Motorhead – Ridin’ With The Driver
Il 17/08/2008, di Fabio Magliano.
‘Motorizer’. Ovvero il disco che conferma come i Motorhead siano vivi e vegeti. Il che non è cosa affatto scontata visto che A: ormai le primavere sulle spalle del trio sono 33 e B: chi conosce Lemmy ancora si chiede come faccia a non essersi ancora liquefatto sotto le bordate di fumo, acidi e soprattutto alcol. Ed invece questo inossidabile trio continua a girare il mondo in lungo ed in largo, incide dischi e pare non voler assolutamente mollare il colpo. Il segreto di tanto dinamismo? Lo ha cercato di scoprire il nostro Fabio Magliano messo faccia a faccia con uno svogliato Phil Campbell
Non si può certo dire che rapportarsi a Phil Campbell sia il massimo della vita. Ma forse è giusto così, perché in un modo o nell’altro anche questo segue il suo filo logico. Se i Motorhead sono speciali, e ancora oggi riescono a sfornare dischi validi e a trasformare ogni loro concerto in una goduriosa carneficina, è perché dopo tanti esperimenti e l’ausilio di musicisti “usa e getta”, hanno finalmente trovato la giusta quadra, non a caso la line-up attuale è in assoluto la più longeva. In essa trova spazio l’immenso carisma acido di Lemmy, una vera e propria icona sempre più avvolta in un alone tra il mistico e l’alcolico, la pacata ironia di Mikkey Dee e Phil Campbell, appunto, un ideale trait-d’union tra le altre due personalità. Il secondo membro dei Motorhead per anzianità è infatti pacatamente british (a volte ai limiti della sonnolenza) ma non per questo rinuncia a sprazzi di ironia, pur non arrivando mai ad eguagliare in termini di fascino ed ilarità il suo inarrivabile boss. Sprazzi che a tratti fanno capolino anche nella chiacchierata che segue, una delle poche rilasciate dalla band per promuovere il nuovo ‘Motorizer’, il suo diciannovesimo album in studio, lavoro che conferma quanta voglia abbiano ancora questi tre folli, tra un Jack Daniels e una giocata alla slot machine, di scatenarsi e dare vita a sane bordate di fragoroso hard rock senza troppi compromessi.
Però, Phil, chi ve lo fa fare?
“(Phil Campbell) Scusa?”
Sì, insomma, 33 anni di carriera e 19 studio album. Dove trovate ancora la voglia di comporre e incidere nuovi dischi?
“Ci divertiamo ancora, e fino a quando questa condizione perdurerà, continueremo fregandocene di tutto. Per alcuni versi è una sorta di sfida, noi ci proviamo, e fino a quando alla fine della giornata continueremo a ritrovarci con in mano ottime canzoni che vale la pena buttare su di un album, beh, andremo avanti. Dopo tutto è il nostro lavoro, e a noi piace”.
Quindi dopo trent’anni di carriera sentite ancora il bisogno di mettervi alla prova e di dimostrare qualcosa a qualcuno…
“In un certo senso si. Ogni volta, prima di iniziare a lavorare ad un nuovo disco, cerchiamo di fissare il nostro limite massimo e studiamo il modo di raggiungerlo e superarlo. E’ un buono stimolo per dare sempre il meglio di noi, e visto sotto quest’ottica posso dire che ‘Motorizer’ è un buon passo in questa direzione”.
Onestamente, non avete mai pensato di smetterla con i dischi in studio e andare avanti unicamente con i tour? Dopo tutto di classici per “animare” centinaia di concerti ne avete una valanga…
“No no, noi vogliamo continuare a scrivere nuove canzoni, è troppo eccitante. E poi ci pensi che palle andare avanti a suonare ogni sera il tuo ‘best of’? Troppo noioso, non fa per noi. La gente ha sempre bisogno di qualcosa di fresco, e noi pure!”
C’è una song nel vostro nuovo lavoro, intitolata ‘(Teach You How To) Sing the Blues’, una sorta di tributo ad un genere, il blues, per voi fondamentale ma che spesso i vostri fan paiono ignorare…
“Esatto, esatto! Se devo essere sincero non mi sono mai ritrovato nella definizione ‘heavy metal’, penso che i Motorhead suonino da sempre una sorta di blues’n’roll sparato a volumi assurdi. C’è il blues alla base del nostro sound, io non mi reputo un chitarrista metal, le mie basi sono blues e anche il mio modo di suonare. Solo lo faccio nel modo più heavy possibile”
Un’altra canzone si intitola ‘English Rose’. Ora, Lemmy vive da tempo a Los Angeles, Mikkey in Svezia e tu in Galles. Che cosa rimane in voi di inglese e dell’Inghilterra?
“Ancora parecchio direi. Lemmy è comunque nato in Inghilterra e non ha mai rinnegato le sue radici, io vivo in Galles ma sono legato per svariate ragioni all’Inghilterra, quindi non stiamo parlando di una realtà distante da noi. ‘English Rose’ è una sorta di dedica di Lemmy al Paese che lo ha visto nascere. Se non sbaglio il testo di questa canzone è stato scritto proprio durante uno dei suoi frequenti viaggi in Inghilterra”.
E vi è infine ‘Heroes’. Quali sono i tuoi personali eroi?
“Non lo so, ce ne sono troppi… o troppo pochi… diciamo che chiunque riesca a fare qualcosa di buono per gli altri nel suo piccolo è un eroe, peccato che di gente simile oggi ce ne sia davvero poca. Addirittura si è più propensi a idolatrare criminali piuttosto che uomini realmente meritevoli”
Forse si è semplicemente perso il significato della parola “eroe”: una volta eroe era Martin Luther King o Gandhi, oggi è considerato tale un calciatore, un attore o una velina…
“Si, esatto. Questo è lo specchio della società moderna, la gente non venera chi dice qualcosa di importante ma chi appare, perché quello che tutti vogliono fare alla fine è apparire, in un modo o nell’altro. E’ più facile che qualcuno voglia diventare una star, piuttosto che un predicatore. Le cose sono cambiate, radicalmente, purtroppo in peggio”.
In un modo o nell’altro, politica ed ironia sono sempre andate a braccetto nell’universo dei Motorhead. Quanto sono ancora importanti questi due elementi nel vostro sound attuale?
“Non molto direi. Noi cerchiamo solamente di scrivere buona musica, il resto non ha importanza. Se in passato la politica si è infiltrata nei nostri testi è stato sicuramente un caso, magari perché si parlava di particolari situazioni legate all’attualità, però non siamo e non siamo mai stati una band ‘politicizzata’. L’ironia invece fa parte di noi stessi, ci consideriamo persone acidamente ironiche e questo è naturale che si rifletta nella nostra musica. Che comunque sarà sempre un divertente rock’n’roll studiato per fare casino, non certo per lanciare messaggi propagandistici o roba di questo genere. Dopo tutto chi viene ad un nostro concerto vuole stare bene e divertirsi per un paio d’ore, non certo sorbirsi un palloso comizio. Per queste cose basta e avanza la televisione”.
In una vecchia intervista, Lemmy dichiarò che “Phil è il vero cuore nonché l’anima dei Motorhead”. Non male come apprezzamento da parte di chi, per tutti “è” i Motorhead…
“E’ sicuramente un gran complimento. Lo considero un attestato di quanto di buono ho fatto in questi anni. All’inizio lavorare con Lemmy mi faceva un effetto particolare, dopo tutto lo ammiravo ancora prima di entrare a far parte dei Motorhead, poi andando avanti negli anni e vedere prima che le mie idee venivano prese in considerazione per le canzoni della band, poi che erano considerate la base di partenza per ogni album dei Motorhead, mi ha fatto prendere consapevolezza della mia importanza all’interno del gruppo, e ciò che di buono ha detto Lemmy su di me non è altro che riprova di come ho svolto bene il mio lavoro”.
Nel corso degli anni la line-up dei Motorhead è cambiata più e più volte tanto che tu, con i tuoi 24 anni di militanza, sei il secondo membro per anzianità nella storia del gruppo. E’ stato difficile “sopravvivere” a Lemmy per tutti questi anni?
“No, assolutamente. Quando si ama ciò che si fa nulla è difficile. E poi perché parli di sopravvivere? Quando si suona con gente come Lemmy e Mikkey tutto è molto semplice. Sono fratelli, hanno il mio stesso sense of humor, vedono la musica sotto il mio stesso punto di vista, sono eccellenti professionisti e musicisti molto seri e preparati, insieme formiamo un ottimo team, quindi confrontarsi con loro è un piacere, altro che esperienza ai limiti della sopravvivenza!”.
Prima di te, alla chitarra, si sono succeduti musicisti del calibro di Larry Wallis, Fast Eddie Clarke, Wurzel e Brian “Robbo” Robertson. Mi puoi dare il tuo personale parere su ognuno di loro?
“Non mi piace parlare del passato e di chi ha suonato prima di me nei Motorhead, non è una parte di storia che mi appartiene. Posso dirti solo che sono tutti grandi musicisti che hanno svolto al meglio il loro lavoro. Ma io non vivo nel passato, non mi piace guardarmi alle spalle; è sempre meglio parlare del futuro”.
Nel 2007 vi siete imbarcati in un interessante tour inglese in compagnia di Alice Cooper. Che esperienza è stata?
“Diciamo che è un’esperienza che ritorna ciclicamente, visto che avevamo diviso il palco con lui anche negli Eighties e nei Nineties. E’ sempre un piacere suonare con lui, è un personaggio incredibile al quale siamo tutti molto legati e poi, forse perché il suo pubblico è davvero particolare, ogni volta vengono fuori degli show molto validi. Da parte nostra si è trattato di performance ottime, riguardo lo spettacolo di Alice Cooper…beh, Alice è Alice…”
I Motorhead sono da sempre considerati una delle “live band” per eccellenza. Qual è ad oggi il tuo più bel ricordo legato alla tua esperienza on stage?
“Ce ne sono troppi da citare, il nostro obiettivo è dare sempre il meglio di noi stessi dal vivo, quindi un concerto ‘riuscito’ finisce per essere per noi quasi la normalità. Potessi individuare uno show positivo vorrebbe dire parlare di un’eccezione, e questo non va bene. A livello di feeling, posso dirti che lo scorso anno abbiamo suonato in Francia e la reazione dei nostri fan è stata davvero splendida, un’energia inaspettata che ci ha sorpreso non poco”.
Venendo a te: tua madre è nata in Italia. Quanto c’è di italiano in te e nel tuo modo di suonare?
“Non lo so, è una strana domanda, non me lo sono mai chiesto. Io ho sempre suonato la chitarra seguendo il mio istinto, non mi sono mai chiesto da dove venisse tutto questo, quindi non so dirti se la mia attitudine sia più italiana o gallese”.
Ti ho chiesto questo perché la musica italiana è celebre in tutto il mondo per il suo calore e la sua passione, doti queste che a ben vedere potrebbero anche ritornare nel tuo “chitarrismo”…
“Può essere, e allora ti dico che c’è il 50% visto che nella mia musica c’è anche la voglia di fare casino classica di una sbronza tipicamente gallese”.
Nel 2000 Lemmy incise un album di cover swing con Slim Jim e Danny B. Se tu dovessi incidere a tua volta un disco di cover, che brani inseriresti?
“Non so, ce ne sono troppe, faccio persino fatica a pensarci. Quello che è certo è che non mi butterei sullo swing come Lemmy, magari cercherei qualcosa di più pesante, come qualche bel, vecchio classico blues”.
Ma pensi uscirà mai un tuo disco solista?
“Certo, ci sto pensando, ho anche iniziato a tirare giù qualche canzone e spero di farlo uscire nel giro di un paio d’anni. Sarà qualcosa di totalmente differente da quanto proposto sin qui con i Motorhead, certamente più vario ed eterogeneo. Non voglio soffermarmi su un singolo stile, ci saranno brani più robusti ed altri con dentro addirittura un pianoforte. Ho molte idee per la testa, staremo a vedere se riuscirò a concretizzarle tutte”.
Tuo figlio Todd suona come te la chitarra. Che tipo di padre sei stato? Di quelli che a tre anni mettono la chitarra in mano al proprio figlio, o lo hai lasciato libero di scegliere che strumento suonare?
“Ne ho tre di figli, e tutti suonano qualcosa, ma non necessariamente la chitarra. Diciamo che crescere in un ambiente come il nostro li ha favoriti nell’avvicinamento alla musica. Io personalmente non ho mai imposto loro nulla, ma ho visto che da parte loro c’è stata sin da subito una certa curiosità verso lo strumento. Todd ha iniziato molto presto a farmi domande, ad interessarsi alla chitarra, a cercare di capire qualcosa di più su cosa facesse suo padre e la cosa non poteva che farmi piacere. Oggi per alcune cose è lui ad insegnarmi qualche trucco legato alla chitarra, ed in questi casi l’orgoglio va alle stelle”.
Vi siete mai esibiti insieme?
“Certo, moltissime volte. C’è anche un brano sul live dei Motorhead ‘Live At Brixton Academy’ nel quale Todd suona con noi. Strana sensazione vederlo suonare sul nostro stesso palco, però ho la consapevolezza che se ci è arrivato è solo perché ha talento e ha sempre lavorato duramente per raggiungere i suoi obiettivi. Non posso che esserne orgoglioso”.
JOE PETAGNO
The Resurrection Of Snaggletooth
Sebbene le loro strade si siano recentemente divise, il nome di Joe Petagno rimane indissolubilmente legato a quello dei Motorhead. Sua è infatti la paternità di The Snaggletooth, il mostro metà cinghiale e metà cane rabbioso che per oltre trent’anni ha fatto da mascotte per Lemmy e soci. Fabio Magliano lo ha intervistato in esclusiva…
Pur avendo da qualche anno cessato la collaborazione con Lemmy e soci, quella di Joe Petagno è una figura che ha significato e sempre significherà molto nella storia dei Motorhead. L’artista americano (ma da anni residente in Danimarca) è infatti il “papà” di Snaggletooth, il mostro metà cinghiale e metà cane rabbioso che per anni è stata inquietante mascotte della band nonchè imprescindible soggetto sulle copertine dei principali album dei Motorhead. Proprio in occasione della “rinascita” di Snaggletooth (per uno strano gioco del destino avvenuta quasi in contemporanea con l’uscita di ‘Motorizer’) siamo andati a bussare alla porta del geniale artista cercando di scoprire qualcosa di più sulla sua inquietante arte.
“Ho incominciato a dipingere a 5 anni – ci racconta – più che altro con matite e pennarelli, da sempre i miei strumenti preferiti. Mia madre, che era una buona pittrice, mi ha sempre sostenuto e già allora mi dava preziosi consigli. Crescendo sono divenuto sempre più prolifico, prima disegnando mostri per miei amici, roba come Frankenstein, l’Uomo Lupo e Dracula, e quindi iniziando a fare sul serio, realizzando poster psichedelici. Era la Los Angeles del 1968 ed io iniziavo la mia carriera di artista professionista”
Hai frequentato l’accademia d’arte o qualche altra scuola specialistica?
“No, assolutamente. Ho solo fatto la high school, mentre ho sempre rifiutato l’accademia o altre cazzate del genere. Le scuole ammazzano la creatività, ti ingabbiano in schemi prestabiliti, ti impediscono di esprimerti in libertà. Io ho sempre sentito il bisogno di utilizzare un mio personale linguaggio, dovevo uscire dagli schemi per potermi esprimere, quindi niente scuola e molta pratica sul campo”
Ricordi ancora il tuo primo vero incarico?
“Non con precisione. Ricordo che sono uscito “sul mercato” con il mio portfolio e subito sono stato subissato di richieste. Avevo 22 anni all’epoca, subito mi commissionarono una sessantina di poster, numerose copertine per LP e soprattutto vignette underground commissionatemi da Rolling Stone. Tutto questo negli States, ma lavorai molto anche con l’Inghilterra, collaborando con pubblicazioni come It, Oz Bunch Books, Big O…”
Come entrasti in contatto con i Motorhead?
“Avevo collaborato con gli Hawkwind per realizzare l’artwork di ‘Doremi Fasol Latido’ entrando in contatto con Lemmy il quale, dopo essere uscito dal gruppo, mi contattò chiedendomi di realizzare la copertina per il suo progetto solista chiamato Bastard, successivamente rinominato Motorhead per ovvie ragioni commerciali. Mi disse che voleva qualcosa ispirato al mondo dei biker americani, e la prima cosa a cui pensai fu il teschio degli Hells Angels. Realizzai quindi alcune prove ed alla fine la scelta cadde su questa sorta di ibrido gorilla/cinghiale/cane lupo con queste zanne sproporzionate che contribuirono a renderlo una vera e propria icona per oltre trent’anni, 33 per la precisione, facendo di lui un simbolo dell’ ‘anti-tutto’!”
Un mostro dall’inquietante nome Snaggletooth…
“Un nome appropriato, visto che significa letteralmente ‘denti cattivi’. A Lemmy questa idea piacque subito molto, l’immagine di questo predatore preistorico alla costante ricerca di prede da divorare lo affascinò sin da subito, quindi lo battezzammo Snaggletooth senza troppe remore”.
Ma come nasce una vera e propria icona rock?
“Nasce da una mia crisi di rigetto. A quel tempo tutto il mondo parlava di pace, amore e comprensione, io invece volevo qualcosa che raffigurasse il nuovo ordine degli eventi, la guerra, l’odio e la corruzione. Fu un immediato successo, e l’impressione è che oggi il mondo senta il bisogno di Snag più che mai!”.
Quando esordì ufficialmente Snaggletooth?
“Nel 1977 sul primo disco della band intitolato semplicemente ‘Motorhead’”
Per poi morire…
“Nel 2006 con ‘Kiss Of Death’. Mai titolo fu più appropriato, non trovi?”
Già, cosa successe esattamente in seguito?
“Solite, inconciliabili differenze di vedute. Loro vedevano a modo loro l’universo Motorhead, io a modo mio Snaggletooth. Sono due universi che non possono convivere, o si va da una parte, o dall’altra, non esiste via di mezzo, non esistono sostituti…quindi alla fine abbiamo deciso di dividere le nostre strade”.
Oggi però sul tuo sito www.petagno.dk campeggia a caratteri cubitali “The Resurrection Of Snaggletooth”. Che significa tutto ciò?
“Significa che Snag è tornato dal regno dei morti e per volontà del suo creatore continuerà ad evolversi confermandosi simbolo di chi lotta contro i politici corrotti, gli abusi di potere, l’egoismo, le ingiustizie, il denaro per la guerra e le guerre per denaro. Se anche voi siete contro tutto questo, unitevi a noi, join the army direttamente attraverso il mio sito internet!”
Oltre ai Motorhead, hai anche lavorato per Alice Cooper vero?
“Si, ho realizzato la copertina di ‘Billion Dollar Babies’, ma anche il logo per ‘Swan Song’ dei Led Zeppelin, nonchè lavori per Ginger Baker, The Kinks, Nazareth, Moody Blues, Pink Floyd…ne ho fatte di copertine in 40 anni di carriera! La lista è sconfinata, ad occhio e croce ad oggi sono oltre 400 cover, ed il numero contnua a crescere…”
Ascoltare prima il disco in questione ti aiuta nel realizzarne la cover?
“Spesso sì, mi aiuta. Soprattutto aiuta ad entrare in sintonia con il mood dell’album. E’ per questo che invito le band a mandarmi prima il disco e soprattutto i testi delle canzoni, lasciando poi che sia il rock a fluire dentro di me e a guidare la mia mano”
Oltre a poster e copertine di dischi, recentemente hai realizzato anche un mazzo di carte intitolato ‘The Deck Of Death’…
“Esatto, ed è stato il primo mazzo in assoluto. Molte persone che collezionano carte e molti magazine specializzati avvalorano la mia tesi. Sentivo che ci fosse bisogno di un mazzo di carte (senza ancora la “morte” nel titolo) che dipingesse il mondo com’è al giorno d’oggi, poco dopo è scoppiata la guerra in Iraq ed è stato diramato un nuovo mazzo di carte con su le foto dei criminali di guerra, però il mio è indubbiamente arrivato prima”
A cosa stai lavorando ultimamente?
“Attualmente sono rapito da Snag, sto realizzandone nuove versioni e credimi, i nuovi disegni sono total killer, rimpiazzeranno senza problemi quelli sin qui realizzati per i Motorhead, sono fantastici! Sto anche pensando di allestire un one man show a Londra, il prossimo anno, e ovviamente continuo a ricevere richieste di immagini per poster e dischi. Come sempre…”
Grazie mille Joe, a te il compito di chiudere come meglio credi…
“Non andartene docile in quella buona notte, vecchiaia dovrebbe ardere e infierire quando cade il giorno; infuria, infuria contro il morire della luce (Dylan Thomas)”