Star One – The Dawn of Man
Il 11/10/2010, di Fabio Magliano.
Internet, I-phone, computer, GPS, I-pod, social network… abituati come siamo ad avere “tutto il mondo intorno”, riusciremmo mai a sopravvivere senza tecnologia sopra un’isola deserta? Secondo il polistrumentista Arjen Lucassen assolutamente no, tant’è che a questa condizione di “schiavi dell’era moderna” ha dedicato l’ultimo lavoro dei suoi Star One
“Prima di iniziare dimmi se hai ascoltato il disco e cosa ne pensi” E’ un Arjen Lucassen votato al contropiede, quello che ci contatta per promuovere il nuovo lavoro del suo progetto Star One, un fiume in piena che ti travolge con la sua curiosità, figlia della convinzione di avere tra le mani qualcosa di importante. Perché ‘Victims Of The Modern Age’, ancora una volta concepito attorno ad un cast stellare di cantanti e musicisti splendidamente coordinati dal polistrumentista olandese, si presenta all’ascoltatore come un disco massiccio, in possesso di un sound granitico e estremamente heavy, almeno se paragonato ai lavori precedenti griffati Star One, ottimamente prodotto e in grado di far segnare una netta evoluzione rispetto ai suoi predecessori. Almeno questo è quanto emerge da un primo ascolto… “Mi fa piacere se lo hai rilevato – incalza soddisfatto il musicista di Hilversum – perchè uno degli obiettivi principali che mi ero prefissato al momento di iniziare a lavorare al nuovo Star One, era proprio quello migliorare la produzione rispetto ai dischi precedenti. In questo caso è stato svolto un lavoro molto articolato soprattutto su chitarre e batteria, al fine di ricreare il più possibile fedelmente quel sound che avevo in testa quando ho iniziato a pensare a questo disco. Ho impiegato settimane solo per far rendere al massimo il suono di batteria, il risultato è una resa molto più heavy, più definita, certamente il sound è di maggiore impatto rispetto ai lavori precedenti. Quindi se guardo con occhio critico al mio ultimo lavoro posso dire che sicuramente si tratta di un’evoluzione per il progetto Star One”.
Una domanda che forse ti avranno fatto in molti ma che non posso esimermi dal porti: chi sono le vittime dell’era moderna citate nei titolo del disco?
“Io, te, chiunque è vittima dei tempi moderni. Più vado avanti e più mi rendo conto che siamo stati tutti contagiati dal virus della tecnologia e questo ci rende inevitabilmente vittime del progresso. Ti racconto una cosa che ti farà meglio comprendere il mio pensiero: la scorsa estate mi dovevo recare ad un festival in Belgio; nessun problema, imposto il navigatore satellitare e mi metto in viaggio. Ad un certo punto, però, il GPS si rompe e non mi arriva più alcun segnale: è scoppiato il panico. Mi sentivo sperduto, perso nel nulla, non sapevo cosa fare, dove andare… ero angosciato, completamente nel pallone e la cosa che più fa effetto è che a dirlo è una persona di cinquant’anni che gira per l’Europa da quando era un ragazzino. Purtroppo le cose vanno così, siamo talmente dipendenti dalle moderne tecnologie che non riusciamo più a vivere senza e fatichiamo enormemente ad abituarci a quella che dovrebbe essere la normalità”.
Prova per un istante a immaginarti nei panni di Tom Hanks nel celebre film ‘Cast Away’. Come reagiresti?
“Impazzirei, senza ombra di dubbio. Oggi non riesco a immaginarmi senza il mio cellulare, il mio PC, senza navigatore e senza internet. Sono talmente abituato a premere un pulsante e a ritrovarmi collegato con ogni parte del mondo che l’isolamento indotto da un’isola deserta finirebbe per farmi impazzire”.
Detto così verrebbe da pensare che hai una visione negativa della modernità, ma è innegabile che le nuove tecnologie hanno giovato molto anche al mondo della musica…
“Attenzione, l’applicazione della tecnologia nella musica è un’arma a doppio taglio. E’ vero che da un certo punto di vista ha agevolato enormemente chi lavora “a distanza”, consentendo lo scambio di file in tempi rapidissimi e contribuendo alla nascita di progetti ‘intercontinentali’ di grande spessore, però è altrettanto vero che ha abbattuto quel muro che separava il talento vero da chi faceva musica per hobby. La tecnologia ha appiattito tutto, ha spostato i parametri della qualità, ha fatto perdere quelle sfumature in grado di provocare emozioni intense. Oggi chiunque può registrare un disco, basta che abbia un buon PC e i programmi adatti, ed anche le band che suonano per passione possono ottenere buoni risultati in studio con l’aiuto di un buon produttore che sappia cancellare i difetti dal disco e limarne le imperfezioni. Non per niente oggi il vero metro per misurare il valore di un gruppo è il live, perché in studio puoi fare cosa vuoi, ma il palco non mente. La tecnologia applicata in musica rende tutto asettico… prendi i vecchi dischi dei Sabbath o dei Deep Purple… magari avevano delle imperfezioni a livello di sound, ma erano talmente belli che quelle imperfezioni alla fine risultavano parte fondamentale del disco stesso, una fonte di emozione di gran fascino. Oggi tutto è perfetto, e questo non sempre è un bene”.
I dischi precedenti del progetto Star One avevano una componente “cinematografica” molto forte. Si può dire lo stesso anche per questo lavoro?
“Assolutamente si! Per comporre ho sempre tratto ispirazione da grandi film del passato, lo stesso nome Star One è tratto da una serie televisiva degli anni Settanta… Il fatto è che amo il cinema quasi quanto la musica, è una vera fissazione per me, quindi se riesco a fondere le due cose ha un significato molto importante per me. In ‘Victims Of The Modern Age’ tutto si ispira al mondo del cinema, ’24 Hours’ ad esempio, è ispirato a ‘Fuga da New York’, ‘’Human See, Human Do’è tratto dal film del ’68 ‘Il Pianeta delle Scimmie’ mentre la title track è bastata sul celebre movie ‘Arancia Meccanica’. Ogni canzone di questo disco, comunque, è profondamente radicato nel mondo della celluloide”.
Anche in questo lavoro ti sei avvalso di grandi cantanti, da Russell Allen a Damian Wilson, da Floor Jansen a Dan Swano… ma c’è un singer con il quale avresti voluto collaborare senza però riuscirci?
“Guarda, alla mia età non bado più molto queste cose, mi piace guardare la musica più con gli occhi dell’artista che non con quelli del fan, però se devo essere sincero posso dire che poco alla volta mi sto togliendo tutti i miei piccoli sfizi. Se penso che da ragazzino impazzivo ascoltando Bruce Dickinson cantare ‘The Number Of The Beast’ ed in ‘Flight of the Migrator’ degli Ayreon ho avuto l’onore di avercelo come ospite, è una bella soddisfazione. Così come motivo d’orgoglio è stato a questo giro riuscire a coinvolgere nel progetto Star One Tony Martin… Cantanti con i quali mi piacerebbe collaborare perché sono certo che darebbero una spinta in più alla mia musica e alle mie idee ce ne sono ancora parecchi, però posso tranquillamente dire che anche se non arrivassi mai a collaborarci insieme, potrei comunque dirmi soddisfatto così”.