Macabre – Anatomy of a Murder
Il 16/09/2003, di Fabio Magliano.
Poca musica e molto sangue. E’ questo il sunto della chiacchierata che segue con Nefarious, basso e voce dei malsani Macabre, padri del “murder metal”, maniaci dell’omicidio, amanti morbosi dei serial killer, macabri cantastorie da poco tornati sulle scene con l’ennesimo bollettino del coroner per l’occasione battezzato ‘Murder Metal’.
Che gli americani Macabre non fossero tanto centrati, lo si poteva intuire andando a scorrere le gesta compiute dai padri del “murder metal” nel corso dei sedici anni di carriera: una carriera segnata da una malsana passione per i serial killer, autentici protagonisti dei loro album, tanto da consacrarne uno al “re” degli assassini seriali, il “Mostro di Milwakee” Jeffrey Dahmer. Non sorprendono quindi i contenuti di ‘Murder Metal’, il nuovo album del trio statunitense, ancora una volta imbottiti di sangue, squartamenti, omicidi e storie oscure e perverse, raccontate con gelida partecipazione su un tappeto musicale che spazia dal death metal al jazz, marchio di fabbrica sonoro di questo insolito combo. La musica, però, pare interessare ben poco a Nefarious e soci, visto che le domande ad essa legate vengono presto liquidate con monosillabiche risposte, ben differenti da quelle propinateci quando si è trattato di parlare di argomenti “seri”, a loro molto più cari: gli omicidi! Ecco quindi prendere vita un’intervista un po’ insolita, dove le sette note quasi non compaiono ed a farla da padrone per una volta è la perversione e il lato oscuro della mente umana.
I Macabre sono celebri, più che per la loro musica, per il loro morboso amore per i serial killer. Quando è nata in voi questa insana passione?
“(Nefarious) Non so, non mi sento di dire che amiamo i serial killer, ci limitiamo a scrivere delle loro gesta.. Non ci sono delle ragioni ben precise per questa nostra scelta, semplicemente suoniamo heavy metal, e quello dei serial killer è un filone che ben si adatta al tipo di musica che amiamo”
Eppure il vostro sito è ricco di “cimeli” relativi ai più grandi criminali della storia, a partire dalle vostre foto con John Wayne Gacy, il serial killer di Chicago autore negli anni Settanta di 33 delitti…
“”Pogo” (Il soprannome del killer, N.d.F) lo ha incontrato Corporate Death una decina di anni fa in prigione. Era rinchiuso nel braccio della morte, è stata fatta una regolare domanda di visita ed è stato incontrato più volte, tutto qui…estremamente semplice!”
Che tipo di persona era John Wayne Gacy?
“Io non c’ero durante gli incontri, però dall’idea che mi sono fatto dai racconti di Corporate Death, posso dirti che si aveva a che fare con un pervertito totale, dal quale il mondo si è liberato anni fa’ con una provvidenziale iniezione letale”.
In ‘Murder Metal’, invece, viene presa in considerazione la figura di Fritz Haarman “Il Cannibale”. Cosa puoi dirci di questo personaggio?
“Fritz Haarman è un criminale realmente vissuto, forse il più celebre e spietato serial killer della Germania, le cui gesta sono seconde come orrore solo a quelle dei campi di sterminio. ‘Haarman The Butcher”, è un personaggio “mitico”, molti libri ne parlano e ci è capitato di trattare l’argomento anche in passato nelle nostre canzoni. E’ una figura totalmente pazza, ha commesso crimini di brutale violenza, cose agghiaccianti!” (Per la cruda cronaca, l’autore di 50 omicidi dal 1918 al 1924, abusava delle sue giovani vittime, le uccideva a morsi, le smembrava e ne vendeva i resti al mercato nero come carne di maiale! N.d.F)”
Ma in che modo vi avvicinate alla figura dei serial killer? Con serietà, narrandone in modo freddo le gesta, con ironia…
“No, noi ci limitiamo a raccontare la storia di loro crimini. E’ innegabile che, nella loro follia, i serial killer esercitano sulla gente un certo fascino. Noi mettiamo a nudo la loro mente deviata., li raccontiamo per quello che sono, mettendo in musica una gelida cronaca di sangue”.
Non avete mai avuto problemi con la censura?
“No, incredibilmente non siamo mai stati toccati dalla censura. E dire che, soprattutto quando abbiamo fatto uscire un album come ‘Dahmer’, ci aspettavamo la mazzata da un momento all’altro. Fortunatamente così non è stato… Dopo tutto, però, non mitizziamo questi personaggi, semplicemente parliamo di loro come ne parlano i giornali, i libri, la televisione…”.
Eppure c’è una sezione nel vostro sito dedicata interamente a Dahmer, nella quale venite ritratti fieri nei luoghi che lo hanno visto protagonista, a partire dal suo appartamento…
“Sì, lo abbiamo fatto al tempo di ‘Dahmer’, quando volevamo sapere tutto su di lui e abbiamo voluto documentarci a fondo. Abbiamo visitato il suo appartamento, alcuni luoghi di Milwaukee dove ha lavorato, l’albergo dove ha soggiornato, il bar dove incontrava le sue vittime…pensa che, chiamati a suonare al Milwaukee Metal Fest, siamo stati messi a soggiornare nello stesso albergo frequentato da Dahmer, una coincidenza macabra, inquietante, non trovi?”
Hai accennato all’appartamento dell’orrore, quello dove il “Mostro di Milwaukee” ha compiuto gli omicidi più efferati. Cosa hai provato ad entrare in quel luogo?
“Sentivo il male dentro di esso, vibrazioni negative, aria malsana…sapevo quanto male era stato consumato lì dentro, e questo creava sui miei nervi una sensazione molto strana, una cosa mai provata in vita mia e difficile da descrivere”.
Detto con onestà, ti ritieni un ammiratore di Jeffrey Dahmer?
“No, assolutamente, e non potrebbe essere altrimenti. Ammirare le sue gesta significherebbe non essere a posto con il cervello! Abbiamo scritto di lui, abbiamo narrato la sua perversione, ma non ci reputiamo noi stessi dei perversi!”.
Tra i tanti serial killer trattati, non avete mai pensato di parlare anche del Mostro di Firenze?
“No, onestamente non conosciamo a fondo le sue gesta. Ci viene molto più semplice parlare dei serial killer di casa nostra, più che altro perché è molto più facile reperire informazioni approfondite. Vedi, non vogliamo fare uscire una cosa superficiale, banale, se no tutto si ricondurrebbe ad una goliardata. Non conosciamo molto del Mostro di Firenze e non abbiamo avuto modo di leggere molte pubblicazioni su di lui, quindi preferiamo trattare argomenti a noi più ‘familiari’ piuttosto che avventurarci in racconti che potrebbero alla lunga risultare inesatti, lacunosi e farci fare così pessime figure ”.