Seventh Wonder – Somewhere Out in Space
Il 12/09/2010, di Fabio Magliano.
E’ ispirato all’opera del premio Nobel svedese Harry Martinson il nuovo gioiello dei progster svedesi ‘The Great Escape’, lavoro ancora una volta in grado di fare sposare la perizia tecnica del prog con le accattivanti melodie dell’hard rock. A presentarcelo, il bassista Andreas Blomqvist.
Dieci anni di carriera hanno fatto crescere popolarità ed interesse attorno ai progster svedesi Seventh Wonder, nonché una buona dose di coraggio in seno alla band stessa che, dopo aver mietuto successi con i vari ‘Become’, ‘Waiting In The Wings’ e ‘Mercy Falls’, oggi prende il largo con l’ambizioso ‘The Great Escape’, lavoro ancora una volta in grado di fare incontrare la perizia del prog con la melodia del rock, incentrato sulla mastodontica title track, trenta minuti di pura arte…letteralmente da Nobel! A presentarci questo piccolo gioiello, il bassista nonché fondatore del gruppo Andreas Blomqvist.
Andreas, come pensi possa essere inquadrato ‘The Great Escape’ rispetto ai lavori che lo hanno preceduto?
“(Andreas Blomqvist ) Musicalmente il nuovo lavoro può essere visto come il perfetto punto d’incontro tra il precedente ‘Mercy Falls’ e ‘Waiting In The Wings’. Credo che, chi ha amato questi due lavori, apprezzerà anche ‘The Great Escape’, perché nostro obiettivo era quello di individuare i punti di forza dei due dischi, elaborarli, migliorarli per quanto possibile e fonderli insieme. ‘The Great Escape’ suona più diretto dei suoi predecessori, è stato fatto un lavoro molto accurato sulle chitarre, abbiamo cercato di focalizzare l’attenzione su ogni singolo strumento in modo da valorizzare a pieno tutti gli elementi. Abbiamo lavorato poi molto sulle melodie, cercando di perseguire una via che non fosse banale ma, allo stesso tempo, che fosse fruibile a tutti. I primi responsi sono stati più che positivi, il che ci fa pensare che abbiamo lavorato bene centrando il nostro obiettivo”
Cosa ha suscitato clamore è stata la title track, una canzone lunga oltre mezz’ora….
“E’ un pezzo al quale siamo tutti molto legati, e infatti quando ci siamo trovati a decidere se includerlo o meno nel disco nessuno ha avuto esitazioni in merito. Sappiamo che i trenta minuti di durata possano sembrare uno sproposito, però abbiamo cercato di adottare una struttura tale da renderlo scorrevole, come se fossero più canzoni concatenate e unite da un filo logico. E poi era impossibile rimanere al di sotto dei trenta minuti di durata, perché il tema trattato in questo brano richiedeva tempi abbastanza lunghi. ‘The Great Escape’ è infatti ispirato al poema ‘Aniara’, un’opera del 1956 scritta dal premio nobel Harry Martinson. L’opera parla di un’astronave, l’Aniara, appunto, in fuga da un mondo devastato da guerre ed epidemie, con a bordo gli ultimi sopravvissuti terrestri intenzionati a raggiungere Marte con l’intenzione di colonizzare il nuovo mondo. Ovviamente le cose non vanno come previsto e l’astronave si troverà a vagare in eterno nello spazio. Mettere l’epopea dell’Aniara in musica non è stato semplice, però nel farlo siamo stati aiutati dalla figlia di Martinson che, detenendo i diritti del poema, ci ha permesso di utilizzare alcune frasi originali dell’opera, e questo è per noi un motivo di grande orgoglio”.
Tutti i brani di questo disco hanno una base “letteraria”?
“No, non tutte. Abbiamo sempre cercato di trarre ispirazione da tutto quello che ci colpiva della realtà circostante, non ci siamo mai fossilizzati su un unico tema per comporre le nostre canzoni. Ok, se capitava di leggere un libro particolarmente affascinante questo poteva essere fonte di ispirazione, ma allo stesso modo lo poteva essere una notizia sentita al telegiornale, vicissitudini personali di qualcuno di noi, momenti della nostra quotidianità che, per un motivo o per un altro, sono andati ad assumere significati particolari”.
Quanto è importante per voi l’aspetto tecnico e quanto quello emotivo nella vostra musica?
“E’ una bella lotta. Alla fine risulterò scontato, ma posso dire che nel nostro modo di intendere la musica non ci sono emozioni senza tecnica. Mi spiego meglio: siamo una band progressive e la perizia tecnica è una nostra priorità. Al fine di far emergere determinati passaggi nelle nostre canzoni dobbiamo esercitarci moltissimo e affidarci a veri e propri virtuosismi. Ci rendiamo però conto che questa fase è molto delicata, perché sono tante le band che non sanno soppesare bene questo aspetto della loro musica e finiscono per risultare noiose. E’ qui che entra in gioco l’aspetto emozionale. Un virtuosismo se fine a se stesso sarà freddo e asettico, se fatto con il cuore non annoierà mai, ed è su questo che noi puntiamo molto. Diciamo che nel nostro sound le emozioni sono indispensabili per la perfetta esecuzione tecnica dei brani”.
La vostra musica ha sempre fatto registrare un interesse crescente da parte dei vostri fan. Che aspettative avete con questo disco?
“Vogliamo aumentare ancora di più il numero di persone che apprezzano la nostra musica. Se guardiamo a questo disco ci rendiamo conto che rappresenta un importante passo in avanti per quanto riguarda la nostra musica, è estremamente vario, quindi se da un lato dovrebbe fidelizzare i nostri vecchi fan, dall’altro ci aspettiamo che avvicini alla band gente che non ha mai sentito parlare dei Seventh Wonder. Dopo tutto quando entri in studio gli obiettivi sono sempre fondamentalmente due: dimostrare di essere cresciuto come artista e ampliare il tuo pubblico”.
Una volta mi è capitato di leggere una singolare definizione della vostra musica, che la voleva come il punto d’incontro tra Europe e Dream Theater. Ti ritrovi in questo paragone?
“Si, perché no? Dopo tutto sono band che in un modo o nell’altro ci hanno influenzato molto. Ma come loro anche i Maiden, i Metallica, Malmsteen, i Megadeth, i Symphony X ed i Talisman… Forse è proprio qui il segreto della nostra musica, nella nostra voglia di fare incontrare due mondi apparentemente opposti come uno stile fortemente cerebrale come il prog ed uno tutto cuore ed istinto come l’hard rock. Ad oggi sembra che ci siamo riusciti bene, quindi la cosa non può che inorgoglirci”.