Uriah Heep – Sweet Freedom
Il 09/04/2011, di Fabio Magliano.
A loro sono legate pagine fondamentali nella storia del rock, alle spalle hanno quarant’anni di storia ma, cosa ancora più importante, davanti hanno ancora molta strada da percorrere. Almeno a giudicare dalla freschezza e dalla creatività espressa dal loro ultimo lavoro, ‘Into The Wild’, disco che segna il ritorno sulle scene dei leggendari Uriah Heep. Presentato a noi con grande disponibilità dal fondatore della band britannica, il chitarrista Mick Box
Una cordialità tipicamente british, una tendenza ad arrivare al nocciolo senza perdersi in eccessivi giri di parole ma soprattutto un’ammirevole capacità di rimanere “sulla terra” nonostante il proprio nome sia indissolubilmente legato ad una pietra miliare nella storia del rock. E’ questo il ritratto fedele di Mick Box, fondatore nonché unico superstite di quella leggenda chiamata Uriah Heep, band capace negli anni Settanta di portare il rock ad un livello più estremo, indicando la strada per quello che da lì a poco sarebbe stato etichettato come “metal”, e che ancora oggi a quarant’anni di distanza, riesce a stupire. Perché stupisce l’eleganza e la classe di ‘Into The Wild’, il nuovo lavoro partorito dalla mente della band britannica, presentato a noi proprio dal chitarrista di Walthamstow.
Ascoltando il vostro nuovo lavoro, ‘Into The Wild’, è impossibile non trovare affinità con il suo predecessore ‘Wake The Sleeper’…
“Infatti sono due album uniti da un legame molto forte. Mi piace vedere in ‘Into The Wild’ una sorta di estensione naturale dell’album precedente. Non ci sono grandi differenze tra i due lavori, non era nostra intenzione svoltare dopo avere inciso ‘Wake The Sleeper’ anche perchè non avrebbe avuto senso, semplicemente abbiamo lasciato che ogni cosa facesse il suo corso. Tutto è progredito, il sound si è sviluppato in una determinata direzione sino ad arrivare ad ‘Into The Wild'”.
Quindi ‘Into The Wild’ è nato in maniera molto spontanea…
“Assolutamente sì. Pensa che dal momento che ci siamo resi conto che era tempo di incidere un nuovo disco ci siamo attivati, abbiamo firmato per la Frontiers e tempo tre settimane avevamo il disco inciso. Ancora una settimana per mixarlo e il gioco è stato fatto. Tutto è scivolato via in modo molto naturale e fluido. A monte, poi, c’è stata un’attività di songwriting rapidissima perchè stiamo vivendo un periodo creativo estremamente florido. Come band inoltre ci stiamo muovendo benissimo, siamo rodati e questo credo emerga dall’ascolto del disco: l’energia e la passione che trasuda ogni brano è figlia dell’ottimo stato di forma che, come musicisti, stiamo vivendo”.
Leggo ‘Into The Wild’ e la mente corre al romanzo di Jon Krakauer nonchè allo splendido film di Sean Penn. Ci sono collegamenti con queste due opere?
“Sì, inizialmente l’idea era quella di ispirarci al film ed al libro. Soprattutto quando abbiamo iniziato a comporre la title track, io e Phil Lanzon abbiamo tratto ispirazione da queste due opere che ci avevano molto colpito, però a mano a mano che lavoravamo al brano ci siamo resi conto che il testo stava prendendo una direzione differente che lo portava abbastanza distante da quello che era il concept originale di libro e film”.
Un altro pezzo che penso ben rappresenti l’essenza del vostro sound è ‘Trial Of Diamonds’…
“E’ un brano onirico, ha un che di allucinato, che rimanda ad alcune vecchie composizioni degli Heep. Musicalmente parlando è un brano dalle forti tinte epiche, ma nell’insieme fa compiere all’ascoltatore un viaggio attraverso le varie fasi musicali vissute dal gruppo nel corso degli anni. Vedendolo nella sua totalità è una sorta di compendio di tutto quello che hanno fatto gli Uriah Heep nel corso della loro carriera”.
Oltre a ‘Into The Wild’ avete recentemente rilasciato sul mercato ‘Live In Kawasaki Japan 2010’…
“Lo scorso anno, quando siamo andati a suonare in Giappone, mentre suonavamo la nostra normale scaletta abbiamo avuto l’idea di includerci, nel mezzo, l’intera esecuzione del nostro album del ’72 ‘Demons & Wizards’. In quell’occasione ci ha dato una mano alla chitarra un nostro amico di vecchia data, l’ex Whitesnake Mickey Moody. Quello show fu registrato e vista la buona resa abbiamo pensato che sarebbe stato carino farlo uscire in via ufficiale prima che qualcuno pensasse bene di gettarlo sul mercato abusivamente incrementando così la lista di nostri bootleg in circolazione”
Non posso non chiederti il tuo pensiero ed i tuoi sentimenti riguardo la tragedia che ha recentemente colpito il Giappone…
“Siamo tutti sconvolti da questo dramma, anche perchè come immaginerai nel corso degli anni ci siamo costruiti una nutrita base di fan ma prima di tutto di amici in Giappone. E’ un Paese stupendo, l’ospitalità che ci riserva ogni volta che ci andiamo a suonare non ha eguali nel mondo, quindi sapere della tragedia che sta vivendo ci ha profondamente toccato, ma conoscendo il carattere e la forza d’animo del popolo giapponese, sono certo che saprà rialzarsi presto e tornare più forte di prima”
‘Into The Wild’ è il vostro 22mo disco. Se ripercorri la discografia degli Uriah Heep, c’è un disco che ti ha particolarmente esaltato o divertito al momento della sua lavorazione?
“Ogni volta che ci si trova a incidere un disco l’eccitazione è tanta così come la gioia nel trovarsi a lavorarci su. A prescindere dalla buona riuscita o meno dell’album, quando si compone e si incide le sensazioni sono sempre positive. A livello di divertimento devo dire che sia incidere ‘Wake The Sleeper’ che ‘Into The Wild’ è stato molto stimolante in questo senso, e la cosa penso traspaia nelle canzoni contenute in questi dischi”.
Nel corso della vostra carriera avete avuto la fortuna di suonare con artisti di primissimo piano come Blue Oyster Cult e Rod Stewart… Ma c’è una di queste band con la quale vi siete trovati particolarmente in sintonia?
“Senza dubbio i Def Leppard. Si è instaurato sin dall’inizio un legame forte basato sulla stima reciproca. Sono prima di tutto dei fan degli Uriah Heep e sono stati sempre molto rispettosi nei nostri confronti. Quando siamo stati in tour con loro erano la più grande rock band d’America, quindi ogni concerto è stato qualcosa di indimenticabile”.
Sempre rimanendo in tema di momenti indimenticabili, c’è un evento che pensi abbia segnato indelebilmente la carriera degli Uriah Heep?
“Sicuramente il concerto tenuto a Mosca nel dicembre del 1987, uno show che ci ha resi la prima band occidentale ad esibirsi in Russia, su espresso volere di Mikhail Gorbačëv. Abbiamo suonato davanti a 180.000 persone ed è stato fantastico, soprattutto se si pensa che all’epoca potevano comprare la nostra musica solamente attraverso il mercato nero. Ma la cosa ancora più significativa è rappresentata dal potere della musica in sè, perchè sebbene fosse vietata, pena l’esilio in Siberia, è riuscita a abbattere ogni barriera e a rendere libere quelle persone”.
E facendo un ulteriore passo indietro sino ad arrivare agli anni Settanta, te la senti di esaminare per un attimo la scena che vi accoglie oggi, rispetto a quella che vi vedeva operare negli anni Settanta?
“Ci vorrebbe un intero numero della tua rivista per farlo, ma sì, si può fare. Oggi viaggia tutto molto più velocemente, un tempo i canali erano molto più ristretti, mentre adesso grazie ad internet si può fare tutto in tempo zero. La musica si diffonde molto più velocemente, si possono portare le tue canzoni veramente ovunque e toccare angoli del pianeta che, negli anni Settanta, erano inimmaginabili. Forse si è persa un po’di poesia rispetto a quando abbiamo iniziato a suonare, ma oggi è tutto molto più semplice”.
Ma cos’è che maggiormente ti manca di quel periodo?
“Nulla, se devo essere sincero, perchè fortunatamente lo spirito che avevamo allora non si è smarrito nel corso degli anni. Di quel periodo mi rimane il ricordo di lunghissimi viaggi fatti pur di poter suonare, stipati per giorni in un van insieme con il nostro equipaggiamento. Puntualmente il nostro compenso finiva investito in una tanica di benzina per poter raggiungere la location del prossimo concerto, ma andava bene così. C’era molto cameratismo all’epoca, tanta voglia di divertirsi e la tendenza a prendere tutto con un gran senso dell’umorismo… tutti elementi che fortunatamente tornano anche negli Uriah Heep del 2011”
Nel corso degli anni molte band, dagli W.A.S.P ai Gamma Ray, dai Blind Guardian ai Tesla… hanno inciso cover di vostre canzoni. C’è una di queste versioni che ti ha particolarmente impressionato?
“Sinceramente no, non ho una cover preferita… però sono orgoglioso di tutto questo, perchè una cover fatta da un altro artista è un ottimo attestato di stima nei tuoi confronti, e poi sapere di essere stati fonte di ispirazione per così tante band non può che farmi piacere”.