Ac/Dc – Rocking All The Way
Il 17/10/2008, di Fabio Magliano.
Tre anni. Quanti ce ne sono voluti per consentire agli Ac/Dc di ricaricare le batterie dopo ‘Stiff Upper Lip’ infrangendo “la regola del cinque” e dare alla luce il nuovo ‘Black Ice’. Un lavoro Ac/Dc al 100&, con il marchio di fabbrica della band aussie impresso a fuoco su ogni traccia. A presentarcelo è il deus ex machina del gruppo Angus Young, disponibile e ciarliero come non mai.
Il mito ci sta seduto davanti, ma non fosse per un raggio di sole che filtra dalle immense vetrate dell’hotel che ci ospita, illuminandolo con un singolarissimo effetto cromatico, il distinto signore che continua a fumare pacatamente sprofondato in una poltrona potrebbe essere benissimo scambiato per un turista in viaggio di piacere a New York. Jeans, un camiciotto cachi leggermente sbottonato…vi è ben poco dello scolaretto indemoniato che da oltre 35 anni incendia le platee di mezzo mondo assurgendo a icona imprescindibile nell’immaginario rock, vi sono giusto i guizzanti occhietti azzurri che ti scrutano, lasciando trasparire un certo compiacimento per i complimenti che ormai con una certa regolarità gli vengono rivolti, e la soddisfazione per aver dimostrato, casomai ce ne fosse stato ancora bisogno, che gli Ac/Dc sanno ancora sfornare grandi dischi rock e, vera sorpresa, sanno all’occorrenza rompere quegli schemi che, a ben vedere, ne hanno segnato un’intera carriera. ‘Black Ice’, il primo disco inciso da otto anni a questa parte, pur non rinnegando quell’heavy blues che ha marciato a fuoco il cammino degli aussie nel corso degli anni, lascia trasparire una certa volontà di sperimentare, introducendo flavour pop, feeling boogie, bottleneck mai utilizzati sino ad ora…ma soprattutto un nuovo producer, quel Brendan O’Brien che cose egregie aveva fatto con Bruce Springsteen, Pearl Jam e Stone Temple Pilots, ma che ad oggi risultava assolutamente vergine del mondo Ac/Dc. Un produttore al quale Angus Young attribuisce buona parte della felice riuscita dell’album, lasciandosi andare ad una peana che avrebbe potuto far tremare i polsi al “giovane” producer di Vancouver. Abile, va detto, a grattare via la ruggine dagli ingranaggi di una band rimasta fin troppo tempo ai box e a riproporcela con uno spirito e una freschezza per molti inaspettata.
Perché rimanere con le mani in mano per otto anni e ritrovarsi con rinnovate motivazioni, non è una cosa da tutti i giorni, vero Mr. Young?
“(Angus Young) E’ vero, ci siamo presi più tempo del solito per incidere ‘Black Ice’, ma ci sono dei momenti in cui si sente il bisogno di estraniarsi da tutto e tutti, di vedere le cose con un po’ di distacco per poter lavorare più efficacemente. E in questo periodo il bisogno di distacco è divenuta una vera e propria esigenza, perché molte cose sono cambiate nell’universo Ac/Dc e c’era davvero il bisogno di vedere le cose da un’ottica differente. Negli ultimi anni siamo passati dalla Warner alla Sony con tutto ciò che ne consegue, problemi legali inclusi, abbiamo dovuto affrontare i problemi di salute di Cliff Williams e di una mano che gli impediva di suonare come avrebbe voluto… però estraniandomi sono riuscito ugualmente a comporre e a tirare fuori qualcosa di buono. Non passa giorno senza che impugni una chitarra per cercare di fare qualcosa. E’ difficile da descrivere, è un po’ come se temporaneamente avessi messo da parte lo scolaretto che tutti conoscono senza però accantonare il musicista che da sempre abita in me”.
Avete iniziato a lavorare all’album nel 2006. I brani sono tutti figli di questo ultimo periodo o siete andati a pescare anche tra materiale composto negli anni precedenti?
“La maggior parte sì. Alcune idee sono più recente, altre erano rimaste un po’ più del previsto nel cassetto della nostra creatività. Ci capita infatti a volte di cominciare a lavorare su qualcosa e di perdere il filo… A volte un’idea può frullarmi nella testa anche per anni prima che arrivi il lampo di genio…Per questo preferisco mettere al riparo quello sul quale sto lavorando per rimettermi sopra più avanti. Io e Malcom componiamo ogni giorno, ognuno scrive per conto suo, ci riuniamo di tanto in tanto per confrontare le nostre idee e ciò che abbiamo prodotto, ascoltiamo tutti i nostri demo e scegliamo quello che ci sembra il migliore. Talvolta teniamo soltanto una parte di un pezzo, poi ci separiamo nuovamente e ci rimettiamo a scrivere da soli. E’ un processo già di per sé frammentato, poi noi ci mettiamo del nostro essendo delle vittime croniche delle distrazioni. Può succedere infatti che ci mettiamo a fare i registi per fare uscire qualche DVD, o archivisti se la nostra label ci chiede clip e sequenze d’archivio per allestire qualche uscita antologica”.
Il fatto che il disco sia composto da ben 15 brani contro i soliti 10-11 tradizionali, è perché in otto anni avete raccolto talmente tanto materiale che era impossibile ridurlo ad un numero ridotto di canzoni?
“Inizialmente l’idea era quella di inserirne 11, 12 al massimo. A mano a mano che i giorni passavano, però, ogni membro del gruppo proponeva una canzone, poi un’altra, poi un’altra ancora… ed alla fine la scelta è diventata davvero difficile, non sapevamo proprio quale brano escludere dalla tracklist, tanto che all’inizio abbiamo pensato persino di assemblare due versioni differenti, una con 12 e una con 15 canzoni. Poi abbiamo ancora discusso, ci abbiamo pensato su ed alla fine abbiamo deciso di optare per la versione più completa”.
Sul mercato però usciranno tre versioni differenti dell’album, tutte con un diverso art work. In questo caso la celebre “vena per gli affari” degli Ac/Dc emerge nella sua totalità…
“Le tre versioni dell’album non sono state certo studiate affinché i nostri fan le comprassero tutte e tre, non pensiamo siano tutti così ricchi da volerseli prendere in ogni versione. Certo, ci sono i collezionisti, ma sono un caso particolare… la ragione delle tre versioni diverse è dovuto al fatto che ci sono state proposte diverse prove per la copertina e ci piacevano tutte e tre. In ogni caso, il messaggio che noi desideriamo passi non è “compratelo tre volte per avere le tre diverse versioni!”, No, non è davvero per questo. Noi sappiamo che la maggior parte della gente comprerà il disco una volta sola del colore che preferisce. E per quanto mi riguarda mi interessa maggiormente che amino ciò che ascolteranno! Questo è l’essenziale…”
Essere stati lontani dalle scene per otto anni con conseguente aumento dell’attesa da parte di fan e media nei vostri confronti, non ha fatto sì che si venisse creare un clima di attesa destinato a ripercuotersi proprio sull’attività in studio del gruppo?
“La pressione si è fatta sentire solamente quando il disco era già praticamente concluso, perché una volta che si è diffusa la notizia che stavamo lavorando al nuovo disco tutte le attenzioni si sono rivolte su di noi e l’attesa è aumentata a dismisura. Fortunatamente siamo stati bravi a fare scudo in precedenza su quelle che erano le nostre intenzioni, quindi le prime notizie hanno iniziato a trapelare solamente a giochi ormai fatti. Ma noi volevamo fare le cose con calma, come abbiamo sempre fatto. Ci siamo detti “avremo l’album quando saremo soddisfatti del risultato al 100%”. Durante tutto questo tempo nessuno ha ascoltato il disco prima che noi ci mettessimo un’ultima volta il nostro tocco”.
Da dove è uscito fuori un titolo come ‘Black Ice’?
“ ‘Black Ice’ è la prova di come anche da una cosa apparentemente insignificante possa uscire un grande titolo. ‘Black Ice’ è un termine che ho sentito alla radio quando, una gentile signorina, allertava i guidatori della presenza di una lastra di ghiaccio sulla strada (“black ice”, appunto Ndr). Questo termine mi è rimasto impresso in testa, e lì è rimasto fino a quando non l’ho messo in musica e ho tirato fuori la canzone con questo titolo. Al momento di dover poi decidere il nome dell’album, è sembrato a tutti un titolo appropriato, e così il disco si è trovato bell’e battezzato”.
Uno degli aspetti fondamentali di ‘Black Ice’ è la scelta del produttore, Brendan O’Brien al posto di quel Mutt Lange che nel 2001 aveva prodotto uno dei più grandi successi della vostra carriera. Non avete mai pensato di tornare a collaborare con Mutt anche per questo disco?
“L’idea originaria era proprio quella di appoggiarci nuovamente a Mutt, però quando lo abbiamo contattato era occupato, e quando si è liberato…eravamo occupati noi. Diciamo semplicemente che non siamo riusciti a fare incontrare le nostre strade. Ma non è stato un problema, perché questa situazione apparentemente complicata ci ha consentito di entrare in contatto con Brendan O’Brien aprendo così una nuova porta davanti a noi. Era da tempo che sentivamo parlare in termini lusinghieri di Brendan, quindi quando Mutt ci ha detto che non avrebbe potuto lavorare con noi, abbiamo pensato che sarebbe stato stimolante lavorare con qualcuno di nuovo e non con un produttore già conosciuto. La sfida ci sembrava eccitante! E poi i tempi erano perfetti, Brendan aveva appena terminato un lavoro ed era entusiasta all’idea di collaborare con noi. Ci siamo semplicemente incontrati, ed è stata una fortuna, perché si tratta di un professionista molto competente, completo come pochi: suona chitarra, piano, batteria, cura moltissimo le parti vocali… non potevamo fare scelta migliore”.
Dalle tue parole emerge chiaro quanto tu sia soddisfatto della produzione di ‘Black Ice’…
“In generale la produzione del disco ci piace molto. A titolo personale, ci metto sempre un po’ di tempo ad abituarmi al suono digitale, che è molto più “secco” rispetto a quello analogico. Sono un adepto della vecchia scuola, quella che non prevede di girare un bottone per ottenere il suono che si desidera. Quando il basso satura, in analogico si ottiene sempre una distorsione molto “naturale”. In digitale è più difficile distinguere una buona saturazione da una cattiva… Ora, in studio, si utilizzano sempre più macchine. Tutto materiale che Brendan padroneggia alla perfezione. Ma per quanto mi riguarda, quando sento parlare di frequenze e altri termini tecnici devo abbandonare velocemente la conversazione…”
Ancora più che a livello di suoni, quello che colpisce del vostro disco è la vostra volontà di provare, dopo 35 anni, qualcosa di nuovo…
“E perché, se no, chiamare Brendan O’Brien? Sentivamo l’esigenza di provare soluzioni nuove, e lui era il produttore che maggiori garanzie ci dava in questo senso. Noi gli abbiamo lasciato molta libertà, volevamo che proponesse e noi ci siamo sempre fatti trovare aperti ai suoi consigli. Se quello che ci sottoponeva ci piaceva, bene, altrimenti gli dicevamo esattamente ciò che non ci piaceva e quali cambiamenti era necessario apportare”.
Non è che non ne potevate più di sentirvi ripetere che “…gli Ac/Dc incidono sempre lo stesso disco”?
“Queste voci non mi hanno mai toccato più di tanto, e comunque una delle cose che mi piace di questo disco è proprio il fatto che suona sufficientemente vario per chi ama ascoltare canzoni diverse in funzione dell’umore del momento. Ci sono brani che inizialmente non mi facevano impazzire, mentre oggi fanno parte dei miei preferiti. Ma la stessa cosa avviene anche con i nostri vecchi dischi: quante volte mi capita di ascoltarli e di riscoprire alcune canzoni che all’epoca non mi avevano esaltato? Il perché accada questo proprio non lo so, anche perché i miei gusti musicali non sono poi cambiati più di tanto. Forse oggi ho semplicemente una maggiore obbiettività e riesco a giudicare le cose con un piglio differente”
Se non erro, in un brano, ‘Stormy May Day’ utilizzi per la prima volta lo slide, uno strumento per te insolito. Come mai questa scelta?
“E’ nato tutto per caso, da un’intuizione di Brendan. La versione originale di ‘Stormy May Day’ è stata registrata a casa mia utilizzando, senza troppa convinzione, un accendino che avevo trovato nei paraggi. Una volta entrati in studio per inciderla, Brendan mi ha invitato a registrarla utilizzando un vero slide. Ad essere onesto non ero troppo sicuro di questa soluzione, perché non mi sentivo molto a mio agio con questo strumento, ma lui ha insistito ed io poco per volta mi sono convinto. O meglio, ho accettato di fare un tentativo, se fosse andata male avrei fatto le cose a modo mio, ed invece è andata più che bene”.
Un’altra canzone che spicca per originalità in questo disco è ‘Anything Goes’ con le sue melodie pop fuse ad uno spirito boogie…
“ ‘Anything Goes’ è una canzone scritta da Malcom ed in un certo senso è stata una sorpresa anche per me. L’ho trovata praticamente finita quando sono arrivato a Vancouver per la registrazione del disco. In quel momento mio fratello mi ha avvertito che aveva inciso un nuovo brano ma quando me lo ha fatto sentire sono rimasto alquanto spiazzato. L’aveva registrato da solo, con la sua chitarra, battendo con il piede per terra e la voce era la sua…aveva un suono davvero infernale! Ma l’idea era molto valida, infatti ci abbiamo lavorato su tutti insieme, sforzandoci di conservare lo swing molto particolare del demo. E’ una canzone che abbiamo inciso all’ultimo momento ma ne è valsa la pena”
Filo conduttore che unisce tutti e 15 i brani di ‘Black Ice’ è la performance di Brian Johnson, in grande forma nonostante l’età non giovanissima…
“Sicuramente questi anni di riposo hanno giovato molto a Brian, ora la sua voce suona più “fresca”. Merito della sua performance su disco anche in questo caso va però dato a Brendan, perché è arrivato a stravolgere il tradizionale metodo di lavorazione pur di farlo rendere al massimo. Piuttosto che chiedergli di registrare tutte le sue parti in un’unica sessione, Brendan lo ha fatto spingere al massimo per brevi periodi, individuando i momenti in cui Brian era al massimo delle sua capacità e focalizzando tutti gli sforzi proprio in quelle occasioni. Un metodo forse non troppo convenzionale, ma che sicuramente ha dato i suoi frutti”.
Ora avete davanti un lunghissimo tour che vi impegnerà per XXX mesi. Pensi che il fisico riesca ancora a supportare un simile sforzo?
“So che dovrò essere preparato per reggere un tour così lungo, ma cercherò di fare attenzione alla mia salute…nel limite del possibile visto che alle sigarette non riesco proprio a rinunciare. Sto comunque allenando il mio fisico in attesa dell’evento, faccio fitness, stretching, un po’ di ciclismo… Pratico le attività che sono nelle mie corde, non mi è mai piaciuto sforzarmi per fare qualcosa… Sono lontano dall’essere un grande sportivo…! Comunque fino a che sarò capace continuerò a dannarmi l’anima ogni sera sul palco, questo è sicuro”.