Journey – Colors Of The Spirit
Il 11/04/2011, di Fabio Magliano.
Lo hanno intitolato ‘Eclipse’ ma dell’eclissi il nuovo lavoro dei leggendari Journey non ha nulla. I nuovi brani splendono più che mai, il nuovo singer Arnel Pineda ha portato una ventata di entusiasmo e la vena creativa della band è tornata a partorire brani di assoluta bellezza. Giustificabile, quindi, l’entusiasmo del leader storico del gruppo, Neal Schon.
La volta precedente, tre anni or sono, l’intervista ai redivivi Journey si era tramutata in una sorta di irreale caccia all’uomo, un rimpiattino per mezzo mondo a suon di improbabili pseudonimi sotto i quali si celava l’identità del musicista di turno, che aveva reso la chiacchierata con gli autori di ‘Don’t Stop Believin’ e ‘Any Way You Want It’ una tragicomica caccia al tesoro. A questo giro il discorso è stato di gran lunga diverso. E’ bastato alzare la cornetta e comporre un numero di Panama per venire direttamente messi in contatto con un Neal Schon che, seppur costipato, si è rivelato affabile conversatore, cordiale ma soprattutto entusiasta della sua nuova creatura, quell’’Eclipse’ che vede questa icona del rock melodico tornare a esprimersi su livelli elevatissimi, con un Arnel Pineda sempre più a suo agio dietro al microfono e con una vena creativa tirata a lucido e capace di partorire potenziali nuovi classici della band.
‘Revelation’ era stato il primo disco inciso con Arnel Pineda alla voce. Oggi che avete avuto modo di oliare maggiormente gli ingranaggi, pensate che sia cambiato qualcosa a livello di chimica nella band e che questo abbia influenzato la nascita di ‘Eclipse’?
“Come successo anche nel disco precedente, la maggior parte del materiale l’abbiamo composta io e Jonathan Cain, quindi la chimica a livello di gruppo non è andata a influire sul lavoro in studio. Quello che è cambiato è che se ‘Revelation’ era stato concepito in un lasso abbastanza lungo di tempo, ‘Eclipse’ è stato composto quasi interamente in studio: siamo arrivati qui con idee e abbozzi di canzoni, insieme abbiamo elaborato il tutto e abbiamo tirato fuori la versione definitiva dei brani. In questo modo è più facile catturare lo spirito del momento e mettere giù fedelmente quello che hai in testa. In questo caso il nostro obiettivo era quello di trovare un giusto equilibrio tra ballate e canzoni più rock. In passato forse ci è capitato di sbilanciarci maggiormente da una parte piuttosto che dall’altra, questa volta abbiamo cercato di far si che il disco fosse una sorta di “best of” dei Journey, con dentro tutte quelle soluzioni che ci hanno resi celebri nel corso degli anni”.
Una cosa che personalmente ho apprezzato molto in questo disco è il tuo lavoro di chitarra. Hai utilizzato qualche accorgimento particolare o hai mutato qualcosa nel tuo modo di operare rispetto al passato?
“Più che altro ho utilizzato un differente equipaggiamento. Ho usato ad esempio gli amplificatori della Blackstar ed il loro sound mi ha da subito convinto molto. In generale sì, sono molto soddisfatto di come suonano le chitarre nel disco, perchè siamo riusciti a dargli un taglio molto live, estremamente fresco e dinamico. Sono certo che questi brani suoneranno benissimo dal vivo, ed infatti è nostra intenzione inserirne il più possibile in scaletta”.
Da alcuni titoli come ‘City Of Hope’, ‘Tantra’, ‘Human Feel’, ‘Ritual’… si direbbe che abbiate voluto mettere un che di spirituale nei vostri brani. E’ un caso o qualcosa di voluto?
“E’ una cosa assolutamente voluta. Quando John ha incominciato a lavorare alle liriche l’intento era quello di dare vita ad una sorta di concept album, qualcosa di profondo che lasciasse emergere il volto più spirituale della nostra musica. Speranza, amore, serenità, gioia… sono le emozioni che abbiamo voluto esprimere attraverso le nostre canzoni, e per farlo abbiamo usato tutti gli strumenti a nostra disposizione, dalle canzoni più lente ed intimiste a quelle più tirate ed energiche”.
Perchè avete sentito proprio oggi il bisogno di tirare fuori questi argomenti? Forse perchè sia come uomini che come band state attraversando un momento particolare della vostra vita?
“Non so veramente cosa risponderti! Probabilmente si, ma è una cosa che è venuta fuori in modo molto naturale. Quando siamo entrati in studio e abbiamo iniziato a comporre i brani questi argomenti sono venuti fuori da sè. E’ stato un po’ come un aereo che ha preso il volo… è partito lento e poi è decollato… Quello che è certo è che c’è molto di noi in questo disco, se lo ascolti vedi esattamente quello che sono i Journey, cosa provano suonando, senti le emozioni che proviamo… in questo caso abbiamo messo a nudo una parte molto profonda di noi e, se devo essere onesto, ci siamo trovati a nostro agio nel farlo, più di quanto pensassimo”.
C’è un brano, in questo disco, al quale sei particolarmente legato?
“In questo disco ci sono alcuni dei momenti più alti toccati dai Journey nel loro percorso compositivo. ‘Tantra’, sicuramente è uno dei migliori brani mai scritti dal gruppo, è una power ballad meravigliosa in grado di competere con quei lenti che ci hanno resi famosi negli anni Ottanta. Ha tutto questa canzone, ha feeling, ha una grande base di chitarra, ha pathos, è emozionante… ‘Chain Of Love’ è un altro grande brano, così come ‘Edge of The Moment’… soprattutto questo pezzo quando abbiamo avuto l’occasione di suonarlo dal vivo ha reso molto bene. Pensiamo di inserire cinque pezzi di questo album nella scaletta del tour, questo per farti capire quanto crediamo in questo lavoro”.
Hai citato ‘Tantra’. Pensi davvero che abbia le carte in regola per bissare il successo delle varie ‘Open Arms’, ‘Faithfully’, ‘Send Her My Love’…
“Sì, ne sono convinto. Ha un forte appeal radiofonico ma, soprattutto, ha la capacità di arrivare diritta alla gente e ad emozionarla, quindi penso abbia tutte le carte in regola per essere annoverata tra le più belle ballad composte dai Journey”.
Però non l’avete scelta come singolo…
“No, non ancora, almeno. Come primo singolo la scelta era rischiosa, un po’ perché è una ballata, un po’ perché dura quasi sette minuti, quindi non abbiamo voluto fare questo azzardo. Abbiamo fatto cadere la nostra scelta su ‘City Of Hope’, perché è comunque un pezzo che ben fotografa i Journey oggi. Ha una splendida melodia, è energico, funziona in radio, e ha anch’esso quella componente spirituale della quale parlavamo in precedenza. Al momento, quindi, lo useremo da apripista, ma non è da escludere che in un secondo tempo si decida di lanciare anche ‘Tantra’”.
Un altro vostro classico immortale, ‘Don’t Stop Believin’ è stato recentemente utilizzato dalla commedia musicale ‘Glee’ quale “inno di un gruppo di perdenti”, arrivando tra l’altro a riscuotere un ulteriore, grandissimo successo. Come giudichi questa mossa?
“Inizialmente la cosa non mi convinceva affatto, devo essere sincero. Poi quando ho ascoltato la versione del musical l’ho trovata splendida. Guardando all’iniziativa da un punto di vista extra musicale, invece, è stata una mossa azzeccata perché ha consentito al nostro vecchio materiale di venire conosciuto anche dalle nuove generazioni. Grazie a ‘Glee’ oggi possiamo contare su tantissimi nuovi fan davvero molto giovani, una condizione che forse non si sarebbe mai venuta a creare solamente incidendo nuovi dischi e suonando dal vivo. ‘Glee’ ci ha dato una chance importantissima, basti pensare che la cover di ‘Don’t Stop Believin’ ha raggiunto il numero 4 della classifica di Billboard mentre la compilation che la conteneva è arrivata al numero 1 delle chart di mezzo mondo, spalancandoci davanti una preziosa porta verso un pubblico più giovane. Anche se…”
Anche se?
“Tra questi ci sono anche le eccezioni. Come i miei figli, che hanno visto ‘Glee’ e sono stati molto critici al riguardo. ‘Niente da fare papà – mi hanno detto – la tua versione è decisamente migliore! (Ride, nda)”.
Ma quando vi siete trovati a incidere questo pezzo, nel 1981, vi sareste mai immaginati che sarebbe divenuto un inno dei perdenti?
“No, quella è una canzone che non ha barriere, che non si rivolge a qualcuno in particolare. E’ una canzone per perdenti, è una canzone per vincenti… chiunque può leggerci dentro ciò che vuole. Il testo dopo tutto parla di speranza, di non smettere mai di credere in una determinata cosa, quindi l’esortazione ad andare avanti e a non arrendersi è rivolta realmente a tutti”.
In conclusione, a giugno verrete per la prima volta nella vostra carriera a suonare in Italia. Perché abbiamo dovuto attendere così tanto prima di vedervi dal vivo nel nostro Paese?
“Ah, questo è un mistero che solamente i vostri promoter possono svelare. So che quello che dici ha dell’incredibile, anche perché noi non ci siamo mai tirati indietro quando si trattava di suonare dal vivo, però se nessuno ci chiama a suonare o ci mette nelle condizioni ideali per farlo, noi non possiamo farci nulla. Comunque ora è tutto organizzato vi posso assicurare che sarà qualcosa di indimenticabile. Presenteremo il nuovo album e non mancheranno i vecchi classici. Sarà un viaggio emozionante attraverso la storia dei Journey. E poi non dimentichiamo che con noi ci saranno Night Ranger e Foreigner… sono nostri grandi amici e ogni volta che abbiamo suonato con loro è stato grandioso. Abbiamo sensazioni molto positive riguardo questo tour e sono certo che il grande hard rock verrà celebrato da queste tre band nel migliore dei modi”