Danzig – Long Way Back From Hell
Il 17/09/2010, di Fabio Magliano.
Arrogante, affascinante, geniale, indisponente, profondo, carismatico, eclettico… tutto questo e anche di più è Glenn Danzig, icona del metal più oscuro e blasfemo tornado oggi sulle scene dopo sei anni di silenzio con lo splendido ‘Deth Red Sabaoth’. Un artista lunatico che potrebbe farti impazzire con risposte monosillabiche se colto nella giornata sbagliata, ma anche in grado di illuminarti con risposte taglienti e cariche di significato se preso, come è capitato al nostro Fabio Magliano, in un giorno di luna buona…
Brutta gatta da pelare “essere” Glenn Danzig. Perché con il tuo nome ti porti dietro il fardello di essere una sorta di icona, e a volte questo pesa, eccome se pesa. Non è facile, dopo tutto, essere quello che ha dato il là all’horror punk con i leggendari Misfits, che da solista ha inciso brani immortali per il metal mondiale, quello che si è ritagliato il suo spazio nel mondo dei comic book con la sua casa editrice Verotik lanciando il poi il suo assalto, anche grazie ad essa, al mondo del cinema, quello che da una parola in su viene tacciato di satanismo, uno dei pochi musicisti che, facendo leva su idee chiare e assoluto carisma, ha saputo proporsi come artista a 360°. Un peso, come detto, che spesso lo porta ad uscire dalle righe (nel sottoscritto è ancora impresso il ricordo di un’intervista di “50 domande 50” con risposte supponenti a monosillabi), con atteggiamenti a tratti arroganti, a tratti indisponenti. Fortunatamente il carattere lunatico del personaggio lo porta anche a presentarsi bendisposto nei confronti del suo interlocutore (“non può piovere per sempre”, diceva qualcuno) ed infatti eccolo, dopo un’estenuante rincorsa tra America (dove ha sede) e Svezia (dove ha suonato) presentarsi a Metal Maniac incredibilmente ciarliero e desideroso di presentare la sua nuova fatica discografica, quello splendido ‘Deth Red Sabaoth’ che ha visto la luce ben sei anni dopo ‘Circle Of Snakes’…
‘Deth Red Sabaoth’ vede la luce dopo sei anni di assenza di Danzig dalla scene. Come mai così tanto tempo prima di produrre nuovo materiale?
“(Glenn Danzig) Hai detto bene, nuovo materiale, perché in questi anni non mi sono mai estraniato dalle scene, semplicemente prima ho voluto concentrare le mie attenzioni su progetti che non potevano essere riportati direttamente al discorso “Danzig” che tutti conoscono. Nel 2006 ho ad esempio fatto uscire ‘Black Aria II’che risulta come mio disco solista perché stilisticamente è molto distante da quanto fatto con i Danzig essendo più vicino ad una certa musica sinfonica da colonna sonora; nel 2007 ho fatto uscire ‘The Lost Tracks’, una raccolta doppia che conteneva una serie di rarità e b-side… insomma, bene o male il mio nome in tutto questo tempo ha continuato a circolare, oggi semplicemente ho sentito che era giunto il momento di rimettermi in moto”.
Hai avuto modo di presentare dal vivo alcuni dei brani che sono poi finiti su ‘Deth Red Sabaoth’… come sono stati accolti dal pubblico?
“Molto bene. Molto bene… sono fiducioso, penso che i miei fan accoglieranno benissimo il nuovo disco, perché alla fine è quello che potrebbero volere da un album dei Danzig. Ho già avuto dei feedback in proposito e sono tutti ampiamente positivi, segno che sono riuscito a trasportare su disco ciò che avevo in mente. Volevo comporre canzoni che fossero dirette, supportate da un sound massiccio, grezzo, ruvido… se si ascolta bene il disco si può venire rimandati con la mente a certe cose degli anni ’70… è qualcosa di genuino, di puro, ben lontano da certi lavori che vengono fatti in studio con l’ausilio dei computer. Qui tutto è vero, reale, e anche la minima imperfezione ha il suo peso in positivo nell’economia del disco. Sono certo che tutto questo piacerà molto, perché avverto un bisogno da parte dei ragazzi che vengono a vedermi di tornare alle origini, a riscoprire il passato, visto che il presente offre ben poco di interessante”.
E’ una considerazione abbastanza forte la tua…
“Me ne sto rendendo conto ad ogni mio concerto. C’è stato il momento in cui l’unica via di salvezza pareva essere il nu-metal, tutti si sono gettati a capofitto su di esso lasciando indietro la strada della creatività ed ora che è praticamente morto, è rimasto un buco enorme. Ci sono alcune band reduci da quella scena che riescono a fare ancora uscire qualcosa di interessante, ma la maggior parte sono in coma profondo. Come ti dicevo prima, la gente ha bisogno di cose vere, di musica reale, non di dischi costruiti a tavolino. Ti sei mai chiesto perché nei giovani venga il bisogno di andarsi a riscoprire i Led Zeppelin, i Misfits, i Bauhaus? Perché sono veri, e perché la scena contemporanea non offre nulla che valga la pena di seguire. Io guardo indietro se nel futuro non vedo nulla di interessante, altrimenti me ne starei dove sono, come idee e come ascolti”.
E’ per questo che il tuo nuovo album guarda fortemente al passato, rimandandoci a quel “metal-blues” che aveva già fatto capolino in dischi come ‘Danzig I’ o ‘Lucifuge’?
“Se devo essere onesto con te, ti dico che non ho mai voluto ripetermi e tantomeno copiare cose già fatte in passato, tantomeno se a farle ero stato io (ride acido Nda). Quello che invece volevo, era dare al disco un sound che sapesse di vecchio, qualcosa di scarno, lontano da quelle produzioni asettiche che caratterizzano buona parte dei dischi recentemente usciti. Prendi una canzone che amo moltissimo come ‘Juju Bone’: in questo pezzo senti chiaramente il blues marcio e polveroso della Louisiana, fuso con quel metal oscuro che ha da sempre caratterizzato le produzioni dei Danzig. Ecco, questo è quello che volevo ottenere, un sound grezzo e diretto che catturasse l’essenza della musica che da sempre amo e che riuscisse a rimanere impresso in testa sin dal primo ascolto”
In ‘Black Candy’ ti cimenti addirittura dietro la batteria. Non ti bastavano le tue molteplici attività? Ora vuoi anche proporti come batterista?
“Hey man, ma io suono da sempre la batteria. Già ai tempi dei Misfits mi è capitato di occuparmi delle parti di batteria, anche perché in precedenza ero stato impegnato come tecnico della batteria per alcune band ed avevo una certa esperienza nel campo. La cosa che mi fa ridere è che di questa cosa se ne parli solamente oggi, mentre nessuno ha mai rilevato il fatto che, quando uscì ‘November Coming Fire’ (il terzo disco dei Samhain del 1986 Nda) suonai la batteria in quasi tutto l’album. Evidentemente il mio lavoro come batterista, all’epoca, non fu apprezzato come quello svolto per ‘Black Candy’”.
Per questo nuovo lavoro sei tornato a collaborare con Tomm y Victor dei Prong. Come è stato lavorare con lui dopo tutto questo tempo?
“Fantastico. Fantastico! Ma non è stata una sorpresa, dopo tutto collaboro con Tommy sin dal 1996. E’ uno dei migliori chitarristi in circolazione, ha idee grandiose ed ogni volta che ci troviamo a lavorare insieme in studio escono fuori cose eccellenti. Dovessi dirti una cosa che non mi piace di Tommy dovrei proprio sforzarmi ed alla fine non penso neppure che ci riuscirei. E’ un grande”.
Un altro nome illustre che ha preso parte a questo lavoro è John Kelly, batterista dei Type O Negative. Non posso non chiederti come hai vissuto la notizia della scomparsa di Pete Steele…
“L’ho vissuta male, come tutti quelli che hanno avuto modo di conoscere Pete e che lo stimavano e rispettavano. Ne stavo parlando pochi giorni fa proprio con John, e mi diceva come la sua vita fosse realmente cambiata dopo la scomparsa di Pete. Quando viene a mancare una persona che per vent’anni ha sorretto la tua attività, ti ritrovi senza punti di riferimento. John mi diceva che è dura guardarsi attorno sapendo che non vedrà più Pete, e che è ancora più dura accettare l’idea che probabilmente non ci saranno più i Type O Negative senza il loro leader. Per quanto mi riguarda nutrivo un grande rispetto nei suoi confronti. Avevamo voluto i TON in tour con noi nel 1994 quando dovevamo promuovere ‘Danzig 4’ ed in quell’occasione ho avuto modo di conoscerlo un po’ meglio. Era una persona strana, molto particolare, però con uno spiccato sense of humor. Se si riusciva ad andare oltre alla scorza da duro che mostrava al pubblico, ci si trovava davanti una persona a modo suo molto profonda. Mancherà a tutti Pete, questo è certo”.
E tu, ti sei mai chiesto, quando non ci sarai più che cosa mancherà di te e per cosa verrai ricordato?
“Spero per la mia musica, se no sarebbe un problema. Significherebbe che ho buttato via anni e anni (ride Nda). Davvero, vorrei che si ricordassero di Glenn Danzig come di una persona che ha sempre fatto buona musica senza mai subire le imposizioni delle label, una persona nata indipendente e che ha vissuto tutta la sua esistenza in questa direzione. Probabilmente se avessi accettato più compromessi oggi sarei più ricco, ma certamente mi piacerei di meno. Amo il mio essere, amo ciò che sono e credo intensamente in ciò che faccio. Ecco, questo vorrei che si ricordasse di me, tutto il resto conta nulla”.
Sicuramente tutti si ricordano di te per la tua ‘Mother’, un pezzo che ancora oggi viene spesso fatto girare, e non solo su emittenti puramente rock. Ti saresti mai aspettato, quando lo hai inciso, di renderlo un brano immortale?
“Quando ho incominciato a fare musica, il mio obiettivo era incidere canzoni che non si facessero ascoltare solamente in quel preciso momento, ma che potessero essere considerate attuali anche se ascoltate dopo vent’anni. Sono cresciuto con i dischi dei Velvet Underground, dei Black Sabbath, dei Led Zeppelin, e ho sempre cercato di far si che la mia musica si avvicinasse agli standard di quelle band, volevo incidere dischi che la gente avrebbe potuto ascoltare per sempre. Questo è un obiettivo che ho rincorso prima con i Misfits, poi con i Danzig e anche con i miei dischi solisti, qualche volta ci sono riuscito, altre no, però io sono orgoglioso perché non ho mai distratto la mia attenzione da quel preciso obiettivo. Ovviamente è solo il tempo a poter dire se ho raggiunto il mio traguardo o meno, il tempo è il migliore giudice della mia carriera… nel caso di ‘Mother’ ha detto che ho centrato il segno, e questo non può che farmi felice”.
Solo l’altra sera mi è capitato di vedere ‘Una Notte da Leoni’ film del 2009 nella cui colonna sonora è presente una tua personale versione di ‘Thirteen’, da te scritta per Johnny Cash…
“Questa è stata una grande sorpresa anche per me. Sono stato contattato dal regista, Todd Philips, il quale mi ha chiesto il permesso di poter utilizzare per il suo film ‘Thirteen’. ‘Hey, chiedilo a Johnny Cash, l’ho scritta per lui quella canzone!’ E lui mi ha risposto ‘No, no, io voglio la tua versione!’ Ho scoperto che Todd è un grande fan dei Danzig, quindi sono stato lieto di concedergli questo brano. Che, tra l’alto, è davvero molto valido. L’ho riscoperto di recente ed infatti l’ho inserito per la prima volta nella scaletta di un mio concerto solamente in occasione dello Sweden Rock. In chiave live ha reso molto bene, quindi penso proprio che ripeterò presto l’esperimento”
A proposito di Sweden Rock, è abbastanza raro vederti all’opera in Europa e tantomeno in Italia. Pensi che ora, con il nuovo disco da promuovere, ti si vedrà più spesso da queste parti?
“Al momento stiamo scaldando i motori con una serie di concerti in America, otto o nove, non di più (quando l’intervista è stata realizzata eravamo ai primi di giugno Nda), il vero e proprio tour partirà in autunno e il programma è quello di venire anche in Europa. Ci siamo stati di recente, allo Sweden Rock Festival appunto, e al Sauna Open Air in Finlandia, e le reazioni del pubblico sono state molto positive, quindi se ci saranno i presupposti non vedo perché non si possa suonare in Europa anche con maggiore regolarità”
Ma che rapporto hai con la vita on the road?
“E’ una sorta di rapporto di amore/odio. Mi piace suonare davanti alla gente, mi piace lo scambio di energia che viene a crearsi con chi ti sta davanti, però l’altro lato della medaglia è rappresentato dagli estenuanti spostamenti sul tourbus, le attese del soundcheck, il tempo perso in viaggio che spesso risulta improduttivo… questo è ciò che mi fa detestare il live. Devo dire che in questo caso la realtà è un po’ diversa perché c’è del materiale nuovo da promuovere, c’è la curiosità di vedere come i fan reagiranno alle nuove canzoni… volendo c’è un approccio differente al tour, quindi vivo in modo diverso anche i momenti spesi giù dal palco”.
Recentemente la tua Verotik ha pubblicato un libro, ‘Hidden Lyrics’. Di cosa si tratta?
“E’ un progetto rivolto più che altro ai fan, un po’ come era stato discograficamente parlando, di ‘Lost Tracks’. Non sempre è stato possibile inserire i testi delle mie canzoni nei booklet dei miei dischi, qualche volta per pure ragioni grafiche, altre volte per ragioni prettamente economiche. Ora, io ho sempre dato molta importanza ai miei testi, ho sempre pensato che il peso delle parole, nelle mie canzoni, fosse tanto importante quanto quello della musica, quindi anche su richiesta dei miei fan che mi richiedevano i testi delle canzoni per poterle meglio comprendere, ho deciso di pubblicare questo libro che racchiude un po’ tutta quella che è stata la mia produzione. Il tutto è stato poi impreziosito dalle illustrazioni di Simon Bisley che con i suoi disegni ha dato ancora più valore all’opera”.
Sei musicista, produttore, editore ma soprattutto sei un punto di riferimento per molti aspiranti artisti. Tu che la scena l’hai vissuta in ogni suo aspetto, che consiglio daresti a chi vuole oggi intraprendere una carriera artistica?
“Oggi è molto più difficile di quando ho iniziato io, quindi se un ragazzo vuole diventare musicista deve avere fortissima in se la convinzione che quello è proprio ciò che si vuole fare nella vita, che bisogna essere disposti ad anteporre la musica a tutto, quindi nulla…famiglia, lavoro, amici, donne saranno più importanti della musica. E anche se si fanno sacrifici bisogna essere pronti a rimanere con nulla in mano, sono queste le regole del gioco, non è facile, bisogna sapere e volere rischiare. E poi bisogna evitare di incorrere nell’errore nel quale incappano molte giovani band: incidere un pezzo, metterlo on-line e aspettare che la gente lo ascolti. Cazzate. Se si vuole emergere bisogna incidere subito un album e poi iniziare a promuoverlo ovunque, suonando ovunque, anche in pub infimi davanti a 10 persone. Va bene così. Se foste restati a casa non avreste avuto nemmeno quelle 10 persone ad ascoltare la vostra musica. Ed invece è facile che la prossima volta quelle 10 persone portino loro amici, e diventeranno quindi 20, poi 30… se veramente vali e credi in quello che fai, la gente alla lunga ti segue. Ma non devi avere paura di metterti in gioco e soprattutto devi sempre rimanere onesto con te stesso”