Children Of Bodom – Round Trip To Hell And Back
Il 15/08/2012, di Fabio Magliano.
15 anni esaltanti, utili a diventare uno dei punti di riferimento nella nuova scena metal mondiale. Sono quelli che celebrano oggi i finlandesi Children Of Bodom, incontrati nella persona del leader Alexi Laiho nel backstage del Gods Of Metal, per promuovere il best of celebrativo ‘Holiday at Lake Bodom (15 Years of Wasted Youth)’
La prima cosa che colpisce di Alexi Laiho è il colorito. Pallido, cadaverico. Ci fosse la possibilità di scommettere sul suo stato di salute lo faremmo di sicuro. E vinceremmo pure, visto che qualche giorno dopo la nostra chiacchierata il nostro interlocutore verrà ricoverato per una seria infezione allo stomaco. Ma tant’è… la seconda cosa che balza all’occhio è come il cantante/chitarrista finlandese, noto per le sue passioni alcoliche, durante tutta la chiacchierata non tocchi altro che litri di una nota bevanda energetica, ma di questo avremo modo di parlare a fondo. La terza cosa è la sua disponibilità nordica che va di pari passo con la sua immagine da perenne ragazzino, forse non troppo ciarliero ma ugualmente cortese, sia quando si tratta di ripercorrere per noi i primi 15 anni dei suoi Children Of Bodom, celebrati a dovere con la raccolta ‘Holiday at Lake Bodom (15 Years of Wasted Youth)’, sia quando si tratta di prestarsi per il servizio fotografico in esclusiva che trovate su queste pagine.
Con il nuovo best of celebrate oggi i vostri primi 15 anni. Avresti mai immaginato, nel 1997, di poter arrivare a tagliare questo traguardo?
“Stai scherzando? Quando abbiamo iniziato a suonare non sapevamo se saremmo arrivati alla fine del mese. All’epoca si viveva tutto alla giornata, non ci ponevamo troppi obiettivi, tanto che, una volta firmato il nostro primo contratto discografico, ci siamo sentiti in vetta al mondo. Pensare che quello fosse solo l’inizio? Non ci è mai passato per la testa. Poi da quel momento abbiamo aggiunto tante altre prime volte… il primo show in Giappone, il primo tour da headliner in America, il nostro primo disco d’oro, ed ogni nuova prima volta ci faceva capire come la nostra storia sarebbe potuta durare a lungo e riservarci non poche sorprese”.
Ma è vero che inizialmente il vostro nome era Inearthed e che Children Of Bodom non è stato altro che una sorta di raggiro…
“Esattamente, è tutto vero man! Come Inearthed abbiamo inciso due demo e li abbiamo spediti in giro per le case discografiche, ricevendo solamente rifiuti. Da tutti tranne che da una casa discografica belga che ci ha fatto subito firmare il nostro primo contratto. Al momento ci parve una figata nella nostra ingenuità, poi tutta la merda venne fuori: eravamo prigionieri di un pazzo che ci costringeva a fare tutto di tasca nostra, compreso comprare da lui i nostri dischi per poi rivenderli a nostra volta. Era un autentico delirio! Nello stesso periodo abbiamo avuto la fortuna di conoscere un ragazzo della Spinefarm al quale i pezzi sono piaciuti al punto di proporci un secondo contratto discografico…peccato che noi fossimo già legati al folle. Quindi abbiamo deciso di mandarlo a fare in culo annunciando lo scioglimento degli Inearthed, cambiando il nome in Children Of Bodom e firmando con la Spinefarm come se fossimo un gruppo nuovo di zecca”
Oggi siete una delle band di punta nel panorama metal moderno. Come vivi questo successo sempre crescente?
“Guarda, ti può sembrare strano ma non ci ho mai pensato veramente, perchè nonostante si parli dei 15 anni di vita dei Children Of Bodom, tutto si è svolto in modo estremamente veloce per noi. Non ho mai avuto veramente il tempo di fermarmi a cabalizzare sul significato della parola successo e di come questo avesse cambiato la mia vita, perchè nel giro di un nulla mi sono trovato a passare dalle prime prove in saletta alla copertina di Guitar World”
Credi che l’avere 15 anni di storia alle spalle e uno status di stella di prima grandezza nella scena metal vi abbia in qualche modo influenzato al momento di comporre nuova musica?
“Senza dubbio i 15 anni di storia alle spalle mi hanno dato maggiore consapevolezza nei miei mezzi, ma questo non ha affatto cambiato il mio modo di fare e vedere la musica. Io ho sempre sostenuto che un pezzo, per funzionare, deve nascere in modo spontaneo, quindi la spontaneità è quello che ricerco sempre. Non mi è mai successo di sedermi e trovarmi a scrivere pensando che ho uno status da mantenere, che la mia musica dovrebbe per forza suonare in un determinato modo perchè questo è quello che vogliono i nostri fan dai Children Of Bodom e altre cazzate come queste. Io prendo la chitarra e attacco a suonare. Se c’è l’ispirazione, il pezzo viene fuori da sè, altrimenti si cestina e si passa al prossimo…”
In quindici anni di carriera un nodo non è ancora stato sciolto: i Children Of Bodom sono una band power, black, death, thrash… cosa significa tutto questo?
“Sai? Non ce le frega un cazzo delle etichette. Se dopo quindici anni la gente non è ancora riuscita a capire se siamo black, power o death, il problema non è nostro, anzi, è una bella soddisfazione, perché significa che siamo riusciti a fare qualcosa di originale. Per il mio modo di vedere le cose, non esistono troppi stili, c’è il metal, e questo può essere buono o schifoso. A me interessa suonare il meglio possibile e scrivere grandi canzoni, se poi per qualcuno il pezzo è thrash o è hard rock, non sono cose che ci riguardano”
Sei un cantante molto influente e un grandissimo chitarrista. Come vivi da sempre queste due realtà?
“Io non mi vedo come un cantante, non l’ho mai fatto… canto perché devo, ma io mi reputo un buon chitarrista. Quando ero bambino ho dovuto cantare perché era previsto nel programma scolastico, però il mio approccio con il mondo della musica è avvenuto a sette anni con il violino… peccato che, grazie a mia sorella, il rock fosse entrato presto nella mia vita, facendomi quindi trovare a provare a suonare il violino come se fosse una chitarra elettrica! A questo punto mio padre ha capito che c’era qualcosa che non andava nella mia concezione della musica, ed allora ha pensato bene di cambiare lo strumento prendendo una chitarra più vicina alle mie esigenze”
Mi dici quali sono i tuoi punti di riferimento sia da un punto di vista vocale che chitarristico?
“A livello chitarristico i miei punti di riferimento sono sempre stati Zakk Wylde, Slash, Randy Rhoads, chitarristi molto istintivi e passionali. La scintilla però è scattata con Steve Vai dal momento in cui ho ascoltato per la prima volta ‘Passion And Warfare’. A livello di cantanti adoro Billy Idol anche se non c’entra un cazzo con il mio modo di cantare, ma trovo di grande ispirazione anche Phil Anselmo e Mille Petroza dai Kreator”.
Quale è stato il tuo percorso di formazione stilistica?
“Mia sorella mi ha fatto ascoltare tonnellate di glam, dai Poison ai Motley Crue passando per gli Skid Row, e da questo ho imparato l’importanza della melodia. Poi crescendo mi sono avvicinato a roba più pesante come Metallica, Entombed, Obituary e anche questo mi è stato di grande aiuto in prospettiva. Il mio percorso di ascolti è stato comunque un continuo saliscendi, con l’approdo al black e il ritorno all’hard rock… anche perché mi considero di ampie vedute, io ascolto di tutto e non mi importa se questo è metal o non lo è. Mi basta che quel tipo di musica mi faccia provare emozioni”.
Scusa l’annotazione: durante questa chiacchierata hai buttato giù litri di bevande analcoliche… ma voi non eravate dei bevitori imbattibili?
“No, siamo stronzi ma abbiamo rispetto per chi ci sta davanti. Ci piace bere, non ci nascondiamo dietro ad un dito, ma abbiamo una regola alla quale ci atteniamo rigorosamente: mai ubriacarsi prima di uno spettacolo. Primo perché è da idioti rovinare un concerto con le proprie mani, secondo perché non è giusto nei confronti di chi ci viene a vedere, offrire uno spettacolo indecente solo perché abbiamo bevuto troppo. Dopo lo spettacolo, quindi, si può fare quel che si vuole, ma on stage, è importantissimo rimanere lucidi sino in fondo”
Sei in Italia, la terra del grande vino. Che rapporto hai con questa bevanda?
“Non sono un grande appassionato di vino. Non lo capisco, non lo conosco a fondo, forse per questo non lo so apprezzare. Io sono un amante della birra e del whisky… queste due bevande non devono mai mancare nel nostro backstage. Però mi piace anche la vodka, la crema al whisky e alcuni liquori aromatizzati che ho avuto modo di conoscere in giro per il mondo”
In conclusione, a che punto siete con il successore di ‘Relentless Reckless Forever’?
“Le idee ci sono sempre, alcuni pezzi sono già pronti e devono solamente essere un po’ levigati, ma la base è già buona. In questo momento, però, la nostra intenzione è quella di concentrarci sull’attività live, tenere questa serie di show nei principali festival estivi e goderci ancora un po’ la vita on the road. Poi in autunno quando ci saremo fermati e avremo la mente sgombra, potremo realmente iniziare a lavorare al nuovo disco. Farlo in questo momento non sarebbe affatto utile, perchè detesto comporre quando sono in tour. Non c’è l’atmosfera giusta, non ci sono i giusti presupposti… Quando siamo in giro per il mondo al massimo tiriamo giù qualche idea e qualche riff, ma per il songwriting dobbiamo fermarci e fare tutto con molta calma e attenzione”
Foto ALICE FERRERO