Lizzy Borden – Still Against The World
Il 20/09/2014, di Stefano Pera.
Festeggiano i trent’anni di carriera i Lizzy Borden e li festeggiano alla grande, con un tour europeo ricco di sorprese e colpi di scena. Ne abbiamo approfittato per ripercorrere la carriera di un gruppo che forse ha raccolto meno di quanto ha meritato ma sempre in grado di esercitare un certo fascino, insieme al suo leader, in un tourbillon di aneddoti e confessioni.
Se per i canadesi Anvil, band culto degli anni Ottanta rilanciati recentemente dal nostalgico rockumentario ‘The Story Of Anvil’, le ragioni della mancata esplosione vanno ricercate nell’aver clamorosamente fallito il luogo e il momento giusto, ancora ignote rimangono le cause del mancato “grande salto” per i Lizzy Borden. La band di Los Angeles nonostante avesse avuto i natali là dove il glam rock è deflagrato in tutta la sua potenza, una manciata di album di eccelsa fattura, un’immagine di grande impatto (almeno per gli standard dell’epoca), un songwriting efficace, live show shockanti e un carisma immenso tutto racchiuso nell’istrionico singer non è infatti mai riuscita a sfondare realmente, continuando a galleggiare in una dimensione di cult band ma portando ancora caparbiamente in giro per il mondo il suo carrozzone per celebrare almeno in sede live 30 anni di ostinata, dignitosa carriera. E proprio alla vigilia dello show torinese che vedrà impegnato il gruppo americano, che abbiamo modo di avvicinare Mr. Lizzy Borden, abiti di scena già addosso, un leggero make up che verrà poi coperto on stage da un tourbillon di meravigliose maschere, ripercorrendo con lui idealmente i passi salienti, tra successi (pochi) e rimpianti (tanti) della storia della sua creatura “Tutto è radicalmente cambiato attorno a noi in questi 32 anni – inizia a raccontare rilassato il cantante – il music business è morto e le band devono ingegnarsi per sopravvivere. La musica va fatta con intelligenza, muovendo le pedine giuste, cercando di ottenere il massimo risultato con il minimo dispendio finanziario, visto che gli introiti oggi sono ridotti all’osso. Oggi si lavora in casa, ci si produce i dischi da sé, si realizzano album scambiandosi i file tra diversi continenti assemblando poi tutto in studio come un grande puzzle. Noi ci siamo nostro malgrado adattati, abbiamo ragionato su quella che fosse la soluzione migliore per andare avanti e stiamo lavorando con tutte le nostre forze per poter portare ancora la nostra musica in giro per il mondo”. La storia racconta di una band in circolazione da oltre trent’anni ma con, all’attivo, solamente sei album, dati che fanno pensare ai Lizzy Borden come animali da tour piuttosto che topi da studio “…anche perché l’industria musicale è morta e non so quanto valga la pena sfornare dischi ogni anno – spiega – Poi, se devo essere sincero, non mi è affatto piaciuto come sono stati promossi i nostri ultimi due lavori. Quando ci siamo trovati a incidere nuovo materiale era nostra intenzione aprirci verso un nuovo pubblico, portare la nostra musica alle nuove generazioni, ed invece siamo trattati come vecchi dinosauri intenti a scrivere canzoni per nostalgici. Il messaggio che volevamo lanciare non è passato o è stato stravolto da chi doveva occuparsi della nostra promozione. Non mi interessava fare la parodia ottantiana di Lizzy Borden, volevo qualcosa di nuovo, volevo far capire alla gente che Lizzy Borden aveva una dignità artistica e una credibilità anche nel Duemila. Ed invece solo perché avevamo oltre vent’anni di storia alle spalle siamo stati trattati alla stregua di qualsiasi band revival. Detto questo, la voglia di scrivere non mi è mai passata, compongo nuova musica ogni giorno, ho già del materiale pronto e credo che farò uscire qualcosa nel prossimo anno, ma non prima di aver fatto le mie buone valutazioni. Prima di buttare un nuovo disco fuori devo trovare delle persone che credano veramente nel progetto e che vogliano promuoverlo così come deve essere promosso, trattando il nuovo disco per quello che realmente è. Ma non è una cosa semplice, perché oggi di soldi ne circolano sempre meno e le vendite rimangono un’incognita, quindi ti viene difficile pianificare il lavoro, l’uscita del disco e la sua promozione. Ma appena avrò risolto questo problema uscirò certamente con un nuovo album”. Diradata almeno in parte la nebbia che avvolge il futuro del gruppo losangeliano, ci si può concentrare sul tour celebrativo dei trent’anni dei Lizzy Borden, un buon mezzo per ripercorrere la storia della band non solo attraverso i vecchi classici, ma anche abbandonandosi agli aneddoti snocciolati in abbondanza dall’istrionico cantante. Come quello che accompagna la realizzazione del seminale ‘Menace To Society’ nel 1986, miele per le orecchie dei fan, un incubo per il musicista che lo stava realizzando “Se potessi tornare indietro cambierei tutto nella realizzazione di quel disco – confida – La lavorazione è stata un autentico calvario, in studio c’erano cinque persone che dicevano cosa fare e chiedevano tutto e il contrario di tutto, ed il produttore (Jim Faraci, Nda) che, inerme, diceva sempre si. Nelle nostre intenzioni il disco doveva suonare come un album dei Judas Priest solo più fresco, ma alla fine è uscito sin troppo leggero. La colpa fu del produttore, che non si impose mai con noi. Avevamo bisogno di un producer con le palle, che prendesse in mano la situazione, che ci dicesse ‘No, ora facciamo le cose come voglio io!’ e ci guidasse con un po’ di criterio. Probabilmente se avessimo avuto un produttore come si deve sin dall’inizio, le cose sarebbero andate diversamente per il gruppo. Questo è uno dei miei maggiori rimpianti”. Un altro aneddoto gustoso (ma qui si sconfina nella leggenda metropolitana) è quello che vuole Vince Neil fuggire in lacrime dal pre ascolto di ‘Visual Lies’ convinto che la sua carriera fosse ormai giunta al capolinea davanti a cotanta classe vocale e compositiva “Una leggenda metropolitana, come ne circolano tante – mette le mani avanti Mr. Gregory Charles Harges – questa addirittura mi era sfuggita! Quello che posso dire è che all’epoca era facile vedere quello o quell’altro artista intrufolarsi in studio per dare un’ascoltatina a quello che stavi incidendo. Ricordo che una volta ci trovammo lo studio invaso di persone senza capire cosa ci facessero tutte li. Poi ci venne detto che Prince in persona era passato a ascoltare qualche nostro pezzo, andando poi a dire in giro che stavamo componendo un capolavoro e suscitando così la curiosità tra gli addetti ai lavori”.E ‘Visual Lies’, lavoro del 1987, nonostante una cover imbarazzante (“Ma quella non fu una mia idea – ci tiene a precisare il cantante – tra tutte le soluzioni proposte non me ne piaceva nessuna e allora la label scelse quella senza pensarci troppo su. Non ci fu nessun controllo sulla qualità del prodotto, e questo è uno dei motivi della mia frustrazione, perché le cose o si fanno bene, o non si fanno e basta”) si presentava davvero come un piccolo gioiellino di metal a stelle e strisce. Tutte le carte in regola per sfondare, insomma, ed invece…”Nessuno volle lavorare il disco come avrebbe meritato – continua – Molto probabilmente in quel periodo le label guardavano più alla quantità che alla qualità, prediligendo gruppi usa e getta che si esaurivano dopo un hit single. Mi ricordo che una volta mi ritrovai in ascensore con il presidente della Capitol Records il quale mi fece i complimenti per ‘Me Against The World’ dicendosi sorpreso che non fosse diventato un hit single. Io gli risposi che noi eravamo stati sotto contratto con la Capitol, e che avrebbero dovuto pensarci loro a promuoverla a dovere e a farla diventare una hit” E sempre a causa di altri “giochini politici” della label di turno, venne vanificata la grande chance di aprirsi al grande pubblico e effettuare così il salto decisivo “Il metodo migliore per far conoscere una nuova band, è aggregarla al carrozzone di qualche grande gruppo e farle fare da supporto in un tour importante, basti pensare a chi ha avuto modo di aprire per i Kiss e suonare ogni sera davanti a 10.000 persone: una vetrina immensa. Noi questa chance non l’abbiamo mai avuta, perché ogni volta che sembrava esserci la possibilità di aggregarci a qualche grosso tour, puntualmente la label cambiava le carte in tavola decidendo all’ultimo di mandare un altro gruppo e noi a casa a leccarci le ferite…Poi un grande freno è stato rappresentato dalla mollezza di certe etichette al momento di promuovere i nostri lavori; quanti nostri dischi sono passati davanti ai nostri occhi con la velocità della luce senza venire minimamente promossi? Ci è capitato di sentirci dire da una label, dopo appena sei settimane dall’uscita del disco ‘Ok, ora andate in studio e incidetene un altro!’ E noi a chiederci il perché, visto che un nostro brano era in vetta alle classifiche delle radio dei college e ci aspettavamo di poter promuovere il disco dal vivo, come si deve”. Anche perché la dimensione live è sempre stata la più congeniale per i Lizzy Borden, come conferma il loro ‘The Murderess Metal Roadshow’, disco dal vivo del 1986, uno dei migliori live album degli anni Ottanta insieme a ‘Live After Death’ degli Iron Maiden, ‘Priest…Live!’ dei Judas Priest e ‘World Wide Live’ degli Scorpions “Il lato live, anche per via della sua componente visiva, è stato sempre importantissimo per noi, per questo lo abbiamo sempre curato nei minimi particolari. Forse negli anni Ottanta avremmo dovuto cercare fortuna in Europa puntando di più sui live in questo Continente ma purtroppo i budget erano sempre ridotti e la label non volle mai investire per farci fare dei tour importanti in Europa. Oggi stiamo cercando di recuperare il tempo perduto venendoci a suonare appena possibile, anche per un singolo show, come la leggendaria edizione del 2010 del Wacken o lo Sweden Rock”. Un merito enorme al gruppo è stato quello di non essersi sfaldato né di aver cercato biecamente di reinventarsi come fatto da altri colleghi di Los Angeles nel pieno boom del grunge, conservando così la propria integrità e una coerenza che oggi gli viene riconosciuta “Durante l’esplosione del grunge non avevamo il potere per opporci, non avevamo i mezzi finanziari per combattere, quindi se i nostri miti Kiss trovarono il modo per sopravvivere, noi facemmo semplicemente un passo indietro, mettendo a riposo i Lizzy Borden e formando gli Starwood giusto per mantenerci in forma e continuare a divertirci suonando. La scelta fu azzeccata, perché invece di combattere decidemmo di prendere delle pause più o meno lunghe, estraniandoci da una scena che neanche ci considerava più. Così facendo ogni volta che annunciavamo la reunion veniva a crearsi un certo clamore attorno al gruppo e si riaccendeva l’entusiasmo. Altre band che decisero di seguire la strada del compromesso, invece, finirono per bruciarsi completamente, le vedi oggi e paiono il fantasma di loro stesse. Io non voglio fare la fine di quei gruppi, è per questo che, se devo ritornare con un nuovo disco, voglio che questo abbia le palle, che suoni come si deve e che venga promosso nel migliore dei modi. Non vedo l’ora di tornare in studio, e di sicuro ci ritornerò, ma solo quando avrò la certezza che il disco che ne verrà fuori sarà una vera bomba”
Foto ALICE FERRERO