Papa Roach – March Out of the Darkness
Il 07/09/2012, di Fabio Magliano.
Può anche succedere che da un divorzio nasca una nuova vita. Lo sanno bene i Papa Roach, segnati dalla separazione del singer Jacoby Shaddix dalla compagna di una vita e capaci di trarre da questo linfa vitale per partorire ‘The Connection’, album con radici nella negatività ma dai frequenti spunti positivi, come ci conferma il bassista Tobin Esperance.
Confesso di non aver mai capito nulla. La prima volta che ascoltai i Papa Roach, lo ammetto, con una certa superficialità, ne rimasi folgorato, al punto da adottare per anni il motivetto iniziale del tormentone ‘Last Resort’ come suoneria del cellulare, mosso dalla convinzione di trovarmi al cospetto di un nuovo, frizzante, scanzonato fenomeno crossover. Solo in un secondo momento, addentrandomi nei testi del gruppo di Vacaville, compresi come le mie telefonate in entrata fossero annunciate da una autentica tesi sul suicidio. Capii allora come i Papa Roach non fossero assolutamente una band “leggera” e tantomeno scontata, quanto un gruppo emotivamente contorto, tormentato e dalla costante negatività di fondo. Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata, il gruppo ha raggiunto vette impensabili, ha mietuto successi un po’ ovunque arrivando a vendere oltre 10 milioni di dischi, eppure quel pessimismo continua ad essere li, ben presente, come conferma il nuovo disco ‘The Connection’, partorito in un momento estremamente difficile per il singer Jacoby Shaddix….questo, almeno, è quanto ci racconta il pacato bassista Tobin Esperance.
La pubblicazione del nuovo album ‘The Connection’ è imminente. Alla vigilia della sua uscita, quali sono le aspettative che avete per questo lavoro?
“Guarda, è molto difficile rispondere a questa domanda perché la nostra carriera è sempre stata una mastodontica montagna russa. Abbiamo avuto picchi altissimi ma anche preoccupanti battute a vuoto, quindi non sappiamo cosa aspettarci… I primi due album, ad esempio, hanno venduto benissimo, ci hanno resi celebri e ci hanno fatto conoscere alla massa… poi il terzo disco, quello che sarebbe dovuto essere il disco della verità, è andato un po’ peggio e ci ha colto tutti alla sprovvista, poi è arrivato il quarto ed è stato un nuovo successo… Posso dirti quello che speriamo: speriamo che i nostri fan, che non hanno mai smesso di seguirci e di supportarci, comprendano il nuovo lavoro, i terremoti emozionali che vi sono alla sua base, il percorso stilistico che ha portato il nostro sound a crescere ed a portarci ad essere quelli che siamo oggi”
Come inquadreresti stilisticamente il vostro nuovo disco?
“E’ un disco molto vario, che rappresenta un nuovo passo in avanti nella nostra evoluzione stilistica. In ‘The Connection’ si possono trovare tutti quegli elementi che ci hanno fatto apprezzare dal pubblico nel corso degli anni. Il primo singolo estratto, ‘Still Swingin’, ad esempio, trovo che riprenda in qualche modo il mood del nostro singolo di maggior successo ‘Last Resort’. Rispetto al suo predecessore, poi, abbiamo cercato di inserire maggiore elettronica senza però perdere il classico Papa Roach-groove. Su ‘Metamorphosis’ avevamo visto che l’elettronica funzionava bene, donava qualcosa di più al nostro sound ed a questo giro abbiamo voluto sviluppare questo discorso, tenendo però ben presente quella che è la natura del nostro sound. C’è di tutto in questo lavoro, ci sono pezzi più energici con tutte le carte in regola per diventare dei grandi hit e altri più tranquilli…e poi ci sono come sempre stili differenti ben miscelati tra di loro. Su ‘Still Swingin’ c’è qualche accenno al rap, in altri emerge il nostro animo più metallico, in altri ancora domina l’elettronica, e poi ci sono le ballate che portano alla luce il volto più introspettivo e morbido della nostra musica”
Hai accennato agli elementi elettronici presenti in ‘The Connection’. Che peso ha l’elettronica nell’economia di questo lavoro?
“L’elettronica non è un vero e proprio strumento, non è una delle nostre basi e non penso che lo sarà mai. Mi piace piuttosto vederla come un abbellimento, un mezzo per evolvere il nostro sound, un importante contorno. Ma se togliessimo l’elettronica dai nostri pezzi ne uscirebbe un’ottima canzone hard rock , il brano non perderebbe la sua identità ma potrebbe benissimo continuare a brillare di luce propria. L’elettronica in questo senso non è altro che una preziosa decorazione”
Venendo al contenuto lirico del disco, cosa si cela dietro ad un titolo come ‘The Connection’?
“La connessione citata nel titolo del disco è quella che ognuno di noi deve avere con il mondo esterno, con le persone che ci circondano, con il nostro partner, con i nostri amici. La vita è fatta di rapporti, di scambi, in un costante dare/avere anche solo a livello emotivo, ed è su questo aspetto dell’esistenza che abbiamo voluto porre l’accento. Perché alla fine ogni rapporto, dal più sereno a quello più burrascoso, finisce per lasciarti qualcosa e renderti una persona migliore”
Titoli come ‘Where Did The Angels Go?’, ‘Before I Die’, ‘Wish You Never Met Me’, ‘Leader Of The Broken Hearts’… fanno pensare ad una sorta di negatività da un punto di vita lirico. E’ proprio così?
“Per alcuni versi sì. Il disco è nato in un momento molto particolare della vita di Jacoby. Durante la stesura dei pezzi il nostro cantante si è separato dalla sua compagna di sempre e questo lo ha provato moltissimo. Da parte nostra abbiamo cercato di stargli vicino in questi momenti ma è stato tutto inutile perchè è stata una botta che lo ha provato tantissimo. Abbiamo allora cercato di dargli l’unico consiglio possibile in una condizione così delicata: scrivi. Scrivi tutto, butta in musica i tuoi demoni interiori e combatti il tuo stato d’animo con la musica. Spesso la scrittura aiuta a esorcizzare le negatività e avrebbe aiutato anche Jacoby. Lui lo ha fatto, e con risultati sorprendenti. Sono convinto che la creatività, quando ci si trova immersi nell’oscurità, tenda a spingersi verso limiti insperati, che si arrivi a dare il massimo quando ci si trova a lottare con se stessi. E così è stato anche per noi, ed è per questo che l’album mostra toni più cupi rispetto al passato”
Quindi si può dire che il disco sia stato fortemente condizionato dalle vicissitudini private del vostro cantante?
“Assolutamente si. Se devo essere sincero quando abbiamo iniziato a pensare al successore di ‘Metamorphosis’ avevamo in testa una direzione completamente differente da quella poi presa. Jacoby aveva in mente diverse idee anche più “leggere”, poi dopo circa un mese dall’inizio dei lavori è successo il misfatto e questo ha cambiato radicalmente le carte in tavola. Tutto quello che avevamo inizialmente in mente di punto in bianco non ha più avuto senso. Jacoby si è messo a nudo, ha aperto il suo cuore e ha messo i suoi sentimenti in musica, parlando di sè, delle sue vicissitudini, ma facendo in modo che anche l’ascoltatore potesse ritrovarsi nelle sue parole e magari trarne un prezioso aiuto nei momenti difficili.
Ed infatti nel vostro primo singolo si intravede uno spiraglio di luce…
“Te l’ho detto prima, il disco è un’esortazione a non arrendersi e a continuare a combattere anche nei momenti più difficili. ‘Still Swingin’ è l’essenza di tutto questo, poggia su una base estremamente ottimista ed esorta l’ascoltatore ad avere sempre uno spirito combattivo. E non a caso in questo pezzo cantiamo ‘We’re just living for today / Keep our light on in the haze/ forever we will stay/ We are the ones still swinging’. Perchè è nei momenti più difficili che si trovano le forze per reagire ed andare avanti”
Scusa la provocazione. A questo giro vi siete attaccati alla separazione del vostro cantante, però non si può dire che le vostre composizioni passate brillassero di positività. Non avete mai sentito la necessità di alleggerire un po’ le atmosfere nelle vostre canzoni?
“Non sai quanto ci piacerebbe scrivere di cose leggere e, soprattutto, positive, però non sempre è possibile, ed allora entra in ballo un discorso legato all’onestà. Fino a quando si è onesti, sinceri e si ha il coraggio di dire la verità, anche se questa può essere intimamente scomoda, va bene… Diciamo che la nostra voglia di positività emerge dai messaggi che affiorano da canzoni radicate nella negatività. Perché alla fine in ogni brano, anche nel più pessimista, c’è la luce in fondo al tunnel, c’è la voglia di riscatto, c’è un’esortazione a non arrendersi mai… Vorrei che fosse ben chiaro questo, i Papa Roach non sono solo angoscia, rabbia, depressione… Per noi è importante riuscire a superare gli ostacoli della vita e uscire da essi più forti di prima”
E per te, che cosa rappresentano i Papa Roach?
“I Papa Roach hanno riempito la mia vita e hanno dato un senso a quello in cui ho creduto sin da quando ero bambino e per il quale ho lottato per tutta la vita. Sono cresciuto in una realtà dove gli sbocchi per i ragazzi come me erano davvero pochi, avere fiducia nel futuro non era così semplice, ed invece io mi sono aggrappato alla musica, ci ho creduto fortemente, ho sempre fatto sul serio ogni cosa mettendoci tutto me stesso, tutta la mia passione. E quando i Papa Roach si sono realizzati, ho visto concretizzarsi tutto ciò in cui ho sempre creduto. Ho avuto fortuna, non lo metto in dubbio, ma penso anche di essermi meritato tutto ciò che sto vivendo”.