Dimmu Borgir – Alcoholic Armageddon
Il 15/08/2003, di Fabio Magliano.
In un suggestivo maniero nei pressi di Stoccarda abbiamo potuto ascoltare in esclusiva italiana l’atteso ‘Death Cult Armageddon’, il nuovo, attesissimo album dei Dimmu Borgir, un lavoro dall’elevata qualità e non certo privo di sorprese. Così come una sorpresa è stato scoprire il vero volto della band norvegese, non sangue, croci rovesciate e invocazioni a Satana bensì mossette, balletti e…tanto Bon Jovi!
Si dice che l’alcool sia un infallibile strumento per far calare la maschera che portiamo tutti i giorni e mostrarci al mondo nella nostra reale natura. Vero, assolutamente vero, ancor più se, di fronte, abbiamo chi, una maschera da calare, ce l’ha davvero. Ecco quindi che, invitati in quel di Stoccarda per ascoltare in anteprima l’atteso ‘Death Cult Armageddon’, nuova fatica dei Dimmu Borgir, oggi come oggi la più importante black metal band del Globo, ci troviamo davanti (complici litri di birra e fiumi di cocktail) un gruppo di musicisti lontani anni luce da quell’immagine di vampiri satanici che li ha portati al successo, ed in breve tempo a farla da padrona non saranno invocazioni al demonio, né strani riti occulti, bensì…Kiss e Bon Jovi. Sorpresi? Delusi? No, perché è assolutamente umano!
Ma andiamo con ordine. Dopo i successi riscossi con ‘Puritanical Euphoric Misantrhropia’, la band norvegese capitanata dal carismatico (solo sul palco, poi vedremo perché…) Shagrath è divenuta un’entità di prim’ordine nel rooster della Nuclear Blast, un’autentica priorità da cullare come una gallina dalle uova d’oro. Ecco quindi giustificata la mobilitazione della stampa europea in un piovoso week-end di giugno, radunata nel sud della Germania per assistere alla presentazione del nuovo disco della band in uscita l’8 settembre, nonché l’affannosa ricerca da parte dei “boss” della label teutonica di un luogo adatto ad ospitare l’evento. Luogo individuato in un suggestivo borgo medioevale situato tra i boschi ad un’ora di pullman da Stoccarda. Hellenstein, questo il nome della location scelta per la listening session, è una sorta di fortezza rimodernata ed adibita a borgo turistico, con tanto di auditorium all’aperto utilizzato per rappresentazioni teatrali e concerti di musica classica. Ed è proprio sul palco di questo antico anfiteatro che, una volta sconfitta l’ira della pioggia, vengono montati quattro ampli dai quali irrompono violenti le note di ‘Death Cult Armageddon’.
L’ascolto dell’album
‘Allegiance’ : Un’intro oscura e rallentata apre in grande stile ‘Death Cult Armageddon’. La tensione cresce sin dalle prime note, sino ad esplodere in un black metal classico che, per il momento, poco spazio concede alle aperture sinfoniche che hanno da sempre caratterizzato la produzione dei Dimmu Borgir. In alcune accelerazioni, addirittura, vengono alla mente schemi tipici del rock, soluzioni che potrebbero disorientare non poco l’ascoltatore. Si tratta, però, solamente di passaggi estemporanei, visto che nel bridge torna prepotentemente l’orchestra, con arie pesanti ed oscure. Si tratta nel suo complesso, di un brano imperioso, estremamente vario ed in grado di spaziare dal tipico black metal al rock con grande sapienza, cedendo al “commerciale” solamente nei passaggi sinfonici. Un vero Armageddon sonoro.
‘Progenies Of The Great Apocalypse’: Arriva preso il momento del primo capolavoro di questo disco. L’apertura è maestosa, a tratti cinematografica, con un’orchestra di quasi 50 elementi a farla da padrona. Con l’irrompere della band l’idillio viene spezzato, i ritmi si alzano ed arriva la prima sorpresa: ad inserirsi tra Vortex e Shagrath troviamo infatti Abbath degli Immortal! Il risultato è grandioso, con scariche di inaudita violenza a lacerare quel tappeto di melodia sinfonica sempre presente in sottofondo. Il chorus è la seconda sorpresa di questo brano: vocals pulite tracciano melodie realmente “strappa-orecchie”, a fungere da contraltare con la furia oltranzista che domina nel resto del brano, con un Nick formato rullo-compressore e le chitarre impegnate a ergere un muro sonoro di granito. Tra tipico black metal ed epicità cinematografica, per un brano destinato a divenire un classico.
‘Lepers Among Us’: Si tira leggermente il fiato con una traccia che, con le debite proporzioni, potrebbe venire accostata alla produzione dei “cugini” The Kovenant. L’avvio è abbastanza moderno, con vocals violenti a rincorrersi con possenti ma melodici break chitarristici. Alcune parti recitate fanno venire alla mente le composizioni di Lex Icon e soci, anche se la modernità rimante abbastanza circoscritta e non prende mai il sopravvento sul black originario.
‘Vredesbyrd’: Con la ripresa di quegli elementi già sfoggiati in ‘Progenies…’ i Dimmu Borgir cesellano un altro capolavoro, un brano dalle mille facce e dalle immense suggestioni. Dopo un affascinante gioco di tastiere posto in apertura, il sound si fa via via più oscuro e compatto, con break più oscuri e rallentati e riprese più cadenzate. A far alzare il ritmo è l’imperioso drumming di Nick, grazie al quale la song lievita sino a sfociare in un chorus maestoso nel quale recita una parte da protagonista l’orchestra, impegnata a tessere nuovamente quelle atmosfere cinematografiche già espresse in precedenza. Il finale è strepitoso, con la melodia destinata a sciogliersi nel chaos primordiale.
‘For The World To Dictate Our Death’: Una delle canzoni meno convincenti dell’intero lavoro. L’apertura è tipicamente black, non vi sono fronzoli e tutto ruota attorno al duo Vortex/Shagrath che, però, non riesce a far decollare il brano. Le chitarre irrompono spesso con break serrati ed oltranzisti, però non si esce dall’interlocutorio. Con un nuovo break questa volta dalle tinte sinfoniche e l’inserimento di cori femminili ad intrecciarsi con Shagrath, finalmente il brano cambia volto e cresce anche l’interesse, soprattutto nel sapiente alternarsi di melodico/estremo, frangente nel quale i Dimmu Borgir sono dei veri maestri.
‘Blood Hunger Doctrine’: Un altro brano che difficilmente decolla ma che raggiunge la sufficienza grazie a spunti veramente interessanti, come l’inserimento di passaggi più moderni, alcune infiltrazioni pianistiche e atmosfere, soprattutto nella intro, classicamente metal. Per il resto il brano pare frammentato, ad una prima parte maestosa giocata su convincenti arie sinfoniche, risponde un passaggio centrale più cupo ed introspettivo nel quale si insinua il piano di Mustis, per poi approdare ad un break marziale che richiama alla mente alcune soluzioni già sperimentate nell’album precedente.
‘Allehelgens Dod I Helveds Rike’: Riprende quota l’album dopo due passaggi interlocutori, con un’altra song epica e maestosa. Un Nick in gran spolvero apre il brano con un drumming furioso, a trainare la performance di Shagrath e di un Mustis alle prese con un sound di tastiera a tratti demoniaco. Con l’innesto dell’orchestra cresce l’atmosfera ma cala quella tensione elettrica che aveva caratterizzato la prima parte della traccia. Nello svolgersi del brano emergono influenze tipicamente gotiche, caratterizzate da vocals pulite e da uno splendido coro anthemico destinato a rimanere impresso a fuoco nella mente dell’ascoltatore. Si tratta comunque di un fuoco di paglia, perché il ritmo cresce nuovamente, si fa via via più serrato facendo scomparire la melodia a favore di soluzioni classicamente black che accompagnano la song alla sua conclusione.
‘Cataclysm Children’: Tanto per rimanere in linea con il titolo del brano, la traccia in questione parte subito di gran carriera, con chitarre serrate e melodia espressa solo a sprazzi, sacrificata in nome delle soventi accelerazioni che marchiano a fuoco la prima parte di questo brano. La melodia pianistica irrompe annunciata da un break chitarristico decisamente interessante, di scuola classicamente metal, quindi la voce si fa filtrata e l’atmosfera torna ad essere inquietante, sulfurea, prima di dissolversi in una nuova furia sonora che richiama quel cataclisma citato nel titolo. Il finale è vagamente melodico, con le chitarre a dare una parvenza di umanità ad un contesto costantemente estremo. Ed il livello del disco rimane su altissimi livelli…
‘Eradication Instincts Defined’: Altro masterpiece dell’album, guardacaso con il ritorno di quelle atmosfere da film già trovate all’inizio. Il brano si apre con un’intro pomposa, arricchita dall’utilizzo di corni, destinata ad affievolirsi e tramutarsi in sognante con l’innesto degli archi. La tranquillità viene rotta dall’irrompere della band che alza il ritmo, andando a fondere il black con la classica melodia sinfonica, con il fascino dell’atmosfera iniziale fuso nel caos del metal. Nel suo svolgimento il brano si fa sempre più oscuro, con l’orchestra ad assecondare questo cambio di direzione andando a tracciare trame più cupe ed ossessive, sino alla conclusione violentemente maestosa accompagnata da melodie marziali.
‘Unorthodox Manifesto’: Aerei da guerra, sirene antimissile, scariche di mitra e marce militari a dare vita ad un inquietante invito alla distruzione fanno da intro ad un brano nel quale la band può scatenare tutta la sua furia distruttiva, lasciando perdere per un istante la melodia e dare sfogo ad un caos brutale, destinato a travolgere anche i passaggi orchestrali. Anche il tipico break melodico ha un che di estremo, mentre le chitarre giocano ad alzare il ritmo senza concedere però nulla al facile ascolto. In un secondo tempo l’orchestra inizia a tessere melodie dark rotte da inserti chitarristici puramente heavy metal, in una nuova contrapposizione stilistica di grande suggestione. Il finale è nuovamente soffuso, con una semplice melodia pianistica ad accompagnarlo al suo compimento.
‘Heavenly Perverse’: La chiusura in grande stile è nuovamente affidata ad una comparsata di Abbath. E dire che l’inizio era assolutamente rassicurante, con un arpeggio melodico di chitarra un po’ inusuale. Si torna però presto alla normalità con una nuova sfuriata sonora segnata da riff granitici e da continui cambi di tempo. La seconda parte del brano è caratterizzata da un’ariosa apertura sinfonica, prima, e quindi nuovamente da passaggi cupi ed incazzati, figli del black più classico ed inquietante, ad estremizzare anche quello spirito sinfonico che accompagna il brano sino alla sua fine.
Complimenti e pacche sulle spalle di rito ad una band irriconoscibile in abiti borghesi (più che assatanati blacksters sembrano studentelli in gita scolastica!), sono però rinviati ad un locale di Donzorf, un prototipo mal riuscito del nostro Transilvania dove, tra spadoni medioevali, teschi e bandiere norvegesi, avrebbe avuto luogo il delirio alcolico travestito da cena a base di spaghetti scotti. Ecco quindi l’imponente Nick Barker rischiare di dar fuoco al locale prendendo a calci un cippo incandescente, ICS Vortex assurgere a novello samuai affettando con uno spadone rhapsodiano la torta gelato, e Mustis ingurgitare in catalessi tutto ciò che aveva una minima parvenza alcolica. L’unico, con fare timido e dismesso, a non cadere in tentazione era proprio Shagrath, viso angelico e fare da bravo ragazzo, apparentemente l’unico con un po’ di sale in zucca in mezzo a questa marmaglia esagitata, benevolmente fraterno quando si trattava di riportare sulla retta via l’esuberante tastierista. E quando, alle tre, giunge il momento di tornare in albergo, il delirio ha il suo compimento e la maschera viene definitivamente gettata. Su di un pullman modello “rave party” Nick imbonisce, bicchiere in mano, la folla, mentre ICS Vortex intona ‘Livin’On A Prayer’ con tanto di acuti e mossette bonjoviane presto seguito dai giornalisti presenti. Quando dagli altoparlanti della radio irrompono poi le note di ‘Love Gun’, è l’apoteosi: persino Mustis, destatosi dal suo stato catatonico, inizia a dare segni di vita, ballando come un ossesso prima di crollare tra le braccia del collega spagnolo, che dovrà curarsene nel conto si una lunga e travagliata notte. Manca solo il trenino per coronare questo insolito party itinerante! E quando la prossima volta vedremo le nuove foto dei Dimmu Borgir, tutto sangue e borchie, non potremo fare a meno di pensare a questo divertente siparietto e pensare che, anche nel cuore dei satanisti più estremi, alberga un sano spirito glam.