Ratt – Back For More
Il 17/04/2010, di Fabio Magliano.
Sono stati tra i fenomeni musicali degli anni Ottanta, re insieme a Motley Crue, Poison e compagnia bella della scena hard rock losangeliana. Nel 2006 sono tornati alla carica ed oggi, dopo lunghi tour americani e una partecipazione nella colonna sonora di ‘The Wrestler’, vede la luce ‘Infestation’, il nuovo lavoro firmato Ratt. Fabio Magliano non si è lasciato sfuggire l’occasione di contattare direttamente Bobby Blotzer, batterista nonché membro fondatore dei Ratt, costruendo con lui un solido ponte tra passato e futuro…
Riassunto delle puntate precedenti per chi, negli ultimi trent’anni, fosse stato rapito da un’entità aliena, trasportato sul pianeta Krogox e qui sottoposto da una strana razza aliena metà medusa e metà zucchina in una serie di test atti a valutare l’intelligenza e la virilità della razza umana. I Ratt sono una vera e propria istituzione nella scena glam losangeliana degli anni Ottanta, capaci di vendere oltre venti milioni di copie in tutto il mondo e di sfondare su MTV grazie al singolo tormentone ‘Round Aand Round’. Nascono come Mickey Ratt nel 1978 (e all’epoca sfoggiano un certo Jake E Lee alla chitarra, ma negli anni a venire quello strumento passerà anche per le mani di Michael Schenker, Keri Kelli, Marq Torien e John Corabi) ma esordiscono con la formazione “storica” comprendente Stephen Pearcy alla voce, Warren DeMartini e Robbin Crosby alla chitarra, Juan Croucier al basso e Bobby Blotzer alla batteria solamente nel 1983 pubblicando un omonimo EP indipendente in grado di vendere oltre un milione di copie. La Atlantic allunga le sue zampe sulla band e nel 1984 fa uscire ‘Out Of The Cellar’ che, trainato dal tormentone già citato, vende due milioni di copie proiettando la band in tour con Ozzy, Bon Jovi e Motley Crue. Nel 1985 esce ‘Invasion Of Your Privacy’ (più volte platino) e Robbin Crosby finisce su Playboy, quindi nel 1987 vede la luce ‘Dancin’ Undercover’, album sperimentale dai risultati alterni comunque capace di arrivare al disco d’oro in America. Dodici mesi più tardi esce ‘Reach For The Sky’: la crisi è alle porte, alcool e droga sono una brutta bestia eppure il disco arriva nuovamente al platino. Nel 1990 esplode il grunge e i Ratt cercano di contrastalo assumendo Desmond Child e pubblicando ‘Detonator’, disco non eccelso che pone fine alla carriera della band californiana, uccisa come centinaia di altri gruppi cotonati dalla depressione post-Nirvana. Gli anni successivi sono uno sbocciare di nuove collaborazioni. Chi mette su band nuove di pacca (gli Arcade di Pearcy), chi si unisce ai Whiteskane e, successivamente, ad Ozzy (DeMartini), chi produce nuove band (Croucier e Blotzer) e chi si massacra con l’amico Nikki Sixx (Robbin Crosby) sino alla morte. Nel 1996 la band si riforma pubblicando tre anni più tardi un album omonimo che si rivela un fiasco colossale ritrascinando il gruppo nell’abisso poi, nel 2006, grazie ad un rinato entusiasmo attorno al glam ottantiano, i Ratt tornano alla carica nella formazione originale ed oggi, a conclusione di un lungo calvario, il nuovo lavoro ‘Infestation’. Presentato a Metal Maniac dal batterista Bobby Blotzer.
Dopo aver venduto oltre venti milioni di copie e aver fatto incetta di dischi d’oro e di platino, tornate ad undici anni di distanza dal vostro ultimo album con ‘Infestation’. La domanda sorge spontanea: perché? Pensavate di avere ancora qualcosa da dimostrare al mondo? Che obiettivi dovevate ancora raggiungere?
“(Bobby Blotzer) Pensiamo di non avere ancora toccato il massimo delle persone raggiungibili, là fuori c’è ancora moltissima gente che non conosce i Ratt, perché all’epoca era troppo giovane o non era ancora nata, che potrebbe godere della nostra musica. Siamo stati fermi per oltre dieci anni, ed in questo senso ci siamo resi conto che alcune band nostre coetanee, come gli Ac/Dc, Def Leppard, Scorpions, Motley, Poison in questi anni hanno continuato a fare dischi, a suonare e hanno dimostrato di avere ancora qualcosa da dire, quindi i Ratt in questo contesto non sarebbero stati fuori luogo. E poi il discorso del numero di copie vendute non sta in piedi… puoi aver venduto due, tre, quattro milioni di dischi, eppure avere ancora buone idee da esprimere, ottima musica da comporre e migliaia di altre persone da raggiungere, quindi sarebbe stato un grave errore considerarci arrivati dopo i primi successi”.
Avete incontrato difficoltà nel tornare a comporre insieme dopo anni passati a dedicarvi ai vostri personali progetti?
“Non è stato difficile comporre perché una volta tirata via la ruggine le canzoni sono venute quasi da sé, dopo tutto la chimica c’era e c’è sempre stata, quindi si trattava solo di ritrovare la giusta sintonia. Non è stato invece semplice la prima fase, quando si è trattato di mettere in moto nuovamente tutto il carrozzone. Dovevamo fare incontrare le idee di cinque individui diversi, che in questi anni sono maturati, hanno cambiato modo di vedere le cose, di suonare, di vivere la musica, quindi riportare tutti sulla medesima lunghezza d’onda è stato un lavorone. Superato però questo scoglio, la strada è stata in discesa”.
Molte band attive in quella sfavillante scena americana negli anni Ottanta stanno tornando a galla. Sei anche tu convinto che sia tutto pronto per una nuova rivoluzione rock’n’roll?
“Sicuramente. E una mano molto grande ci è stata data da Guitar Hero e da altri videogiochi musicali, perché hanno permesso ai ragazzi più giovani di riscoprire quelle band che andavano forte negli anni Ottanta e hanno fatto nascere in loro la voglia di andare a cercarsi i vecchi dischi. Penso che alla base ci sia anche una sorta di fascino suscitato dall’immagine della rockstar, negli anni Ottanta il rocker dannato, devastato ma perennemente circondato da bellissime donne era una sorta di icona per questo genere di musica, oggi tutto si è piallato, le rockstar non esistono più, tutto è molto più noioso, quindi è naturale che i giovanissimi abbiano voglia di riscoprire e magari di vivere, anche solo virtualmente, gli anni d’oro dell’hard rock”.
Nella colonna sonora di un film che ha riscosso parecchio successo, come ‘The Wrestler’ sono presenti due vostri brani. Pensi che il clamore suscitato da questo film abbia contribuito al vostro ritorno sulle scene?
“No, affatto. Se guardi indietro ti rendi conto che ci sono tantissimi film, programmi televisivi… anche cartoni animati che hanno utilizzato delle nostre canzoni, quindi non era certo una novità per noi. Comunque ‘The Wrestler’ è uno splendido film, prima di iniziare questa collaborazione abbiamo parlato tantissimo con Mickey Rourke, più che altro per comprendere a pieno lo spirito del film, ci ha raccontato tutto, dalla trama al processo di realizzazione, ai numerosi problemi incontrati durante la lavorazione. Alla fine ci siamo resi conto entrambi che avevamo a che fare con il nostro partner perfetto. E quando abbiamo avuto questa convinzione, abbiamo potuto avviare la collaborazione. Il risultato è stato eccellente. Conoscevo Mickey da tempo, ma sinceramente non ricordavo che fosse così tanto…rock. Ed invece quando siamo stati contattati dalla produzione ci è stato detto che dovevamo assolutamente fare parte del film, che ci volevano perchè eravamo perfetti per il tipo di lavoro che dovevano realizzare. Wow, cool… la cosa ci ha gasato tantissimo, però lo stimolo per tornare a comporre insieme l’avevamo avuto già tempo prima”.
Questo lavoro è il primo non registrato nella vostra Los Angeles. Come mai questa decisione, anche in considerazione del fatto che la “Città degli Angeli” ha influenzato negli anni passati il sound di centinaia di band…
“Per il semplice motivo che ci piaceva l’idea di lavorare con Elvis (Baskette, il produttore di ‘Infestation’, Nda), e lui ha dei fantastici studi in Virginia ed è venuto naturale incidere nella sua struttura. Che poi non è poi tanto diversa come ambientazione dalla California. Gli studi di Elvis sono su di una spiaggia, alla fine delle sessioni di registrazione uscivamo fuori dalla porta e ci tuffavamo in mare, guardavamo fuori dalla finestra e vedevamo panorami da brivido… non ti nascondo che l’atmosfera di quei giorni è stata una forte fonte di ispirazione per noi… eravamo lontani dalle tentazioni di Los Angeles ma allo stesso tempo eravamo in un vero paradiso. In questo modo abbiamo potuto lavorare concentrandoci totalmente sulla nostra musica, suonavamo e ci rilassavamo… penso che ‘Infestation’ sia nato nelle migliori condizioni ambientali possibili”.
A proposito… perché ‘Infestation’?
“Ci piaceva l’idea di giocare con il nostro nome, associandolo ad un termine che può significare diverse cose. Un’invasione di ratti può essere una cosa molto sgradevole, però l’idea di radio e televisioni invase dalla musica dei Ratt non era niente male. Dopo tutto non era la prima volta che utilizzavamo questo espediente, anche con ‘Out Of The Cellar’, se ci pensi, avevamo fatto lo stesso giochino”
Il primo singolo estratto è ‘The Best Of Me’. Un’attestazione di quello che è lo stato attuale della musica dei Ratt o c’è di più?
“Questo brano è figlio di Stephen. Se consideri il suo significato superficiale può essere visto come un’esortazione a dare il meglio di te stesso soprattutto nei momenti di difficoltà, quando devi tirare fuori tutto ciò che hai per uscire dalla crisi. Avendo vissuto dal di dentro la storia dei Ratt, invece, mi piace leggerci una sorta di “chiusura del cerchio” da parte di Steve. Forse di tutti noi è stato quello che più ha patito lo scioglimento del gruppo dopo ‘Detonator’, perché sentiva che la band non aveva ancora espresso il suo massimo potenziale e che aveva ancora molto da dire. ‘The Best Of Me’ è la conferma che aveva ragione, che i Ratt dovevano ancora vivere e che potevano ancora dare molto alla scena rock”
Sul tuo sito www.bobbyblotzer.com è pubblicizzato un libro che porta la tua firma, ‘Tales Of A Ratt’. Cos’è, la tua personale risposta a ‘The Dirt’?
“Si, in un certo senso si. Nel corso della mia carriera ho avuto modo di vedere davvero molte cose interessanti, i fan continuavano a chiedermi di raccontare storie sul fantastico mondo del rock degli anni Ottanta ed alla fine ho deciso di dare loro ciò che volevano, tirando fuori un sacco di aneddoti legati soprattutto alla fase d’oro della carriera dei Ratt. Ho cercato di fare risaltare i lati salienti della vita da rockstar, alla fine penso sia venuto fuori uno di quei libri che tutti gli amanti dell’hard rock avrebbero voluto leggere. Ora come ora è possibile acquistarlo unicamente attraverso il mio sito internet, la speranza ovviamente è che l’interesse sia tale da fargli trovare una distribuzione più massiccia”.
Ma quanto è stato difficile sopravvivere per tutto questo tempo in una scena “tritura band” come quella losangeliana?
“Da un punto di vista umano è stata una prova difficile, perché le tentazioni quando sei sulla cresta dell’onda sono tantissime. Hai dischi in classifica, la foto sui giornali, soldi, inviti a party esclusivi, donne che ti cercano in massa… quando ti svegli il mattino e l’unica tua preoccupazione è cosa fare per divertirti di più rispetto al giorno precedente può essere eccitante ma allo stesso tempo molto pericoloso. Dal lato musicale, invece, non è stato difficile, basta avere ottime canzoni e un buon seguito di fan. In questo modo potrai sopravvivere anche trent’anni… da questo punto di vista pensiamo di essere molto fortunati, infatti oggi più che vecchi fan da riconquistare, puntiamo a trovarne di nuovi rispetto a dieci anni fa”
Chi non è riuscito a sopravvivere a questa scena è stato Robbin Crosby, morto di overdose nel 2002. So che eravate molto legati, cosa ti è rimasto di lui?
“Il ricordo di un ragazzo sempre sorridente. La sua risata era dirompente, con lui il divertimento era assicurato, perché aveva un senso dell’umorismo molto accentuato e riusciva a tenere banco anche delle ore con le sue storie. Ma era anche un ragazzo molto altruista, sempre pronto ad aiutarti nel momento del bisogno. Ed il fatto che ancora oggi siano moltissimi i fan che fanno arrivare a noi amici e alla sua famiglia lettere molto toccanti dedicate a Robbin, la dice lunga sulla sua grandezza d’animo”.
Rimanendo in ambito “letterario”: ho recentemente letto ‘Golf Monster’, il libro attraverso il quale Alice Cooper tracciava un parallelo tra il mondo del rock e quello del golf, una disciplina che anche tu ami parecchio…
“Si si, ho letto anche io quel libro. Splendido! Che dire? Per chi fa una vita come la nostra, il golf spesso è un’utilissima ancora di salvezza. La vita on the road è stressante, se non sei preparato ti fa uscire di testa. Non sembra, ma la routine delle tue giornate in tour è tremenda: suoni, sali sul bus, arrivi in una nuova città, suoni, risali sul bus, altra città, altro concerto, altro viaggio… il golf ti consente di staccare, di estraniarti anche solo per un paio d’ore dal mondo esterno, e questo è qualcosa di speciale. Quando sei sul green non hai cellulari, non hai influenze esterne, sei tu, la tua mazza, la tua mente e tutto il verde attorno. L’idillio. Credimi, qualche ora passata sul green ti aiuta a ricaricare le batterie più di qualsiasi altra cosa. Ti fa bene al corpo e ti consente di rigenerare la mente. Non potrei farne a meno…”
Ora che avete il disco fuori, tutti si aspettano di vedervi dal vivo anche in Europa. Avete già programmato qualcosa?
“Si, certo, stiamo chiudendo le date europee proprio in questi giorni. Da quanto mi è stato riferito dovremmo essere in Italia in estate, mi pare che suoneremo a Roma di spalla agli ZZ Top ma è possibile che a questa data ne vengano aggiunte delle altre. Basta comunque tenere d’occhio il nostro website per essere costantemente aggiornati riguardo la nostra attività live”.