Axel Rudi Pell – Slave Of Love
Il 07/09/2011, di Fabio Magliano.
E sono quattro. Non accennano a esaurirsi le ballate in casa Axel Rudi Pell, ed allora ecco giungere la quarta raccolta a firma del mago tedesco della sei corde, interamente votata ai lenti più dolci e melensi. Anche se, è obbligo dirlo, a questo giro le sorprese non mancano affatto…
Per molti è ancora il “Guitar wizard”, i trascorsi negli Steeler continuano ad accompagnarlo, mentre una manciata di lavori a cavallo tra gli anni Novanta ed i Duemila continuano a garantire all’axe man tedesco l’etichetta di artista hard rock. Però è innegabile che gli ultimi successi sono figli di una strada distante da quella maestra, di una serie di raccolte di lenti radiofonici che hanno garantito al biondo chitarrista un buon successo tanto da portarlo oggi a incidere il quarto capitolo di questa melensa carrellata di lenti strappalacrime. Un’operazione nel quale Mr. Axel Rudi Pell crede però fermamente, tanto da difenderla con ferrea ma sempre cordiale caparbietà.
Con ‘The Ballads IV’ sei giunto al quarto lavoro interamente dedicato a pezzi lenti. Pensi si possa considerare questa “operazione” una sorta di scommessa per te, soprattutto in considerazione delle tue origini hard rock?
“Sicuramente i quattro capitoli di ‘The Ballads’ hanno rappresentato una sorta di scommessa per me. Soprattutto il primo è stato una sorta di salto nel vuoto, non sapevo come sarebbe stato accolto dai miei fan e a quali reazioni sarebbe andato incontro, ed invece a sorpresa è stato il disco che più ha venduto dai tempi di ‘Oceans Of Time’. Questo certamente mi ha confortato e mi ha invogliato ad andare avanti in questa direzione, però non è mai stato scontato il mio lavoro e tantomeno il risultato, perché il rischio di incappare in un passo falso è sempre molto elevato”
Però converrai che a uscire con un disco di sole ballate (ma qui siamo a quattro album), è facile venire accusati di vendersi alla massa…
“Hai assolutamente ragione, ma quando mi viene fatta questa osservazione rispondo sempre in un unico modo: quando una canzone è bella, non esistono più barriere. Non importa più se è un pezzo hard rock, pop, metal…se è una ballata o un pezzo più tirato. Le canzoni scelte per far parte di questi dischi a mio avviso sono tutte eccellenti, non vendo aria, e questo è quello che più conta”.
Alla luce delle tue ultime produzioni, pensi ti si possa ancora “catalogare” tra i musicisti metal o pensi che questa dimensione inizi a starti stretta?
“Non mi interessa e non mi è mai interessato. Non ho mai dato troppo peso alle etichette e alle definizioni, tanto la gente ti guarderà sempre a modo suo. Pensa ad esempio ai Metallica o agli Slayer… per tutti noi sono gruppi metal, eppure c’è ancora qualcuno che li etichetta come hard rock. I miei stessi lavori, spesso, in Germania entrano sia nelle classifiche metal che in quelle rock… questione di punti di vista. Io non do peso a tutto questo, penso solo a suonare bene e a comporre musica di qualità, se poi la gente mi vuole classificare come musicista metal, pop, rock o folk… faccia pure! (ride Nda)”
Che significato ha per te la melodia?
“La melodia è il centro di tutto. Ci sono molti miei colleghi che puntano tutto sulla tecnica, sugli assoli, ma facendo così spesso perdono di vista la melodia e finiscono per risultare freddi e distaccati. Io parto prima di tutto dalla melodia, cerco la soluzione migliore e da questa parto per costruire la canzone. La mia è una costante ricerca melodica, è un buttarmi con il cuore in ciò che suono e credo che ascoltando i miei pezzi questo mio modo di comporre si percepisca”.
Venendo a ‘The Ballads IV’, la prima cosa che salta all’orecchio è il tributo che hai voluto rendere a Ronnie James Dio…
“E’ un tributo giusto, dovuto, verso un cantante che ha rappresentato moltissimo per me. Ricordo ancora quando, nel 1975, ebbi la fortuna di vedere dal vivo i Deep Purple con Coverdale alla voce e gli Elf di supporto. Fu un’emozione fortissima, anche perchè si trattava di uno dei miei primissimi concerti… rimasi folgorato dalla voce di Ronnie, e quando poco dopo uscì il primo lavoro dei Rainbow, la mia vita cambiò radicalmente. Forse non sarei quello che sono se non ci fosse stato Ronnie James Dio, per questo ho trovato doveroso rendergli omaggio con questo brano”.
Anche in questo senso l’azzardo non è stato da poco. Prendere un classico del metal come ‘Holy Diver’ e trasformarlo in una ballata non penso sia stato un gioco da ragazzi…
“Non è stato semplice, ma non voleva esserlo. Sarebbe stato semplice per me scegliere una ballata tra le tante incise in carriera da Ronnie James Dio e riproporla a modo mio, però volevo di più, volevo qualcosa di speciale. Per me anche questa è stata una bella sfida, ho voluto prendere un pezzo noto, stravolgerlo, rileggerlo a modo mio e creare qualcosa di nuovo da un classico. E’ un lavoro non affatto semplice, credimi, e assolutamente rischioso. Ad oggi tutti quelli che hanno ascoltato questa particolare versione di ‘Holy Diver’ l’hanno apprezzata… e poi devo dire che Johnny in questa canzone ha dato il meglio di sè, si è espresso su livelli altissimi mettendoci un feeling eccezionale”.
‘Hallelujah’ di Leonard Cohen, invece, esalta se mai ce ne fosse bisogno le incredibili doti vocali di Johnny Gioeli…
“E’ vero, in questo pezzo Johnny si è espresso su livelli altissimi, e ti assicuro che non era facile perchè ‘Hallelujah’ è una delle più belle ballate mai composte da un musicista. E’ una canzone eccezionale e mi commuovo ogni volta che l’ascolto, ma ci vuole feeling per farla rendere al meglio. L’idea di inciderla non mi è venuta né dall’ascolto della versione di Leonard Cohen, nè in quella più recente di Jeff Buckley, bensì dalla sua riproposizione in uno di quegli insulsi talent show che le televisioni trasmettono ad ogni ora del giorno e della notte. Stavo guardando il casting di uno di questi show quando vedo uno dei partecipanti interpretare a modo suo questa ballata. In quel momento ho avuto la folgorazione e ho capito che era giunto il momento di realizzarne una tutta mia. Rispetto alle versioni originali ha perso leggermente il suo lato intimistico, ho voluto inserirci un coro di voci bianche, un intenso lavoro di organo splendidamente eseguito da Ferdy (Doernberg Nda) e ho poi lasciato alla voce di Johnny di fare il resto”.