Rotting Christ – Genesis Of Evil
Il 16/09/2003, di Fabio Magliano.
Strana cosa intervistare i Rotting Christ, o meglio, scambiare quattro chiacchiere con il loro leader storico Sakis. Con un nuovo album in mano recante, in copertina, il teschio della “bestia”, leggendo titoli come ‘Daemons’, ‘In Domine Sathana’, ‘The Call Of The Aethyrs’ o ‘Under The Name Of Legion’, ma anche solo prendendo spunto dal nome stesso della band, verrebbe da inserire il nostro interlocutore nella schiera di fanatici religiosi pronti a riempirsi la bocca di ‘evil’, ‘Satan’, ‘death’ cercando di apparire più cattivi di quanto in realtà sono, ed invece ci si trova di fronte ad una personalità che rispecchia a pieno la propria provenienza, quella calda ed assolata Grecia meta dei nostri sogni vacanzieri. Ecco quindi che viene a crearsi uno strano contrasto quando, con un singolare inglese-ellenico ed un tono simpaticamente amichevole, il “malvagio” Sakis viene a dirci che “’Genesis’ è il nostro album più satanico di sempre!”, attaccando poi un lungo monologo sul significato della parola “satanismo”, un contrasto che rende la chiacchierata intavolata per parlare della nuova creatura dei Rotting Christ, l’ottimo ‘Genesis’, appunto, ancora più piacevole ed interessante.
Assieme ai complimenti per questo album, senza dubbio uno dei migliori da voi realizzati da un po’ di tempo a questa parte, ti chiedo i perché di tanta melodia inserita nei vostri brani. Rispetto al passato l’aspetto melodico è stato molto più curato, o sbaglio?
“Sì, è assolutamente vero! Questa volta abbiamo badato molto alla melodia, soprattutto per quanto riguarda il suono delle chitarre, ma principalmente abbiamo prestato molta attenzione alle atmosfere dell’album, cercando di creare qualcosa di nuovo, qualcosa di inusuale per i Rotting Christ, qualcosa che potesse rappresentare una sorta di sorpresa per i fan della band”.
Pensi si possa guardare a questo album come una il disco della svolta per il sound dei Rotting Christ?
“Guarda, senza dubbio questo lavoro rappresenta un’evoluzione stilistica rispetto a quanto fatto in passato, però non mi sento di tirare in ballo la parola ‘svolta’. Una prerogativa dei Rotting Christ al momento di incidere un album, è sempre stata quella di realizzare qualcosa di nuovo, qualcosa che ci permettesse di dimostrare una sorta di crescita artistica. Lo avevamo fatto con ‘Sleep Of The Angels’, lo avevamo fatto con ‘Khronos’ e lo abbiamo fatto anche questa volta. Rispetto al passato abbiamo dato vita ad un lavoro realmente estremo, il più ‘satanico’ tra quelli realizzati, ma allo stesso tempo quello in possesso delle atmosfere più suggestive”.
Eppure il titolo di questo disco, ‘Genesis’, potrebbe fare pensare al contrario…
“’Genesis’ è riferito unicamente a quanto contenuto all’interno dell’album da un punto di vista lirico. Questa è una parola greca che significa ‘origine’, ‘nascita’, e con questo termine vogliamo parlare dell’inizio di una nuova era, un’era segnata dalla malvagità e dominata dal maligno”.
E’ per questo che nel disco innalzate un autentico inno al demonio con ‘In Domine Sathana’?
“Guarda, quando noi parliamo di Satana, non vogliamo passare per quelli che uccidono i bambini, impalano gli animali, violentano le vergini e tutte queste stronzate. Il satanismo esiste dalla notte dei tempi, la gente gli ha dato con il tempo sempre differenti significati, ma per noi il satanismo non è altro che l’affermarsi del male sugli uomini. Il male, per noi, è l’espressione dei nostri desideri nascosti, è l’andare contro ad una religione obsoleta ed inutile, ed è questo che viene detto in questo brano”.
Scusa se te lo dico, ma mi fa un certo effetto sentirti dire questo, perché dal tuo tono di voce e dalla tua cordialità mi risulta difficile vederti come ‘portatore del verbo malefico’!
“Questo fa parte di quel contrasto che da sempre regna nei Rotting Christ. Per me la band rappresenta una sorta di psicoterapia: vivo in un Paese conosciuto per il suo sole ed il suo calore, però dentro di me avverto spesso sentimenti cupi, oscuri. Beh, la musica è il veicolo per esprimere queste sensazioni, quindi mi trasformo suonando per poi tornare ad essere una persona normale nella mia vita di tutti i giorni. Ok, io amo la Grecia, amo la sua gente, amo il suo spirito, però qualche volta è troppo…assolata per i miei gusti, e la cosa mi rende maledettamente nervoso! Ecco quindi che arriva la musica a salvare la mia condizione psichica!”.
Con ‘Genesis’ tagliate il traguardo dei dieci anni di carriera. Ma quanto è cambiato il vostro modo di approcciarvi alla musica e a certe tematiche in questo lungo periodo?
“Dire tanto è riduttivo! Quando abbiamo iniziato a suonare avevamo diciassette anni e la nostra intenzione era quella di emulare i nostri idoli, i Bathory, i Venom, i Possessed…però a mano a mano che il tempo passava e che si acquisiva abilità con gli strumenti, cresceva anche in noi la voglia di provare qualcosa di differente, di osare di più e esplorare territori sonori per noi nuovi. Ed anche da un punto di vista lirico le cose si sono evolute, perché con il tempo abbiamo acquisito maggiore convinzione in quello che cantavamo e abbiamo imparato ad andare più a fondo nelle tematiche da noi trattate”.
Immagino che in questo processo abbia influito una sorta di ‘cambio di influenze’, con un vostro ampliamento di ascolti…
“Senza dubbio oggi non ascoltiamo più solo black metal, e questo ci aiuta molto in fase compositiva, perché tutto ciò che ci arriva all’orecchio può essere per noi fonte di ispirazione. Certo, quando iniziamo a scrivere una canzone non partiamo mai con il presupposto di dire ‘Ok, facciamola suonare così perché ci piace questa band!’, semplicemente cerchiamo di mantenere inalterate le nostre radici stilistiche e arricchirle con elementi nuovi provenienti dai nostri ascolti”.
E tra questi ascolti ci sono anche i Rammstein? Ti chiedo questo perché in alcuni aspetti di ‘Genesis’ mi è parso di avvertire la presenza della band tedesca…
“Sì, sì, è possibile! Magari da un punto di vista vocale! Sono stati in molti a farmelo notare e a sottolineare i punti di contatto tra il mio cantato e quello del cantante dei Rammstein. E la cosa mi ha un po’ sorpreso, perché onestamente nessuno di noi è un grande fan di questa band; è stata una cosa assolutamente non voluta, è capitata e ne prendiamo atto, ma non c’era assolutamente la nostra volontà di copiarli!”.
Dopo sei anni siete tornati a registrare nuovamente agli Stage One Studio di Andy Classen, dove già registraste ‘Triarchy Of The Lost Lovers’. Come mai questa scelta?
“Beh, stavamo cercando qualche studio nuovo ma tutti gli studi di registrazione che abbiamo contattato erano già prenotati per un lungo periodo e non avevamo proprio il tempo di aspettare il nostro turno, quindi abbiamo pensato alla Svezia e all’Inghilterra, ma non immagini neanche quanto siano cari gli studi in quei Paesi! La scelta alla fine è caduta sugli Stage One perché, dopo tutto, era un ambiente che conoscevamo bene e conoscevamo bene il modo di operare di Andy, così come lui sapeva esattamente qual’era il nostro sound e cosa volevamo al momento di entrare in studio, ed alla fine il lavoro finale ha rispecchiato a pieno quello che era nelle nostre menti al momento di concepire ‘Genesis’”.
Quindi la mancanza di un budget elevato non ha influito sulla lavorazione dell’album ed ora sei totalmente soddisfatto di quanto fatto…
“’Totalmente’ è una parola che non esiste nel mio vocabolario! Sono soddisfatto, questo sì, però è mio solito ascoltare i dischi con un orecchio estremamente critico e mi viene naturale pensare a cosa avrei potuto fare perché tutto fosse realmente perfetto! Nel complesso, però, devo dire che tutto è andato per il meglio, gli studi erano in un posto molto bello ma, allo stesso tempo, fuori dal mondo, il che ci ha aiutato a concentrarci unicamente su quello che dovevamo fare senza distrazioni. Abbiamo vissuto a contatto al 100% con la nostra musica, e questo è stato molto positivo per noi”.
Prima hai accennato alle atmosfere di questo album, vero punto di forza di ‘Genesis’. Non hai paura di incontrare problemi a riproporle in sede live?
“Non me ne parlare, sono giorni che non dormo a questo pensiero! Il fatto è che stiamo suonando molto per raggiungere questo obiettivo ma risulta tutto maledettamente difficile! Ora stiamo puntando molto sulle tastiere e credo che queste rivestiranno nei nostri prossimi show uno suolo fondamentale, se no ci verrà veramente difficile ripetere sul palco quanto fatto in studio!”.
Ok Sakis, siamo agli sgoccioli. A te il compito di chiudere in bellezza la chiacchierata!
“Keep the black cult alive! Mi fa impazzire chiudere le interviste con questa frase!”