Judas Priest – Lunga Vita al Redentore
Il 20/08/2014, di Andrea Vignati.
Solido come un blocco di granito e classico come le più gradite sorprese: ‘Redeemer Of Souls’, questo il titolo del nuovo album firmato Judas Priest, un ritorno al passato col piglio necessario per guardare coraggiosi al futuro.
L’effetto sorpresa è determinante per creare curiosità, è una via obbligata per mantenersi al passo col velocissimo flusso informativo che caratterizza il terzo millennio. Diverso trovarsi ad alimentare un mostro proveniente dal passato, che proprio nell’età dell’oro del movimento heavy metal ha siglato pagine di importanza capitale definendo le caratteristiche di base attorno alle quali si sono consolidati criteri valutativi ancora oggi attualissimi. Necessario quindi pagare tributo alle proprie origini per non scontentare i “puristi”, trovare qualche goccia di coraggio per essere ancora rispettabili e confezionare il tutto con un equilibrio che non si trova mai sui libri di scuola. Semplice nevvero? Neanche un po’, specialmente se sotto ai riflettori ci finiscono delle vere e proprie icone come i Judas Priest, la cui precedente tornata da studio, ‘Nostradamus’ del 2008, ha espresso il carattere di opera omnia dall’ambizione quasi sfrontata. Reazione naturale da molti attesa un ritorno discografico più “canonico”, che permettesse al gruppo il ritorno all’uso di due aggettivi determinanti: classico e solido. ‘Redeemer Of Souls’ è esattamente tutto ciò, ossia un lavoro molto più prevedibile e lineare del predecessore ed allo stesso tempo meno impegnativo. La goduria è garantita, sia chiaro, ma pare tutto un pochino preconfezionato, messo sotto vuoto per essere estratto dal freezer proprio nel momento in cui dovevano essere rilanciate le azioni della band. Avvisati dell’opportunità di colloquiare con Rob Halford non ci siamo fatti pregare e ci siamo concessi il lusso di razionalizzare il più possibile il ritorno discografico di uno dei “dinosauri” del metal. Ovvio solleticare il gentilissimo singer attorno gli aspetti salienti di questo nuovo ‘Redeemer Of Souls’, cercando di trovare quel filo conduttore che lo unisce ai suoi illustri predecessori ed illustrare quali sono le qualità che lo renderanno appetibile al palato dei fan. Rob, lusingato, si lancia immediatamente nella descrizione: “Riconosco la determinazione nel provare a seguire il flusso della nostra musica mantenendo chiara la collocazione del sound dei Priest nel mondo metal contemporaneo. Questo è un disco solido, che comprende tutte le caratteristiche che hanno definito la band nel corso degli anni ed avverto un sacco di sensazioni positive, specialmente provenienti dai fan più vicini a noi, quelli che ci seguono da sempre. Nel corso della nostra carriera abbiamo cambiato rotta spesso con l’intenzione di evitare di essere catalogati come una comune band heavy metal; col passare del tempo però acquisisci quella maturità che ti fa decidere rapidamente quale sarà la direzione da intraprendere col passo successivo. Non si tratta di rimanere in una zona di sicurezza che ti permette spesso di portare a casa il risultato senza troppi sbattimenti, ma di capire meglio dove dirigere le tue energie per tirare fuori il meglio.” Il titolo ‘Redeemer Of Souls’ tradisce l’urgenza di redenzione da parte delle anime contemporanee… “Nella complessità oggettiva del mondo moderno la gente si trova alla ricerca di risposte; in molti sono orientati nel farsi domande importanti volte a migliorare la propria condizione di vita, per sentirci più vicini ed amati da un mondo sempre più squilibrato ed imprevedibile. Sentendomi parlare a questo modo sembro un nonnetto avvizzito che filosofeggia sulla sua vita passata, ma non è così: la redenzione non deve essere intesa come il perdono trasversale verso le nostre azioni, bensì un messaggio di positività che deve arrivare ad ognuno di noi. In ambito strettamente musicale, invece, ‘Redemer Of Souls’ è giunto tra noi per fare pulizia grazie alla sua purezza, per estendere al pubblico delle buone vibrazioni e riportare equilibrio in una scena sempre più sbilanciata e priva di certezze.” Difficile separare il concetto di redenzione spirituale dalla redenzione fisica, dall’abbandono alla propria essenza di essere umano, colpevole, perdonabile e mortale… “Ho sempre apprezzato la dualità alla quale ti riferisci, sta tutta in questa band chiamata Judas Priest. Giuda tradì Gesù e lo fece a livello fisico, mentre la figura del prete arriva a riconciliare il tradimento con una promessa di lealtà morale totale. La nostra musica ha sempre espresso contenuti comunicativi di positività nei momenti di crisi, quasi fossimo una mutazione rock’n’roll del gospel, ah ah (ridacchia sommesso, nda). Esistono band devote alla blasfemia, alla malvagità, noi cerchiamo invece di inserire nei nostri testi elementi che facciano leva sul pensiero della gente e ne inducano la positività. Come già detto ogni cosa nella nostra vita deve possedere un equilibrio: ecco allora comparire la potenza provocatoria del metal, testimoniata da suoni talvolta sgraziati, irruenti, accompagnata da uno schema lirico che induce alla riflessione. L’argomento è vastissimo e può essere affrontato da una miriade di angolazioni differenti; magari tra qualche anno le università si concentreranno per analizzare il potere della musica non solo ai fini sociali, quale messaggio riferito alla realtà contemporanea, bensì come indicatore di una salute morale che non ha riferimenti valutativi.” Alcuni dei personaggi creati nelle canzoni del catalogo Judas Priest incamerano più di altri il senso decadente di eroi dalla moralità traballante, come ad esempio per ‘The Sinner’, ‘Defender of The Faith’, ‘Painkiller’ ed anche ‘Angel Of Retribution’… “Sono pienamente d’accordo con questa analisi e mi fa piacere constatare che queste figure non siano state semplicemente trasferite nella storia del metal, ma possiedano ancora un valore contestuale contemporaneo. Io scrivo la stragrande maggioranza dei testi e, nonostante ci siano sempre stati confronti col resto della band, mi sento responsabile del messaggio che offriamo al pubblico. Per il sottoscritto non esistono schemi, bensì solo un costante flusso emotivo che si trasferisce nei testi; vedere che i miei sentimenti trasferiti nelle nostre canzoni sono ancora attuali mi riempie di orgoglio, grazie davvero.” L’ingresso di Richie Faulkner in formazione, chiamato a sostituire K.K. Downing alla chitarra pare aver ringiovanito il profilo artistico della band… “Al termine dell’Epitaph Tour abbiamo avuto l’opportunità di siglare un contratto per una serie ulteriore di concerti ma proprio in quel momento Ken ci ha informati della volontà di lasciare la band e prendersi un periodo di riposo. Non sapevamo più cosa fare: non è semplice trovare un sostituto del calibro di Ken, lui è sempre stato una delle colonne portanti dei Priest (K.K. è rimasto coi Judas dal 1970 al 2011, potete capire l’angoscia di Rob, nda). Come accade spesso nelle situazioni comuni ci siamo rivolti agli amici più vicini alla ricerca di un consiglio; non ricordo esattamente come è nata la cosa, ma un bel giorno mi sono trovato a guardare su Youtube una performance di Richie con Lauren Harris e sono rimasto impressionato dal suo stile; capivo che c’era qualcosa di speciale in lui e sono subito andato a controllare sul suo sito per cercare qualche informazione in più sul suo conto. Qualche settimana dopo ci siamo incontrati, io, lui e Glenn (Tipton, l’altra “ascia” storica dei Judas, nda) e si è stabilito subito un elevato rapporto di intesa tra di noi; abbiamo chiacchierato, Richie mi ha fatto sentire alcune sue composizioni ed ho avvertito in lui tanta onestà ed un atteggiamento spontaneo e naturale. Il passaggio successivo è coinciso con la sua presentazione a Ian e Scott per una jam session dove tutto ha funzionato a meraviglia, ogni cosa ha trovato il suo posto. Non mi sembrava vero, avevamo trovato il sostituto di Ken in men che non si dica.” La salute precaria di Lemmy ed il possibile commiato definitivo dei Black Sabbath con Ozzy Osbourne alla voce sono spunti d’analisi per il rapporto che lega Rob ad alcune tra le ultime vere rock star ancora attive. “Lemmy ed Ozzy sono amici di lunga data, abbiamo suonato moltissime volte assieme e si può dire che rappresentano i riferimenti certi del metal contemporaneo. Sono state alimentate diverse speculazioni attorno al loro conto, ma dopo tutto il metal è un ambiente molto ristretto dove tutti si conoscono, le voci corrono rapidamente e quello che rimane è la sostanza, quando sali sul palco e fai bene il tuo mestiere. Lemmy ed Ozzy ancora lo fanno egregiamente ed allora mi chiedo, perché continuare ad alimentare dicerie nei loro confronti? C’è forse bisogno di gossip anche nel metal? Bah, forse si.” Nella propria carriera Rob non ha disdegnato alcune divagazioni artistiche (ricordiamo i Fight ed i ben più controversi 2wo con John 5), situazioni che gli hanno permesso di maturare un profilo artistico assai completo. “Io mi sento un artista appagato dalla propria carriera, ho conosciuto il successo, ho avuto il coraggio di cambiare le carte in tavola parecchie volte e penso di non essere ancora finito. Qualcuno obietterà che magari in ambito metal ho già dato tutto, ma chi può dire cosa mi riserva il futuro. Ho tante cose per la testa e la musica è sempre stata la mia unica priorità. Sono impagabile ed i miei istinti musicali devono essere soddisfatti, questa è l’unica certezza che porto con me per il futuro. Mi piacerebbe realizzare dei dischi con le altre icone del metal, adoro le collaborazioni estemporanee, sono divertenti: uno degli artisti con cui mi piacerebbe collaborare è sicuramente Bruce Dickinson, col quale ho solo avuto un contatto anni fa per ‘The One You Love To Hate’ (pezzo contenuto su ‘Resurrection’ degli Halford, edito nel 2000). Lui ha una voce unica e rappresenta perfettamente il valore di un cantante heavy metal, così come Glenn Hughes e James Hetfield, altri due artisti sensazionali che con la loro voce hanno contribuito a scrivere pagine importanti del nostro genere preferito. Sarebbe grandioso fare un disco con loro e sono sicuro che i fan impazzirebbero all’idea; di recente ho contribuito alla compilation ‘This Is Your Life’, il tributo a Ronnie James Dio dove ho inciso ‘Man On The Silver Mountain’ in collaborazione con Vinny Appice, Doug Aldrich, Jeff Pilson e Scott Warren. È stato un momento speciale, lo riconosco.” Tempo di tirare le somme per una vita vissuta fino in fondo, nella quale la provocazione ha giocato un ruolo fondamentale nel mantenimento del profilo di un personaggio controverso come Rob Halford. “Da giovane ero molto più attento rispetto ad oggigiorno ad alimentare il personaggio che impersonavo. Dovevo costantemente inserire elementi che mi rendessero unico agli occhi dei fan, sia dal punto di vista artistico che personale. Oggi vivo in modo molto più rilassato, non mi faccio assalire dagli eventi ed ho capito che il successo può andare e venire ed è proprio questa variabilità che rende un artista davvero unico. Ovvio, devi essere pronto a cambiare, devi capire il concetto stesso di maturazione per mettere in pratica i consigli che la vita ti concede; questo perché la vita è imprevedibile e gli errori che commetti ogni santo giorno sono la base attorno alla quale si fortifica il tuo carattere, gli input che ti permettono di non commettere sempre le stesse sciocchezze e migliorarti come persona. Se tu fossi costretto a vivere una vita piatta e monotona dopo un po’ la tua ispirazione ti abbandonerebbe e ripeteresti te stesso all’infinito, comodamente confinato in una zona confortevole dove bandire ogni dubbio: mamma mia che tristezza sarebbe! La vita è un dono che va vissuto fino all’ultimo secondo: si tratta del principio di azione e reazione, tutto qui. Tu puoi controllare te stesso, non il mondo che ti sta attorno, per cui mi chiedo: perché lamentarsi della propria esistenza quando siamo noi gli artefici di tutto?”