Motorhead – No Sleep ‘Til The Ears Bleed!
Il 17/11/2001, di Fabio Magliano.
Una storia lunga venticinque anni. Ha dell’incredibile. Sfogliando mentalmente la grande enciclopedia dell’heavy metal incontriamo enormi difficoltà a trovare altre band che, al pari dei Motorhead, siano giunte nel 2001 a tagliare tale traguardo e a farlo mosse da una irrefrenabile voglia di andare avanti. Ci imbattiamo in scioglimenti, patetiche rèunion o, ancor peggio, in inesorabili date di decessi di chi, votando la propria vita al rock, non ha più saputo trovare la giusta strada verso la razionalità, finendo per perdersi nei meandri della propria follia. Per i Motorhead, tutto è diverso. Lemmy, come Ozzy e Iggy Pop uno di quei musicisti destinati a morire vent’anni fa e invece ancora qui a insegnare la lezione a tanti sbarbatelli con una chitarra in mano, nella sua irrazionalità ha saputo trovare una ragione di vita e, paradossalmente, la sua salvezza. “Faccio quello che mi piace” ha più volte ripetuto con la voce irrimediabilmente impastata di alcool e catrame nella chiacchierata che segue, e quello che piace al quasi sessantenne Mr. Ian Kilmister erano (sono?) le droghe, naturali o sintetiche che siano, l’alcool, il sesso ovunque, comunque e con chiunque ma, soprattutto , il rock’n’roll. Quel rock che per lui più volte è stato un’ancora di salvezza, un porto in cui rifugiarsi ed una guida, in grado di tracciare quel limite oltre il quale non spingersi per nessuna ragione al mondo. Ora Lemmy è qui, ha appena festeggiato al Brixton Academy di Londra il venticinquesimo anno di vita dei suoi Motorhead assieme a vecchi e nuovi amici, ha fatto uscire un DVD celebrativo dall’emblematico titolo ‘Boneshaker’ e, tra un whisky e una sigaretta, non vede l’ora di ricominciare a suonare in giro per il mondo.
Non ci stava davanti, al momento dell’intervista, ma ci piace immaginarlo così come lo avevamo visto l’ultima volta che era venuto a far visita all’Italia, con una mano sulla cornetta del telefono e l’altra saldamente ancorata al braccio meccanico della slot machine, lo sguardo perennemente fisso sul vorticoso roteare di $ e limoni e il volto impassibile, destinato a contorcersi in una smorfia di disappunto nonappena appurato che, i “coins”, anche per questo giro erano finiti. Forse è un’immagine un po’ romanzata, però è così che Lemmy è, ed è anche per questo che, dopo venticinque anni, è ancora qui a parlarci, facendo avvicinare molti di voi a questa intervista con il piglio di chi sta per venire ancora una volta a contatto con una leggenda.
Intavolare una conversazione con Lemmy, è appurato, è cosa quasi impossibile per via della sua repulsione alle chiacchierate telefoniche, così come è impossibile (e presuntuoso) ripercorrere in poche pagine una carriera ricca e avvincente come quella dei Motorhead. Abbiamo allora cercato di stuzzicarlo con gli argomenti più vari, ricavando alla fine un’intervista forse un po’ fuori dai canoni, ma in grado di andare a toccare le fasi salienti della vita di un musicista dalle risposte pungenti e dirette ma, come vedremo, anche profonde e sicuramente mai scontate. Siete pronti? Si parte!
LEMMY: L’ UOMO
La leggenda vuole che tu abbia iniziato a suonare la chitarra, per poi passare al basso dopo che, facendo da rodie a Hendrix, ti sei reso conto che era inarrivabile. E’ vero?
“E’ una stronzata. Ho iniziato a suonare il basso perché negli Hawkwind c’era già Dave Brock che suonava la chitarra. Quando mi sono trovato con loro e ho chiesto di suonare la chitarra, mi sono sentito dire ‘Stai zitto! Quello è il basso, se vuoi, suonalo, altrimenti quella è la porta!’. Io ci sono rimasto di merda, perché non avevo mai suonato il basso in vita mia, però ho detto ‘Ok, andiamo!’ e incredibilmente è piaciuto. Forse erano troppo fatti per capire come suonavo veramente. Comunque ci ho messo cinque anni, ma alla fine il basso è diventato il mio strumento”.
Quando hai capito che la musica poteva essere la tua vita?
“1960, mese più, mese meno”.
Ma c’è stato un particolare avvenimento che te lo ha fatto capire?
“No, non c’è un momento particolare. Forse quando ho visto per la prima volta Gene Vincent alla televisione: una scarica di pura energia. L’ho visto e ho detto: ‘Anch’io voglio fare questo!’”.
Puoi spiegarci il segreto per rimanere sulla breccia così a lungo?
“Non mollare! Non mollare, questo è il segreto! Se non molli mai, sopravvivi!”.
C’è qualche cosa, nella tua carriera, che vista con il senno di poi pensi sarebbe potuta essere migliore?
“No, nessun rimpianto. Tutto quello che ho fatto, nel bene e nel male, lo rifarei allo stesso modo. Se dovessi iniziare a pensare ‘Quel disco lo avrei potuto produrre meglio’ o ‘In quel concerto avrei potuto suonare meglio…’ smetterei di vivere. Se sono qui è perché, bene o male, quello che ho fatto sino ad ora mi ha consentito di arrivarci, perciò va bene così”.
Circola voce che tu stia lavorando ad un libro sulla tua storia…
“Sì, l’ho finito. Adesso non so ancora quando verrà pubblicato, si sta parlando per quanto riguarda la sua promozione e la sua distribuzione, però il libro è finito”.
Puoi spiegarci di che si tratta?
“E’ un libro su di me. E’ fatto sotto forma di intervista e, assieme ad una giornalista, ripercorro le tappe importanti della mia vita”.
Tra queste tappe c’è senza dubbio quella volta in cui cenasti, in Jugoslavia, con il maresciallo Tito. Era il 1965, il tempo dei Rocking Vickers…
“Si, era un periodo strano, l’influenza della politica nella vita di tutti i giorni era enormemente maggiore che oggi e in Jugoslavia la musica era vista veramente come qualcosa di altamente sovversivo. Penso di essere stato tra i primi a suonare rock da quelle parti, e incredibilmente mi sono trovato faccia a faccia con il maresciallo Tito. Non so come è stato, ma mi sono trovato in questa stanza con Tito, seduto tutto da solo a mangiare. Ci siamo seduti e abbiamo iniziato a parlare. So che può sembrarti una storia stupida, però è andata proprio così…”.
Da tempo fa scalpore il fatto che tu sia un grande collezionista di memorabilia nazista. Che cosa rappresenta questa collezione per te? E’ un semplice hobby o è un modo alternativo per studiare più approfonditamente la storia?
“E’ semplicemente un hobby, certo! Ci sono mille altri modi per studiare approfonditamente la storia senza andarsi a comprare tutta questa roba nazista! Molti mi hanno rotto le palle facendomi la morale per questo, ma non me ne frega niente. Sono solo cimeli storici che testimoniano una parte triste ma importante della storia, che in un modo o nell’altro ha segnato l’umanità”.
Ma qual è il pezzo più importante della tua collezione?
“Oh fuck, I don’t know…forse alcuni pezzi appartenuti ad una vettura d’epoca, dei fregi, uno stendardo…ho anche un piccolo busto di Mussolini, ma quello mi è stato regalato! Ci sono tanti fan italiani che mi mandano souvenir di Mussolini, alcuni carini, altri veramente orribili!”.
MOTORHEAD: UNA CORSA LUNGA 25 ANNI
Dopo 25 anni siete ancora sulle scene. Domanda scontata: è cambiata la scena rispetto a quando avete iniziato a muovere i primi passi in questa realtà?
“Shit, totalmente! E’ completamente cambiata rispetto allo scorso anno, figurati in 25 anni! Il tempo passa, la scena cambia…è così che devono andare le cose!”.
Quali pensi siano le differenze più rilevanti?
“La principale differenza sta nel fatto che la gente non ha più fiducia in quello che gli viene proposto”.
Spiegati meglio…
“C’è troppa informazione! Una volta andavi a tastare con mano le situazioni, ti lanciavi su una band, la ascoltavi, la amavi. Oggi tutti ti dicono cosa comprare, come comprare, chi ascoltare…e poi c’è internet, la più grande cagata partorita dall’uomo! Adesso ci puoi trovare sopra di tutto e lo spirito di ‘sfida’, l’incognita del disco, è venuta meno. Sono sicuro che, se internet fosse stato inventato al tempo del nostro esordio, i Motorhead non sarebbero qui oggi, sarebbero stati stritolati tanto tempo prima!”.
Dopo aver registrato così tanti album (diciannove), come riuscite a trovare le giuste motivazioni per continuare ad andare avanti?
“Perché ci divertiamo! Non c’è bisogno di trovare le giuste motivazioni: noi siamo sempre motivati! Quando ci si diverte a suonare, viene da sé che si voglia continuare ad andare avanti!”.
Ma non è difficile essere riuscire a trovare sempre l’ispirazione per scrivere qualcosa di nuovo?
“Si, qualche volta un po’ di difficoltà c’è, soprattutto da un punto di vista dei testi. Ci sono delle volte che scrivo un album intero in un giorno e altre in cui ci vuole un anno, però fanno parte dei rischi del mestiere”.
Credi che, nel corso di tutti questi anni, il vostro modo di approcciarvi alla musica sia mutato?
“No, la musica è sempre quella. Non mi importa di essere originale, l’importante è che io mi diverta. Ascolto veramente di tutto, dagli Abba ai Pink Floyd agli Everly Brothers, e mi piacciono! Però se devo suonare, lo faccio solo con cose che veramente mi fanno divertire”.
Veniamo alla ‘diatriba stilistica’ che vi ha visti al centro di infuocate discussioni. Per molti i Motorhead sono da considerare tra i padri dell’heavy metal, per altri sono una delle migliori punk band in circolazione, altri ancora vi vedono come un esplosivo mix di rock e punk…Vuoi dire anche tu la tua in questo tourbillon di supposizioni?
“E’ rock’n’roll. Tutto è rock’n’roll. Certo, amiamo anche il punk, ma il punk è nato dal rock’n’roll. Amiamo anche il metal, ma il metal è figlio del rock’n’roll, quindi come vedi…qualcuno ci ha definiti punk: un gruppo punk un po’ anomalo, visto che non c’è un gruppo punk in circolazione con i capelli lunghi! (Ride). Sì, ho vissuto la rivoluzione punk e ne sono rimasto coinvolto, così come ho vissuto anni prima la rivoluzione di Elvis e ne sono anche qui rimasto segnato. L’importante è essere se stessi e fare solo quello che piace”.
Una miriade di band citano i Motorhead come loro principale fonte ispiratrice. E’ indubbia l’importanza che rivestite per le giovani leve e per la scena rock in generale. Come vi sentite nei panni degli ‘spiriti guida’ per le future generazioni di musicisti?
“A volte mi chiedo come facciano a esserci tanti pazzi che ci seguono! (Ride).Non so, non mi vedo nei panni dell’icona, anzi, non voglio proprio vedermi! Penso che passare per leggenda alla lunga finisca per essere un po’ noioso. Quello che conta è andare avanti e continuare a suonare come il primo giorno. E’ anche vero, però, che questo nostro stato ci facilita molto le cose, perché la nostra condizione ci consente di continuare comunque a incidere dischi e la gente continua a comprarli. Però leggenda…no, le fottute leggende sono tutte morte, mentre io sono ancora qui a parlarti! (Ride)”.
Nella home page del vostro sito www.imotorhead.com, viene riportata una dedica ai Ramones, una band che ha significato molto per voi…
“Sì. Conoscevo Joey da moltissimo tempo, sin dal 1977. La sua perdita è stata molto dolorosa”.
Ma cosa rappresentava, Joey, per i Motorhead?
“Quello che ha rappresentato per molti musicisti. Un esempio. I Ramones hanno iniziato quello che prima non c’era, avevano trovato una formula musicale unica, e per questo la gente li rispettava. Io rispettavo profondamente Joey, e Joey mi rispettava a sua volta. Aveva capito esattamente cosa fosse il rock’n’roll e lo faceva meglio di tutti. Non c’è nessuno, oggi, in grado di ambire a diventare quello che Joey è stato per vent’anni. Ascolta la sua voce, ascolta le sue canzoni, ascolta le sue melodie, e poi dimmi se c’è qualcuno in grado di rifare quello che hanno fatto i Ramones”.
Pensi sia ancora valida la mitica legge ‘Sesso, droga & Rock’n’Roll’?
“Dipende dagli individui (Ride). Se nella tua testa di senti di essere in grado di calarti l’impossibile, se trovi una donna da scoparti ogni sera e, alla fine, riesci a salire sul palco a suonare, beh, allora la legge è ancora validissima!”.
BONESHAKER: UN PARTY…STORICO
Come dobbiamo vedere la realizzazione del DVD antologico ‘Boneshaker’?
“E’ la testimonianza di una gran bella festa, nulla di più”.
In questa festa vi siete trovati a suonare con altri grandi musicisti come Brian May, Fast Eddie Clark, Doro, Whitfield Crane, Ace degli Skunk Anansie… Quanto è importante per voi confrontarvi con altri artisti, a volte molto differenti stilisticamente da voi?
“Non è importantissimo, è divertente. Se lo abbiamo fatto, non lo abbiamo fatto per imparare, ma perché lo trovavamo divertente. Doro Pesh, ad esempio, è una grande artista ma, fondamentalmente, è una nostra grande fan, ed è stato bello trovarci a suonare con lei nel mezzo di una jam indiavolata”.
NEL SEGNO DELLA VIOLENZA
Tempo fa, in Italia, ha suscitato clamore la notizia di tre ragazze che a loro dire ispirate da Marylin Manson, hanno ucciso una suora. Si è tornato quindi a parlare di heavy metal come musica del Diavolo e istigatrice alla violenza. Pensi che questa musica abbia veramente la forza di spingere una persona a compiere un gesto così estremo?
“No, se erano predisposte ad uccidere avrebbero ucciso comunque! Solo che la musica è la via più semplice per giustificarle”.
Come reagisce, in casi come questo, il musicista? E’ shockato, è allarmato o la faccenda non lo tocca per niente?
“No, no siamo shockati! Per alcuni versi queste cose ci divertono! (Ride). Il tiro al bersaglio sul musicista è uno dei passatempi preferiti dei giornalisti da sempre (Ride). E’ il discorso della predisposizione: se un ragazzino scende in strada deciso a uccidere qualcuno, non importa se cinque minuti prima ha ascoltato pop o black metal, lo uccide e basta, perché fa parte della sua impostazione mentale, che esula dai suoi ascolti. Oggi vige la legge dell’apparire, molti ragazzi per valere devono emergere dalla massa, e non c’è nulla da stupirsi se, a dieci anni, un ragazzo per mettersi in luce non trova niente di meglio da fare che aprire il fuoco sulla gente! Qui si ha a che fare con dei pazzi: non c’è nulla di razionale in quello che fanno, non ci sono piani da seguire: io uccido e basta, perché sento l’impulso”.
Veniamo ad un’altra tragedia, forse la più grande mai accaduta negli ultimi anni: la guerra. Come stai vivendo una situazione delicata come questa?
“Oh, questa è la prima volta che l’America si trova sotto il tiro delle bombe. E’ una cosa traumatica. In Europa si è vissuta indirettamente la tragedia, perché bene o male i conflitti che nei secoli si erano scatenati in Europa avevano predisposto la popolazione alla guerra, ma in America, svegliarsi convinti di essere intoccabili e ritrovarsi inermi, è stato uno shock tremendo. Una situazione simile l’America non l’aveva mai vissuta. Mai! New York è annientata, la gente è disorientata, è terribile. Ma la cosa ancor più terribile è che tutto quello che l’America fa oggi, lo fa in nome della vendetta, senza un che di razionale. Non hanno valutato le situazioni e si sono buttati contro Bin Laden, e tutto quello che vogliono, ora, è uccidere. Sono convinti che sia lui il responsabile di tutto. Lo sono anch’io, ad essere onesto, però tutto è stato troppo immediato e troppo traumatico. La vendetta ha sopraffatto la diplomazia”.
Il problema è che questa non è una guerra contro ad una nazione, bensì contro il terrorismo, e il terrorismo è ovunque…Morto un Bin Laden ne usciranno altri 1000 pronti ad emularlo…
“Sì, il terrorismo è ovunque, ma lo si può annientare!”.
Da queste parole si deduce che la tua visione della vita futura sia all’insegna della speranza?
“Oh, io ho sempre fiducia nel futuro! Ho vissuto molte situazioni brutte, ho visto la morte, ho toccato con mano realtà molto vicine alla guerra, eppure sono ancora qui. Non vedo perché non dovrei avere fiducia nel futuro”.
Credi che la musica, in situazioni come queste, sia in grado di fare qualcosa di concreto?
“No, cosa può fare la musica? Molti smettono di suonare per andare in guerra. La musica è solo un divertimento, e quando ci sono situazioni come queste la gente non ha voglia di divertirsi. La guerra è più forte della musica, e sono ben altre le cose che possono far fermare il conflitto. Al massimo qualcuno potrà ascoltare un pa’ di musica mentre combatte, se proprio è così fanatico (Ride)”.
UN INNOCENTE GIOCHINO
Abbiamo chiesto a Lemmy di dirci la prima cosa che gli veniva in mente sentendo pronunciare il nome di dieci band che, all’impazzata senza alcun rigore logico, ci passavano per la mente in quel momento…
HAWKWIND: “Ho passato molti bei momenti con loro, sono una band ancora importante per me”.
BLACK SABBATH: “Non li ho mai seguiti molto e, spesso, non capisco il clamore che riescono a suscitare”.
SEX PISTOLS: “Sopravvalutati”.
ABBA: “Ottimo pop di ottima qualità”.
RAMONES: “Sicuramente originali, tra le nostre principali influenze”.
KISS: “I milioni parlano chiaro…”
METALLICA: “Una grande band che finalmente ha raggiunto la maturità”.
SKUNK ANANSIE: “Meravigliosi! Eccellenti! Ottime persone, ottima compagnia…la mia band preferita!”
LIMP BIZKIT: “Nothing! Non mi dicono nulla!”
EMINEM: “Esiste?”