che vi hanno influenzato?
“Possiamo dirti tutti i gruppi ai quali ci hanno paragonato, sui giornali, sui quotidiani, su internet e nelle conversazioni al bar, eccola: Tool, primi Mayhem, Massimo Volume, Ufomammut, My Dying Bride, King Crimson, Mogwai, Wolves In The Throne Room, Bongripper, Yob, Il Grande Lebowski, Mourn, Nik Turner, Burzum, Diaphanoids. Quindi sì, almeno due di quelli che citi sono evidentemente una nostra influenza, o almeno così sembra pensarla il mondo, e noi non ci offendiamo.”
Il drone metal, lo space rock, il post metal sperimentale e strumentale stanno ottenendo un riconoscimento che non avevano mai avuto prima. Vi riconoscete nella visione di alcune etichette come ad esempio la Southern Lord che vogliono spingersi oltre alle differenze di genere portando anche il metal verso l’avanguardia?
“E’ curioso come la Southern Lord che, seguendo quel che dici, è nata per abbattere le barriere musicali si sia recentemente trincerata dietro una fila di inutili gruppi crust/d-beat che sono anche bravi ma chi se ne fotte. Forse il messaggio, come in ‘True Detective’, ‘Breaking Bad’ e ‘Il Giorno Della Marmotta’, è che tornare a casa è sempre confortante. Ormai è tutto talmente mischiato ed è passato tanto tempo da quando le barriere fra generi hanno cominciato a crollare che ci siamo convinti che la contaminazione non è un valore in sè. La gente ha avuto tutto il tempo di allargare i propri orizzonti, e ascolta sempre la stessa merda. Tanto vale fregarsene e suonare quel che viene spontaneo.”
Quanta weed c’era in studio di registrazione?
“Non importa perché è finita subito.”
Con quale criterio avete scelto e inserito le parti vocali?
“Quelle su ‘Ozric Pentacles’ le abbiamo inserite grazie alle Oblique Strategies, un sistema per migliorare il tuo futuro partendo dal pisciare il cane inventato nientemeno che da Brian Eno, noto per la sua musica ambientale e per la sua capigliatura indomabile. In sostanza peschi una carta sulla quale c’è scritto qualcosa che non si capisce, e la metti da parte. Ne peschi un’altra e quasi sempre succede la stessa cosa. Quando ci siamo rotto i coglioni era tardissimo, ci stavano cacciando fuori dallo studio e quindi ci siamo arrabattati come potevamo. Su ‘144’, invece, un brano dedicato alla pratica ormai in via di sparizione del sesso telefonico, abbiamo chiesto un intervento vocale a Giovanni Mozzarelli, che va sotto il nome d’arte di Johnny Mox. Una trisavola di Mozzarelli fu l’unica italiana (e questo lo sanno in pochi) a partecipare alla grande corsa all’oro nel Far West. Il testo recitato da Giovanni è stato rinvenuto nella tomba di questa antenata, tradotto in inglese e riportato in Italia grazie a un altro parente della famiglia. Una storia di morte, tragedia e pioggia, un sacco di pioggia.”
Pare che i LdM vogliano tenere un low profile privilegiando l’anonimato rispetto alla esposizione personale. Ci tenete a lasciar parlare soltanto la musica?
“Semplicemente non siamo particolarmente attraenti e quindi meglio lasciare il dubbio.”