Saanctuary – Flussi di Tristezza
Il 20/09/2014, di Andrea Vignati.
Racconti di fantasmi che ritornano ad inquietare i nostri sogni, creature perse nel passato che nella loro rigorosa decadenza ritornano in vita per raccontarci quella parte di storia che attendiamo da venticinque anni almeno.
Nella piovosa Seattle di fine anni ’80, quando ancora era in gestazione quello che diventò il devastante fenomeno grunge, aleggiava l’ingombrante presenza di una band dalla fortuna avversa, i Sanctuary, ensemble dal piglio thrash metal progressivo che aveva incantato il mondo metal attraverso due album, il debutto ‘Refuge Denied’ (1987) e lo splendido ‘Into The Mirror Black’ (1989). Agli albori dei ’90, complice il cambio di vedute del pubblico nei confronti del metal, per i nostri è stato necessario cambiare aria e provare nuovi stimoli, più secchi e radicali, che hanno rappresentato i cardini attorno ai quali si è sviluppata la storia musicale dei Nevermore, gruppo che di strada ne ha fatta tantissima, laureandosi campione e messaggero di una nuova generazione di metallari che proprio nella musica nervosa della band capitana dal singer Warrel Dane ha riposto fiducia. Nel 2010, in sordina, sono apparsi annunci circa alcuni show per i riuniti Sanctuary, accompagnati, manco ce ne fosse bisogno, dalle più classiche delle rassicurazioni circa lo stato di salute dei Nevermore. Nello stesso periodo – si parla di settembre del 2010 – ai concerti, vista la ritrovata armonia col resto del gruppo, uno sfrontato Warrel Dane fantasticava attorno alla possibile pubblicazione di nuovo materiale. Da una parte del ring ritroviamo quindi l’eccitazione per questa nuova scappatoia artistica, dall’altro i risultati poco entusiasmanti per ‘This Godles Endavour’, l’ultimo esangue sforzo a firma Nevermore, edito nello stesso anno…risultato? Sanctuary battono Nevermore per KO tecnico di li ad un anno. Vento in poppa per i Sanctuary quindi, che realizzano il sogno di ritornare sul mercato col freschissimo ‘The Year The Sun Died’. Noi, per capirci qualcosa di più, siamo andati a solleticare Warrel Dane e Lenny Ruthledge, assieme in viva voce dagli uffici tedeschi della Century Media; davanti alla nostra curiosità nei riguardi delle sensazioni e dei principi attorno ai quali ha preso forma questo inaspettato ritorno discografico il primo a lanciarsi nella mischia, ovviamente, è il singer Warrel Dane: “Il fatto di essere rimasti inattivi per così tanto tempo ci ha permesso di ritornare in pista con idee fresche, che ci hanno consentito di ridefinire, sotto ad una proiezione inedita, la nostra posizione musicale attuale” Lenny Rutledge, il chitarrista, aggiunge prontamente: “Di fatto i nuovi pezzi sono stati assemblati partendo da idee recenti. Abbiamo preferito staccare la spina col passato, nonostante avessimo un discreto quantitativo di materiale accantonato sul quale lavorare proprio per contribuire a ringiovanire la personalità della band” Col risultato che il carattere del nuovo ‘The Year The Sun Died’ risulta apparentemente discordante con l’attitudine plumbea e sofferente che fu di ‘Into The Mirror Black’, ultima prova in studio datata 1989. Warrel ci tiene a precisare un paio di cosette a riguardo. “Ogni disco nasce attorno ad una condizione particolare, quasi fosse un animale con un’indole ben definita. È naturale che negli ultimi anni ci siano stati dei cambiamenti nel nostro umore tali da influire sulla produzione musicale più recente: siamo molto contenti di quello che abbiamo prodotto, proprio perché è maturato senza alcuna pressione, seguendo solo l’istinto. Sarei scorretto nel definire quale album dei Sanctuary sia il mio preferito, proprio perché gli altri potrebbero ingelosirsi: questione di carattere, come vedi. E poi credo sia palese che anche ‘The Year The Sun Died’ mostri un lato introspettivo, depressivo se vuoi, ma il metal deve possedere questo tipo di caratteristiche. Non ho mai sopportato l’happy metal, accidenti!” Interviene Lenny: “A parte i Volbeat, dai!” E Warrel ribatte immediatamente: “Ma i Volbeat sono rock’n’roll, ##zzo, non fare confusione. E poi loro mi piacciono una cifra, sono spassosissimi!” Ritornata la calma, dopo un rapido scambio di battute tra i due, è Lenny a riprendere la parola, volenteroso nel sottolineare la personalità dei “suoi” Sanctuary. “La nostra musica è lunatica, capricciosa, e si sviluppa attorno a connotati parecchio aggressivi. Il termine In Your Face mi piace molto, anche se descrive solo parzialmente l’attitudine del sound: a questo aggiungo la costante variabilità, sempre in bilico tra parti più intense ed altre melodiche.” Warrel contribuisce: “Lenny ha ragione, il flusso emotivo dei brani è l’aspetto che abbiamo approfondito maggiormente ed io, che sono un grandissimo fan del gothic vecchio stampo, ne riconosco le virtù in brani come ‘Exitium’, la title track, così come per ‘I Am Low’, esempi chiarificatori della direzione emotiva attorno alla quale abbiamo elaborato l’intelaiatura del disco. Questo disco rappresenta la colonna sonora ideale di un grigio giorno di pioggia, quando ti è necessario il conforto di qualcosa di profondo. Questa non deve essere considerata come la più classica delle reunion, ma la nuova dimensione di una band che possiede idee innovative che intendono mantenere una certa contemporaneità. Più che di reunion parlerei quindi di re invenzione dei Sanctuary: il taglio della produzione è moderno, il sound potentissimo, caratteristiche fondamentali per essere “competitivi” al giorno d’oggi. Non vogliamo essere il classico pezzo da museo che interessa solo ai feticisti di un’epoca passata.” Galeotta fu l’opportunità per una serie di show commemorativi nel 2010, poi la debacle dei Nevermore ha trasformato questo rispettabile passatempo nella priorità numero uno per Warrel Dane. Il diretto interessato cosa ne pensa? “Abbiamo suonato assieme nel 2010 e c’è stata subito un’intesa fantastica tra di noi, tanto da farmi sbilanciare rilasciando una piccante dichiarazione su di un ipotetico album all’orizzonte; era l’unico modo per obbligare gli altri a prendersi degli impegni a lungo termine e così ho fatto, per la gioia di tutti. La mia carriera solista continuerà, ci mancherebbe, ma ritengo l’opportunità di rimettere in carreggiata i Sanctuary una sfida eccitante, che in qualche modo può completare il mio profilo artistico. Prevedo grandi cose per noi e posso già anticipare che questo non sarà l’ultimo album, ma che ne seguirà un altro almeno. The Future Is Wide Open diceva una tal attricetta porno in un film che ho visto l’altra sera, ah ah (ridacchia, nda).” La protezione del colosso Century Media e le aspettative dei fan non sembrano turbare la stabilità in seno al gruppo. Warrel e Lenny precisano: “(WD) Mi sento un privilegiato, un uomo fortunato, visto che non ci sono state richieste garanzie di alcun tipo da parte dell’etichetta. Siamo stati noi a mandare dei demo, giusto per testimoniare l’avanzamento dei lavori di produzione. Siamo stati coscienti delle aspettative dai fan sin dal primo giorno, ma non ci siamo fatti condizionare durante il songwriting: ci siamo buttati a capofitto seguendo l’intuito e per ora i feedback che abbiamo raccolto sono stati lusinghieri. (LR) Ricordo l’emozione del nostro primo show a Seattle: siamo saliti sul palco ed il pubblico è esploso in un boato di accoglienza assordante. Suonare in condizioni del genere non è semplice a livello emotivo, specialmente se sei fuori dal giro da un po’. Invece ci siamo lanciati nella set list senza pietà in un concerto dall’intensità esaltante. Memori di queste vibrazioni abbiamo affrontato il processo di sviluppo dei nuovi brani secondo lo stesso principio e penso che questa strategia abbia funzionato a meraviglia.” La personalità del disco si riflette, ovviamente, nello spessore dei testi, ad opera del solito Warrel: “Il giorno in cui il sole morirà saremo tutti passati a miglior vita. È logica ragazzi, non ci possiamo fare nulla: un giorno o l’altro questo mondo finirà. Ho creato un personaggio, una specie di profeta del destino, che predica la fine del mondo. Si tratta di una figura mistica che sviluppa attorno a se un vero e proprio culto, riscuotendo un certo successo tra la gente, pronta ad incontrare la propria morte quando il sole si spegnerà! Ci sono altri argomenti, sempre a carattere decadente, che vengono esplorati nel corso del disco: ad esempio, ‘The World Is Wired’ tratta della nostra completa dipendenza dalla tecnologia. Ormai ciascuno di noi è schiavo di laptop e smartphones, tanto che considero questi mezzi una specie di droga di nuova generazione che agisce a livello subliminale sulle nostre coscienze. Prova a farci caso: perché i bambini, specialmente quelli più piccoli, sono così avvezzi alle tecnologie più recenti? Perché la loro mente è vergine e permeabile ed i mostri che si celano dietro la tecnologia insinuano il seme dello sfruttamento in loro. Nel futuro saremo tutti schedati, mediante codice a barre tatuato sul collo, e finiremo dritti all’inferno, ah ah (risata satanica a chiudere, nda). Scherzo, ovviamente!” L’argomento è propizio per Warrel per lanciarsi in una disamina dei film, di fantascienza o meno, che hanno alimentato la sua passione di cinefilo: “Accidenti, finiremo con le macchine volanti che viaggiano nel tempo, proprio come in ‘Ritorno Al Futuro’, un film che riguardo con piacere ogni volta che lo passano. Era incredibilmente avanti per l’epoca e sceneggiature di quel livello non vengono più scritte oggigiorno purtroppo. Il mio film preferito di sempre è ‘Jacob’s Ladder’ (da noi ‘Allucinazione Perversa’, del 1990 a firma di Adrian Lyne), un autentico capolavoro senza tempo, da non crederci! Tra gli ultimi film visionati mi sono entusiasmato con ‘Blue Is The Warmest Colour’ (‘La vita di Adele’ del 2013), tre ore di film che tratta dell’amore omosessuale di due ragazze e che esprime in modo radicale come l’amore può creare, distruggere e modificare drasticamente la vita di una persona. Davvero ammirevole, sono rimasto impressionato a dire poco: la tensione che si vive nel corso delle tre ore è incredibile, sono letteralmente rimasto inchiodato davanti allo schermo! In ambito horror mi sento infine di consigliarti ‘Oculus’ (‘Oculus – Il Riflesso Del Male’, 2013), il miglior film dell’orrore da anni a questa parte. Semplicemente magnifico: racconta di questo specchio infestato da demoni e fantasmi che viene acquistato da una famiglia apparentemente normale. Non voglio dirti più di così, ma cerca di vederlo…è stratosferico.” Warrel, prima del commiato, esprime un commento circa una sua ben conosciuta passione: la cucina italiana . “Ogni volta che sono al telefono con voi italiani mi viene fame, rappresentate con onore la terra della cultura culinaria e ti posso assicurare che, dopo la musica, è proprio la vostra cucina la mia più grande passione. Sono ormai diventato un maestro della carbonara, dell’arrabbiata e dell’amatriciana!” Pronto per Masterchef USA quindi? “Ma non ci penso nemmeno, quel programma mi sa tanto di buffonata. I veri chef sono da un’altra parte, probabilmente nelle case di noi appassionati.”