System Of A Down – Got That Feeling
Il 13/03/2002, di Fabio Magliano.
Pillole sparse di System Of A Down. 23 ottobre 2001: Ad un mese dalla sua pubblicazione ‘Toxicity’ viene certificato disco di platino. Gennaio 2002: Il Boston Globe nomina la band “gruppo dell’anno”. Secondo il San Jose Mercury News ‘Toxicity’ è tra i migliori 10 dischi del 2001; stesso risultato per Blender. Sempre nel gennaio 2002 il magazine Alternative Press elegge i System Of A Down band dell’anno e Spin nomina ‘Toxicity’ miglior disco del 2001, mentre per Time Magazine il disco è tra i primi 3 nell’anno appena concluso. Grammy Awards: ‘Chop Suey’ ottiene la nomination per la “Best Metal Performance”, mentre il gruppo per la “Best Metal Act” nei NME Awards…Questa è solo una minima parte dei riconoscimenti che la straordinaria band statunitense ha riscosso, negli ultimi mesi grazie a ‘Toxicity’, secondo capitolo discografico dell’act di origine armena ma, soprattutto, lavoro in grado di mettere d’accordo un po’ tutti in campo metal, una dote che, in un periodo di chiusura mentale dell’ascoltatore, di esasperata settorializzazione e di ferrea repulsione verso tutto ciò che sa di “nuovo”, è rara come il Gronchi Rosa e preziosa come tutto il contenuto di Fort Knox. Quello che i System Of A Down riescono con incredibile maestria a compiere, infatti, è una stupefacente fusione di stili, un irrazionale percorso trasversale che, partendo dall’estremismo metal di scuola Slayer, arriva a sbarcare nella tradizione folcloristica armena, zigzagando schizofrenicamente tra il thrash e l’hardcore più malato, tra il crossover di stampo politico tanto caro ai defunti RATM e le melodie che non sfigurerebbero in un pregevole album di pop/rock da classifica…sonorità allucinate e deviate che, paradossalmente, potrebbero fare felici sia gli amanti degli Iron Maiden (se fate attenzione ascoltando ‘Toxicity’ potrete trovare anche riferimenti a Steve Harris e soci) che quelli dei Korn e degli Slipknot, senza dimenticare gli amanti dei ritmi più serrati tanto cari a Slayer, Metallica e Anthrax…insomma un fenomenale caleidoscopio sonico che vale la pena celebrare. E per rendere omaggio al meglio alla (secondo il sottoscritto) più interessante band emersa negli ultimi anni sulla scena metal internazionale, abbiamo scelto il modo forse più ovvio e scontato, ma senza dubbio più interessante: abbiamo contattato personalmente il drummer John Dolmayan facendoci raccontare come la band sta vivendo questo momento dorato e tastando il polso dei SOAD in vista dell’attesissima data dell’8 marzo che li vedrà protagonisti sul palco del Palavobis a Milano.
John l’ultima volta che ci eravamo parlati avevo lasciato i System Of A Down sulla rampa di lancio. Oggi, a cinque mesi dalla pubblicazione di ‘Toxicity’, vi ritrovo in vetta alle chart di mezzo mondo, sulle pagine dei più grandi magazine (anche quelli non specializzati) e MTV ci sta martellando con i vostri video ad ogni ora del giorno e della notte…A fronte di questo mi viene da chiederti come stai vivendo questo grande successo che, quasi all’improvviso, è piovuto addosso a te e agli altri ragazzi della band…
“Nella mia vita personale non è cambiato assolutamente nulla dopo la realizzazione di ‘Toxicity’…vivo ancora con i miei genitori, ho la stessa ragazza di allora e mi diverto ancora un mondo a giocare con il mio cane…non credo che un disco di successo possa cambiare radicalmente la vita di una persona, o almeno, con me non lo ha fatto!”.
Ma è difficile riuscire a rimanere sé stessi con le lodi che vi piovono addosso e con il vostro nome che fa il giro del mondo a velocità supersoniche?
“È una cosa difficile. Molte band che hanno raggiunto il successo nell’ultimo periodo si sono trovate cambiate radicalmente, forse perché non sono state in grado di reggere il peso delle nuove responsabilità. La stessa cosa non è successa per i System Of A Down perché noi, prima di essere una band, siamo grandi amici da sempre. Certo, oggi esco di casa e la gente mi riconosce e firmo più autografi di una volta, però nessuno di noi è diventato, né si considera, una rockstar. Noi siamo artisti, e quello che vogliamo è creare e suonare la nostra musica. Chi ci sta vicino, le persone che ci vogliono bene e i fan che ci hanno seguito sin dall’inizio, questo lo sanno bene, ed è per questo che, dopo ‘Toxicity’, il nostro rapporto ne è uscito rafforzato”.
Abbi pazienza, non voglio mettere in dubbio la tua onestà e le tue affermazioni, ma mi risulta molto difficile credere che con qualche milione di copie vendute in tutto il mondo, un tour australiano appena concluso ed uno mondiale alle porte, la vostra vita non sia cambiata…da giovani armeni pieni di sogni e di speranze a musicisti affermati il passo è lungo…
“Guarda, con un disco in classifica ed un video in heavy rotation sui principali programmi musicali del Pianeta, montarti la testa è molto facile, però se sei determinato e se la tua forza di volontà è forte, allora riesci a rimanere con i piedi per terra. Quello che mi fa pensare, è vedere quello che mi accade attorno. Quando parto per un tour, rimango fuori anche per sei mesi in un anno, però questo non influisce sul mio modo di essere. Quando torno a casa dopo tutto questo tempo, però, mi rendo conto che la realtà che trovo ad accogliermi è cambiata! Stare in tour con la band è per me quasi vivere in una dimensione parallela nella quale il tempo si ferma mentre tutto attorno a te continua a compiere il suo corso… È una cosa molto strana. Quando suoniamo in giro pensiamo alla nostra musica e ai fan che ci vengono a vedere, e basta; ma intanto il disco continua a vendere, la nostra immagine passa sui magazine e alla televisione, e la nostra popolarità cresce senza che ce ne accorgiamo, così quando si tratta di ritornare a casa, lo facciamo con una celebrità molto superiore rispetto a quella che avevamo quando siamo partiti. Ma questo non ci tocca minimamente. Tutti noi siamo convinti di una cosa: il musicista ha una dote, che è quella di saper modellare le note ed emozionare con la musica chi la ascolta, e questa dote deve metterla al servizio delle persone, senza però ritenersi superiore rispetto agli altri, perché io non sono diverso da te o da ogni singolo ragazzo che ogni sera incontro ad un nostro concerto. Siamo tutti dei ragazzi fortunati, questo sì, perché viviamo facendo una cosa che ci diverte, però non siamo affatto speciali”.
E spostandoci da un piano umano ad un altro puramente musicale, pensate che tutto quello che vi è accaduto sia andato in qualche modo ad influenzare il vostro modo di approcciarvi a quello che suonate?
“Il discorso musicale va di pari passo con quanto detto in precedenza: siamo tutti molto cresciuti come artisti e come musicisti, siamo maturati, ma il successo non ha assolutamente influenzato il nostro modo di suonare o di concepire la musica. Ricorda questo: il giorno in cui un musicista si ritroverà a dover scrivere musica per vendere o, comunque, si troverà ad andare contro se stesso per accondiscendere a qualche legge di mercato, allora sarà fottuto, la sua esistenza di artista cesserà di esistere”.>
Cinque mesi sono passati, come si diceva in precedenza, dalla realizzazione di ‘Toxicity’. Visto oggi, a mente fredda e con il senno di poi, come giudichi questo (grandissimo) lavoro?
“Io sono molto orgoglioso di ‘Toxicity’, ma lo sono tanto quanto il giorno in cui ho finito di registrarlo, capisci cosa intendo? Il fatto che abbia venduto molte copie e che sia entrato in classifica, non mi rende più orgoglioso. Io amo ogni singola nota di questo album, ad esso ho legato grandi emozioni, quindi anche se avesse venduto solo due copie in tutto il mondo, io sarei stato ugualmente orgoglioso di esso. Onestamente, preferisco di gran lunga un album fatto con il cuore, specchio fedele delle emozioni dell’artista, che vende niente, rispetto ad un album di merda sbiadito ed asettico che vende milioni di copie”.
Se però, un lavoro chiaro e trasparente come ‘Toxicity’ arriva anche a vendere milioni di copie, la combinazione perfetta è presto servita!
“Già, hai ragione! I risultati ottenuti con questo album sono stati stupefacenti però, te lo assicuro, questo per noi è un aspetto di importanza marginale. Credimi, noi non scriviamo musica per arricchirci; a noi basta esprimere a pieno quello che proviamo dentro di noi. Certo che, se i fan dimostrano di apprezzare così tanto la nostra musica, allora significa che siamo riusciti a trasmettere a loro le nostre emozioni, e questa è una cosa molto positiva”.
Credi che, con ‘Toxicity’, i System Of A Down abbiano realizzato il loro capolavoro, oppure la vostra musica, in futuro, qualitativamente e tecnicamente parlando potrà raggiungere picchi ancora più elevati?
“Toxicity’ è la massima espressione dei System Of A Down, oggi, ma questo non significa che un certo discorso non possa essere sviluppato anche in futuro. Abbiamo molte sorprese in serbo per i nostri fan, è in atto, in noi, una sorta di mutazione legata alla nostra maturazione che porterà il nostro sound a svilupparsi in continuazione, in modo che, sotto alcuni punti di vista, ogni album possa rappresentare per chi lo ascolta qualcosa di speciale”.
Una delle doti che tutti riconoscono ai System Of A Down, è la vostra capacità di trasmettere in musica emozioni intense ed avvolgenti, con una perizia tecnica fuori dal comune. A questo punto mi viene da chiederti quanto è importante per voi il lato puramente tecnico della vostra musica, e quanto quello emotivo.
“La cosa importante in ogni band è trovare il giusto bilanciamento tra questi due elementi. Personalmente, come batterista, considero il lato emotivo della mia musica importante al 60 o 70 percento e quello tecnico al 30 o 40. Se non hai emozioni, se sei un musicista della Madonna ma non hai nulla da dire, la tecnica non significa niente”.
Se permetti una critica, forse l’unica che vi si può appuntare, è che, spesso, tradite proprio nel frangente live. Mi spiego meglio: ho avuto modo di vedervi per due volte on stage, a Milano di supporto agli Slayer e al Dynamo in Olanda, ed in entrambe le circostanze l’impressione avuta è stata quella di una vostra difficoltà a riproporre in chiave live l’affascinante mix sonoro che tanto bene rende su disco…
“Guarda, quello che posso dirti è che l’approccio che abbiamo con la musica una volta entrati in studio è lo stesso che abbiamo sul palco. Il nostro sound è lo stesso, anche perché quando siamo in studio per registrare un album imbracciamo gli strumenti e suoniamo, mentre quando siamo in tour…imbracciamo gli strumenti e suoniamo! Come vedi non c’è differenza in quello che facciamo. E poi, comunque, rispetto a quando ci hai visti suonare sono passati quasi tre anni. Allora si trattava del nostro primo tour, di spalla, tra l’altro, a gruppi molto diversi da noi e davanti ad un pubblico non nostro. In questi anni, però, non abbiamo fatto altro che suonare dal vivo affinando il nostro approccio con il palco e maturando anche in questo frangente”.
Un lettore della nostra rivista, qualche mese fa, ha posto un quesito a prima vista banale, ma la cui risposta è stata alquanto ardua: che genere fanno i System Of A Down? L’unica risposta possibile è stata ‘I System Of A Down sono speciali perché sono i System Of A Down!’, Però vorrei sapere tu come avresti risposto a questa domanda.
“Hai risposto molto bene, amico mio. I System Of A Down sono i System Of A Down. Il segreto sta nel fatto che siamo quattro musicisti differenti che ascoltano generi di musica differenti e che si influenzano a vicenda. Da questa fusione di stili, da questa interazione di personalità e di menti differenti, nasce qualcosa di speciale”.
Una canzone che fotografa alla perfezione questa fusione di stili è, senza dubbio, ‘Chop Suey’, un brano che mi ha letteralmente stregato con la sua fantastica melodia e con i sui improvvisi, devastati break, un chiaro/scuro umorale veramente disarmante. Puoi spiegarci cosa c’è alla base di questo piccolo gioiellino?
“Questa canzone è il perfetto crocevia tra le differenti emozioni che, quotidianamente, scuotono l’uomo. Non puoi provare lo stesso sentimento ogni giorno, per tutta la vita. Gioia, rabbia, angoscia, frustrazione, allegria, dolcezza, rancore, tristezza…questo fa parte della vita di ognuno di noi, e quello che i System Of A Down fanno è mettere la vita in musica. Qualche volta sei triste…qualche volta sei allegro…qualche volta sei innamorato…qualche volta sei arrabbiato…l’animo umano ha mille volti, e questi volti abbiamo cercato di rappresentarli in questa canzone. Non voglio spiegarti questa canzone, non avrebbe senso. Ognuno deve essere libero di leggerci quello che meglio crede. L’arte non va spiegata, un’opera d’arte, per essere tale, deve essere in grado di suscitare emozioni differenti in ogni singolo individuo”.
Hai sottolineato l’importanza delle emozioni nella vostra musica. Ma come si pongono i System Of A Down nei confronti di una scena come quella musicale, dove troppo spesso un business esasperato prevarica i sentimenti sinceri portati dalla buona musica?
“Credo che nell’attuale scena musicale ci sia spazio per tutti. Ci sono dischi di piacevole ascolto che mi piacciono molto ed altri inascoltabili che ignoro. Nello stesso modo ci sono molte band che paiono la copia sputata di altre diecimila, aride di idee e pronte a puntare più sul look che sulla musica, ed altre decisamente più interessanti, capaci di risultare originali e di dire ancora qualcosa con le sette note. Ed è proprio in questa direzione che io oriento i miei ascolti”.
In proposito, qual è l’ultimo album che hai ascoltato e che ti ha emozionato?
“Beh, io solitamente ascolto musica in macchina, mentre guido…è una situazione che amo molto. L’ultimo disco che ho ascoltato è quello di un gruppo di cui non ricordo il nome, islandese, credo (forse i Sigur Ros? N.d.A). La loro musica è accostabile a quella dei Radiohead, un sound molto dolce ma sicuramente interessante. Il chitarrista, in alcuni versi, pare ispirarsi a Jimmy Page e vengono abbondantemente utilizzati violini con una tecnica tutta particolare…un disco ottimo!”.
Wow, a prima vista roba distante anni luce da quello che sei solito suonare con i System Of A Down. Coma va visto? Come una sorta di ‘camera di decompressione’ per ricaricarti prima del tour?
“No, semplicemente credo di essere influenzato da qualsiasi tipo di musica. Riesco a provare grandi emozioni sia ascoltando sonorità più feroci e serrate, sia altre più delicate come quelle della musica classica. E la mia grande speranza è che i ragazzi che leggono Metal Hammer capiscano questo, e capiscano che non è importante che genere di musica ascolta il loro musicista preferito, ma che da questi svariati stili quel musicista riesce a trovare l’ispirazione per dare vita a quel sound che tanto amano”.
‘Toxicity’ ha visto la luce nel settembre del 2001, un mese tragicamente celebre che, in alcuni versi, ha cambiato il volto del mondo in cui viviamo…
“Oh, capisco cosa vuoi dire, ma se devo essere del tutto sincero la mia vita non è cambiata dopo l’11 settembre. Continuo a vivere la mia vita, e faccio le stesse cose che facevo prima degli attentati alle Twin Towers…la paura non mi ha certo cambiato!”.
I System Of A Down, però, si sono da sempre fatti portatori di messaggi socialmente e politicamente molto forti, basti pensare alla vostra battaglia portata avanti in favore della causa armena. Come vivete la situazione odierna, con focolai di guerra che, specialmente in Medio Oriente, mettono a repentaglio la stabilità di un po’ tutti quanti noi?
“La viviamo con la convinzione che dopo l’11 settembre, nel mondo, siano successe cose positive e altre decisamente negative. Gli americani hanno dato vita ad una guerra per alcuni versi logica, perché il terrorismo ha messo a repentaglio il nostro diritto di libertà, ma allo stesso tempo sono contrario alla guerra, perché con questa vengono tirati in ballo anche innocenti che vogliono solamente vivere la loro vita, mentre finiscono per ritrovarsi vittime di un’eccessiva sete di vendetta. Io non sono dalla parte del terrorismo, ma penso che, per affermare le proprie ragioni o il proprio credo, non sia necessario un gesto di violenza inaudita come quello di New York. Prendi Gandhi…in nome di un ideale è stato in grado di smuovere montagne, ed in modo totalmente pacifico. Non vedo perché nel mondo non si possa fare lo stesso, oggi”.
Quindi tu comprendi la guerra, ma allo stesso tempo la stigmatizzi…
“In un certo senso sì. La guerra fa parte da sempre dell’umanità, quindi non c’è da sorprendersi più di tanto se l’uomo sente la necessità di fare la guerra. Non è giusto che un individuo muoia in questo modo, ma una persona ha diritto di difendersi e, in alcune situazioni, non ha altra via d’uscita che non sia la guerra”.
Direi di concludere questa intervista con un arrivederci a Milano, alla vostra unica data italiana inserita nel vostro tour europeo nonché, per molti di noi, un appuntamento segnato in rosso sul calendario da diversi mesi!
“L’Italia è un posto fantastico. Ma l’Europa in generale possiede un fascino enorme…è qualcosa di speciale…non so come spiegarmi. Quando mi trovo a camminare per le vie delle vostre città, osservo i volti della gente e vedo in essi felicità, armonia…credo sia qualcosa dettata dalla vostra tradizione. In Europa ci sono posti carichi di storia, e la vostra stessa cultura è fonte di grande fascino. Siete fortunati a vivere ogni giorno a contatto con realtà simili…e siamo fortunati noi che, presto, entreremo ancora una volta in contatto con i vostri luoghi e le vostre tradizioni…anche se solo per poche settimane!”.