At The Gates – Terminal Spirit Disease
Il 17/09/2010, di Fabio Magliano.
Con ‘The Flames Of The End’ gli At The Gates pongono definitivamente la parola fine alla loro carriera discografica. Ma lo fanno in grande stile, con un imponente box composto da tre DVD nel quale non solo viene riproposta l’esibizione della band svedese al Wacken 2008, ma viene ripercorsa per intero la carriera dei padri del death metal melodico. Attraverso un lungo documentario curato personalmente dal chitarrista Anders Björler, per l’occasione interlocutore del nostro Fabio Magliano
‘The Flames Of the End’ è un box mostruoso, ma non poteva essere altrimenti. Attraverso tre DVD zeppi di musica, di chicche e di rarità, infatti, vengono passati in rassegna vent’anni di metal estremo, vent’anni (anche se, al netto di break e separazioni si arriva a nove anni) che portano indissolubilmente impresso il marchio degli At The Gates, la band dalla quale il death metal melodico ha avuto inizio, i padri, assieme a Dark Tranquillity e In Flames del cosiddetto ‘Gothenburg’s Sound’ nonché artefici seppur indirettamente, di quel metalcore per anni sulla breccia nella scena americana. Band che, dopo il ritorno sulle scene nel 2007 suggellato da una serie di importanti show, pare oggi voler porre la parola “fine” in calce ad una gloriosa carriera, affidandosi per questo ad un DVD live di 75 minuti estratto dalla sua esibizione davanti a 100.000 persone al Wacken ’08, ad una serie di rarità live racchiuse sotto il titolo di ’Only the Dead Are Smiling’ e soprattutto ad ‘Under A Serpent Sun – The Story Of At The Gates’, un documentario di oltre due ore attraverso il quale viene ripercorsa l’intera carriera della band svedese, interamente curato dal chitarrista Anders Björler, membro fondatore degli At The Gates nonché nostro interlocutore nell’intervista che segue.
‘The Flames Of the End’ è un mastodontico “documentario” racchiuso in tre DVD che ripercorre i vent’anni di vita degli At The Gates. Come mai realizzare un simile lavoro quando tutti, anche affidandosi alle vostre dichiarazioni originarie, si attendevano un semplice live album?
“(Anders Björler) Effettivamente l’input era quello di realizzare un DVD live che suggellasse anche discograficamente il nostro ritorno sulle scene , ed infatti l’idea originaria era quella di realizzare un album live magari immortalando le nostre performance in qualche grande festival estivo, o il Wacken o lo Sweden Rock. Un giorno, però, è arrivata da Adrian la proposta di unire al materiale live raccolto durante il reunion tour, una sorta di documentario con una serie di interviste con persone con le quali abbiamo avuto modo di collaborare nel corso degli anni, come ad esempio Shane Embury dei Napalm Death, che ha lavorato con Tompa nel progetto Lock Up. Come ti dicevo prima, però, la situazione ci è un po’ “sfuggita di mano” ed alla fine il materiale inserito si è ampliato a livello inizialmente impensabile e dal disco live che avevamo in mente ci siamo trovati ad avere in mano un box con tre DVD”.
Lo show del Wacken, come hai affermato, era stato in ballottaggio con quello allo Sweden Rock. Tutti si attendevano di vedere immortalato su video quest’ultimo concerto, visto che giocavate in casa, ed invece la scelta è caduta sul celebre festival tedesco. Come mai questa decisione?
“Era normale che scegliessimo quel concerto, perché è stato il punto più alto toccato nella nostra carriera e poi perché quella sera è stato tutto impeccabile, dal contesto al pubblico sino alla nostra esibizione. A dire il vero avevamo registrato anche altri show tra cui un paio di date in Svezia, però c’era sempre qualcosa che non ci convinceva a pieno, dalla performance di Tompa a alcuni errori di esecuzione nei pezzi, quindi alla fine abbiamo deciso di puntare tutto sulla data nel festival tedesco. In quell’occasione, poi, avevamo sul palco ben dieci telecamere, quindi il risultato è stato assolutamente professionale. Il materiale che è stato scartato dalle altre registrazioni, comunque, non è andato totalmente perso, perché in parte è stato recuperato e inserito nel terzo DVD, insieme a registrazioni raccolte nel corso degli anni ma mai pubblicate data la scarsa resa video. In questo caso, però, anche queste immagini non troppo perfette potevano avere il loro perché, vista la natura da documentario dell’intero lavoro”.
Buona parte della lavorazione di ‘The Flames Of the End’ è stata curata da te in prima persona. Quanto ci hai messo per assemblare tutto questo materiale?
“Ci ho impiegato oltre due anni, è stato un lavoro lunghissimo perché ho dovuto occuparmi di tutto, dalla selezione del materiale alla realizzazione di tutte le interviste. Pensa che persino la mia intervista è stata fatta in solitaria… giusto una telecamera e qualche argomento su cui discorrere. Ho cercato di fare interviste molto dirette, molto chiare, in modo da non perderci troppo nei tecnicismi. In linea di massima è filato tutto via liscio, anche se gli inconvenienti non sono mancati. Adrian, ad esempio, per un motivo o per un altro non sono mai riuscito a intervistarlo. Alla fine, con il lavoro in chiusura, l’ho dovuto braccare e fargli qualche domanda in una stanza d’albergo poco prima che salisse sul palco per suonare in un grande festival in Spagna. Piccoli problemi tecnici, comunque, perché in generale tutto è andato più che bene e, credimi, vista la mole di lavoro su cui lavorare non era affatto semplice”:
Non hai provato un pizzico di nostalgia immergendo le mani in tutto questo materiale d’epoca?
“La nostalgia c’è, ed è tanta, inutile nasconderlo. Quando mi sono trovato a dover selezionare tutto il materiale che sarebbe finito in questo box sono stato chiamato a compiere un vero viaggio indietro nel tempo attraverso vecchie fotografie, interviste e video dei quali manco ricordavo l’esistenza, e a mano a mano che scavavo mi veniva la voglia di andare ancora più a fondo, saltavano fuori nuove idee e se questo lavoro appare così ricco, è anche perché la mole di materiale interessante saltato fuori in questa azione di ricerca era davvero notevole. Dal punto di vista emozionale è stata una bella botta, abbiamo ricordato momenti della nostra carriera che avevamo accantonato, ma soprattutto fermandoci e guardandoci alle spalle abbiamo potuto realmente misurare quanto siamo cresciuti in questi anni”.
Toglimi una curiosità. Quando si parla degli At The Gates lo si fa citando una della band più influenti della scena metal mondiale, eppure dai filmati delle vostre vecchie esibizioni si evince come “teatro” delle vostre gesta fossero più che altro piccoli locali piuttosto che grandi club che meglio si addicono a un gruppo del vostro calibro. Dove sta l’errore?
“L’errore è in quella tendenza ad associare il fatto che siamo stati tra i primi a suonare un determinato tipo di musica con l’idea che essere pionieri sia per forza sinonimo di successo. Anzi, spesso chi arriva prima apre la porta per il successo a chi arriva dopo, quindi onori ai maestri e fama e soldi ai discepoli. A parte il tour che ci ha visti suonare con i Morbid Angel e che comunque è stato lungi dall’essere sold out, gli At The Gates si sono sempre esibiti in locali da due, trecento persone. Alla fine la reunion è stata concepita anche per dare a Cesare quel che è di Cesare, per raccogliere quello che abbiamo seminato negli anni e per vederci finalmente riconosciuti i nostri meriti. Suonare al Wacken è stato sicuramente il giusto riconoscimento per quello che abbiamo fatto, suonare davanti a quel mare di persone ci ha ripagato di tutti i sacrifici fatti, ma anche esibirci al vostro Gods Of Metal, suonare a Tokyo, New York e Gotheborg è stato appagante. Peccato che per suonare davanti a migliaia di persone abbiamo dovuto scioglierci e sparire per anni dalle scene”
Facciamo un passo indietro nel tempo: Nel 1996 vi sciogliete, nel 2007 ritornate sulle scene: in questi undici anni, quante pressioni avete subito affinchè vi riuniste?
“Ti stupirò ma se devo essere sincero non abbiamo mai avuto troppe pressioni in questo senso. Se ci penso bene forse solo una volta, qualche anno fa, un promoter statunitense mi aveva chiesto se fossi interessato ad allestire un tour con, insieme, At The Gates e The Haunted, ma allora risposi di no. Addirittura a volte mi sorprendeva leggere su webzine varie notizie di una nostra possibile reunion, perché nessuno ce lo aveva mai chiesto seriamente”.
Quindi siete tornati solo quando avete sentito che era il momento giusto per farlo…
“Più che altro ci dava tremendamente fastidio sentire che i Carcass stavano tornando ed avevano già fissate una serie di date in festival importanti, non lo potevamo sopportare! Ovviamente sto scherzando, semplicemente ci siamo resi conto che il gruppo era troppo valido per finire così la sua carriera, meritavamo di uscire di scena con il botto e soprattutto volevamo dare a chi non ci aveva mai visti dal vivo la possibilità di assistere ad un nostro show, e così abbiamo fatto. E poi, come detto in precedenza, pensavamo fosse giusto prenderci quelle soddisfazioni che meritavamo; visto quante band che si sono ispirate a noi si sono conquistate platee importanti, ci pareva giusto godere anche no, per un estate, della ribalta”.
Però tu e Jonas siete impegnati da anni con i The Haunted, Adrian aveva i suoi Cradle Of Filth oltre ad altri gruppi, Tompa ha un migliaio di progetti in ballo… non è stato un problema per le “band madri” accettare che partecipaste a questa reunion?
“A dire il vero non aver mai interrotto l’attività musicale ci è stato d’aiuto perché non essendo mai usciti dal giro abbiamo potuto organizzare le cose al meglio senza lasciare spazio all’improvvisazione. Abbiamo poi avuto la fortuna che le nostre rispettive nuove band non ci hanno creato problemi per poter attuare questa reunion, però l’essere rimasti attivi ci ha dato sicuramente una mano importante. A parte Martin Larsson che aveva suonato in un paio di band più per passione che per lavoro, tutti noi abbiamo seguito un percorso professionale ben preciso in ambito musicale che ci ha portato a lavorare, come hai detto tu, con band importanti, per le quali era comunque ben chiara l’importanza che avevano ricoperto per noi gli At The Gates, quindi l’eventualità di una reunion era qualcosa attesa, prima o poi. Paradossalmente eravamo noi che non avevamo idea di come e se si sarebbe mai realizzato qualcosa di simile. Poi invece è venuta fuori questa idea, abbiamo valutato la possibilità di realizzarla tutti insieme e fortunatamente ci siamo trovati tutti d’accordo riguardo la fattibilità della cosa. Abbiamo quindi deciso di stoppare per un’estate per far sì che le altre band non rimanessero troppo ferme e che la reunion non ci rubasse troppo tempo, comprimendo così le cose è stato tutto molto più semplice e gli At The Gates hanno potuto tornare a suonare insieme”
Pensi che in futuro si sentirà ancora parlare degli At The Gates, o ‘The Flames Of the End’ è il lavoro che pone la parola fine sulla storia della band?
“Non la vedrei così, nessuno può sapere cosa gli riserverà il futuro. L’unica cosa certa è che non ci sarà mai più nuova musica targata At The Gates, non avrebbe senso e non avremmo neppure tempo per fare le cose come vorremmo, quindi è meglio lasciare perdere. Molto più facile pensare a qualche sporadica data una volta ogni tanto, così, tanto per levarci di dosso la ruggine e toglierci qualche piccola soddisfazione”: