Dark Tranquillity – Midway Through Infinity
Il 17/04/2007, di Fabio Magliano.
Per la gioia degli amanti del cosiddetto “Gothenburg Sound”, in particolar modo quelli italiani che da sempre nutrono uno sconfinato affetto nei confronti di Niklas Sundin e soci, tornano sulle scene i Dark Tranquillity con il nuovissimo ‘Fiction’, lavoro che ancora una volta li propone nelle vesti di lucidi sperimentatori. A parlarcene è il chitarrista nonché principale compositore del gruppo Martin Henriksson…
E’ solido il legame che unisce i Dark Tranquillity all’Italia, e non solo perché dalle nostre vigne viene ricavato quel vino in grado di fare uscire letteralmente di testa i sei svedesi (chi ha avuto modo di vederli all’opera nel post-Evolution sa bene di cosa parliamo…). Da sempre l’Italia è infatti terra di conquista per Niklas Sundin e soci, venerati sin dalla pubblicazione del seminale ‘Skydancer’ e seguiti con entusiasmo nel corso di tutto quel percorso stilistico che li ha visti limare alcuni aspetti del proprio sound e modernizzarsi senza però perdere di vista la tipica matrice death. Dote questa che li ha portati ad essere annoverati tra i gruppi più sperimentali dell’attivissima scena svedese e che torna anche nel nuovo ‘Fiction’, album che sarà promosso dalla band in pompa magna con un lungo tour statunitense e, nell’estate, con la partecipazione ai principali festival europei tra i quali il nostro Gods Of Metal, ma che oggi viene introdotto ai lettori di Metal Maniac da Martin Henriksson, chitarrista, fondatore, main composer della band di Gotheborg.
Sono passati due anni dal precedente ‘Character’. Pensi che sia giusto vedere in ‘Fiction’ il naturale successore di quell’album o preferisci vedere nel vostro nuovo disco un capitolo tutto nuovo della vostra storia?
“(Martin Henriksson) Non credo ci siamo mai stati dei veri e propri punti di rottura nella nostra discografia. Tutti i nostri lavori pur evolvendo continuamente il nostro sound, presentano punti di contatto con il disco precedente, e la stessa cosa avviene per ‘Fiction’ se rapportato a ‘Character’. Il nostro ultimo album è la naturale evoluzione del precedente, e credo che se presti attenzione a certe soluzioni melodiche ed alla struttura stessa dei brani ti rendi conto come i due album non siano poi così distanti”
Quali pensi siano, allora, le maggiori differenze tra questi due lavori?
“Sono due le differenze principali. La prima è la varietà stilistica delle composizioni. ‘Character’ era molto più omogeneo, ‘Fiction’ è più vario, e questa caratteristica è fondamentale per noi, perché una cosa che proprio non ci andava giù del disco precedente era per alcuni versi la sua monotonia. Ok, ‘Charcter’ è un buon disco, però ci rendevamo conto che alcune canzoni erano davvero troppo simili ad altre e questa cosa non poteva che influire negativamente sul disco nella sua totalità, quindi il primo obiettivo che ci siamo posti al momento di iniziare a scrivere il nuovo materiale è stato proprio il cercare di differenziare maggiormente le nostre composizioni. La seconda differenza è sicuramente il sound. Per la prima volta da alcuni anni a questa parte abbiamo cercato di dare una scossa al nostro sound, e per fare questo ci siamo affidati in fase di missaggio a Tue Madsen, il quale ci ha aiutato tantissimo a dare un’impronta ancora più matura e moderna alla nostra musica”.
A livello compositivo avete apportato delle modifiche nel vostro normale modo di agire o l’iter seguito per scrivere una canzone è sempre lo stesso?
“No, a livello di songwriting non mi sento di parlare di rivoluzioni, perché il nostro modo di comporre è bene o male sempre lo stesso, però una cosa che si è verificata a questo giro è stata la naturalezza nello scrivere i brani. In passato ci eravamo trovati a dover scrivere più volte una canzone prima di trovare una forma che ci soddisfacesse totalmente, in questo caso sovente è valsa la regola del ‘buona la prima’, tutto si è velocizzato e noi non ci siamo più persi in cervellotici ragionamenti su quale fosse la versione che doveva essere incisa. Le procedure sono state molto più snelle e anche questo sicuramente è andato ad influire sul risultato finale del lavoro”
Soprattutto quando vengono tirati in ballo i vostri ultimi lavori non si può fare a meno di tirare in ballo il termine “sperimentazione” legato al vostro modo di fare musica. Tu, personalmente, ti ritieni uno sperimentatore?
“Capisco quello che vuoi dire, però non mi piace molto il termine sperimentazione, perché questo termine mi fa venire in mente qualcosa di impazzito, di improvvisato, mentre noi abbiamo sempre bene in mente ciò che vogliamo fare. Noi non andiamo a tentoni, noi siamo consapevoli di essere cresciuti come musicisti e cerchiamo di mettere questa evoluzione al servizio della nostra musica. Se vogliamo parlare di crescita stilistica andando a scorrere la nostra discografia posso essere d’accordo, se parliamo di sperimentazione allora storco il naso, perché di esperimenti nella nostra carriera ne abbiamo fatti ben pochi”.
Quindi avete un modo molto razionale di avvicinarvi al nuovo lavoro, avete già in testa come dovrà suonare e quasi nulla sarà lasciato al caso…
“Sì, esattamente. Di solito sappiamo perfettamente cosa vogliamo ottenere e come deve suonare il nostro disco. E’ una sorta di corsa a tappe: anno dopo anno miglioriamo e prendiamo coscienza di quanto possiamo dare, quindi cerchiamo di spingerci ancora oltre senza strafare, portando la nostra musica ad un livello superiore rimanendo però sempre ben consci delle nostre capacità e dei nostri limiti. Se di esperimento si vuole parlare, lo si può collegare al discorso fatto in precedenza della ‘rimodernata sonora’ attuata da Tue Madsen, ecco, questa potrebbe essere vista come una piccola rivoluzione per la band, ma per quanto riguarda il resto credo che il nostro modo di agire sia sempre stato all’insegna della razionalità”
Ho fatto questa considerazione perché trovo che una dote importantissima dei Dark Tranquillity sia l’essere sempre stati in grado di evolvere il proprio sound e introdurre di volta in volta interessanti variazioni senza però mai sfigurarlo. Paradossalmente riuscite ogni volta a suonare “nuovi” eppure si sente da lontano un miglio che siete sempre voi…
“Grazie, questa è una cosa positiva. Il fatto è che ormai incidiamo dischi da oltre quindici anni e questo ha fatto sì che acquisissimo consapevolezza su quello che volevano i nostri fan da noi ma soprattutto su quella che era la nostra reale dimensione sonora. Non avrebbe senso avventurarsi in lidi a noi estranei solo per il gusto di fare qualcosa di shockante, di radicalmente diverso, perché rischieremmo di fare un colossale buco nell’acqua, e non solo da un punto di vista commerciale. Noi sappiamo come dobbiamo suonare e abbiamo fisso in mente quello che deve essere il nostro sound. Ecco, partendo da questa base possiamo iniziare a lavorare, a provare ad introdurre soluzioni nuove, più mature… in un certo senso potremmo dire che i Dark Tranquillity sono influenzati dai Dark Tranquillity stessi, senza però cadere nell’auto plagio”
Martin, puoi raccontarci del giorno in cui scopriste la melodia e un nuovo universo vi si spalancò davanti?
“Mah, io penso che la melodia sia sempre stata presente nella nostra musica, quello che è mutato è stato il nostro modo di approcciarci ad essa e di trattarla. Quando abbiamo inciso ‘Skydancer’ nel 1993 eravamo tutti giovanissimi e affrontavamo la musica in modo molto ingenuo, istintivo, per questo prevaleva il lato più rabbioso rispetto a quello melodico, però la melodia già allora era presente tanto che in ‘The Gallery’ è emersa prepotentemente, e con la nostra crescita si è anche evoluta. Molte persone questo percorso non lo concepiscono, pensano che l’utilizzo della melodia vada ad interferire con la potenza e l’aggressività di una band, io da parte mia sono convinto che non ci sia nulla di maggiore impatto di una bella melodia che si tramuta accelerando in un grido rabbioso e carico di violenza. Questo alternarsi di luci ed ombre è fondamentale per il nostro sound e sono convinto che senza quella melodia tanto bistrattata da qualcuno l’impatto sonoro dei Dark Tranquillity non sarebbe lo stesso”.
Toglimi una curiosità: ogni disco dei Dark Tranquillity ha un titolo molto corto, spesso composto da una sola parola. C’è una ragione particolare per questa scelta?
“Non saprei, credo perché un titolo corto sia molto più diretto e facilmente memorizzabile. Questa è però un’interpretazione del tutto personale perché non mi sono mai preoccupato dei titoli da dare ai dischi. Però mi piacciono molto i titoli corti, li trovo enigmatici ma allo stesso tempo estremamente catchy”
Come hai accennato in precedenza, siete in circolazione da oltre quindici anni. Come ti senti se ti guardi alle spalle, vedi quanto tempo è passato e realizzi che la tua band esiste ancora ed è più attiva che mai?
“Vero, ci siamo messi insieme nel 1989 quindi sono quasi diciotto anni che suoniamo…che dire? Non è stato affatto semplice arrivare sino a qui, per sopravvivere in questo mondo abbiamo dovuto lavorare moltissimo, ci siamo messi in gioco in continuazione perché non avrebbe avuto senso continuare a incidere all’infinito lo stesso disco, ci siamo impegnati allo spasmo per diventare musicisti migliori e per trovare e sviluppare al meglio idee nuove per le nostre composizioni. Visto dall’esterno verrebbe da pensare che la nostra carriera sia stata molto lineare, con album fortunatamente tutti su standard abbastanza alti, però dietro c’è stato un lavoro enorme che ci ha portato via tanto tempo anche alle nostre vite private e che ci è costato enormi sacrifici. Però si sa, nulla viene regalato nel mondo della musica, quindi l’importante è sempre sapere come affrontare determinate situazioni e andare avanti”.
Soprattutto negli ultimi anni molte band svedesi come gli In Flames, gli Opeth, gli Arch Enemy sono riuscite a ritagliarsi il loro spazio anche nella scena metal americana. Com’è in questo senso la situazione per quanto riguarda i Dark Tranquillity?
“Non siamo certamente al livello dei gruppi che hai citato, però devi tenere conto che per raggiungere certi traguardi quelle band hanno dovuto lavorare tantissimo in quella direzione, mentre noi siamo solo a metà strada. Sin dai primi concerti tenuti in America ci siamo resi conto che non è affatto facile fare breccia in quel mercato e che di strada da fare ce n’è tantissima. Però questo è positivo perché siamo consapevoli di non essere una band di primo livello negli State, ma sappiamo perfettamente cosa dobbiamo fare per diventarlo, e questo è un ottimo punto di partenza”
Ma perché faticate così tanto a imporvi in quel mercato? Forse perché il pubblico americano è più ricettivo verso un sound un po’ più moderno come quello degli In Flames rispetto a sonorità più tradizionali ed elaborate come le vostre?
“Sì, può essere, ma non è questo il punto. Come ti dicevo prima, tutto sta nel lavorare sodo. Hai citato gli In Flames: oggi suonano all’OzzFest, però hanno iniziato a girare i baretti americani nel 1998, hanno suonato tantissimo in ogni genere di posto, prima in localini, poi in posti più grandi ed infine in grandi festival, però per arrivarci si sono dovuti sbattere tantissimo. I Dark Tranquillity hanno fatto il loro primo tour in America nel 2002 quindi non siamo neppure a metà strada… In più nel nostro caso le cose si complicano un po’, perché come hai sottolineato tu, la nostra musica non è accessibile come quella degli In Flames o degli Arch Enemy, quindi abbiamo bisogno di ancora più tempo per essere apprezzati da un pubblico che, di natura, non è il nostro”.
Un pubblico che invece vi ha da sempre adottato alla grandissima è stato quello italiano…
“Hai perfettamente ragione, ci siamo sempre sentiti i benvenuti in Italia e abbiamo riscontrato un feeling davvero particolare. Quello italiano è un pubblico molto energico ma allo stesso tempo estremamente devoto, e questo innesca una serie di reazioni che fanno si che anche le nostre performance in Italia siano tutte di alto livello. Ci esalta suonare da voi, perché è esaltante essere trattati da ‘star’ nonostante la nostra proposta sonora sia tuttora di nicchia e non certo accessibile come tante cose che invece entrano puntualmente in classifica”
E’ per questo che bene o male ogni estate venite a farci visita? Avete preso parte a due edizioni dell’Evolution, e quest’anno tornerete al GOM…
“E’vero! Il discorso Evolution è un po’ particolare, perché la seconda volta ci siamo esibiti quasi come atto dovuto nei confronti dell’organizzazione visto che per la prima edizione a causa di un altro festival in programma lo stesso giorno in Finlandia abbiamo dovuto suonare di prima mattina e non tutti hanno potuto godersi lo spettacolo. Lo scorso anno invece abbiamo potuto portare in scena il nostro show completo ed è stata un’esperienza molto valida…siamo felici di averla potuta fare, perché il nostro pubblico se lo meritava. Ora come hai sottolineato, non vediamo l’ora di suonare al Gods Of Metal: sarà la nostra terza partecipazione al festival; la prima è stata nel 2000 a Monza, la seconda nel 2003 a Milano in un palazzotto dello sport…in entrambi i casi si è trattato di un concerto eccellente, ci siamo sempre trovati bene a suonare in questo festival, quindi non possiamo che guardare con entusiasmo all’edizione 2007 del GOM. In più ci hanno detto che ci esibiremo vicino ad un lago artificiale con Heaven & Hell, Dream Theater, Blind Guardian, Dimmu Borgir, meglio di così…”