Nevermore – Il cuore pulsa ancora
Il 20/05/2000, di Fabio Magliano.
‘Dead Heart In A Dead World’ è un album destinato a sconvolgere gli orizzonti del thrash e di spingere l’heavy metal ancora più in là, un lavoro che delimita il confine tra classico e moderno confermando i Nevermore come una delle band più geniali e imprevedibili dell’intera scena statunitense. Ne abbiamo parlato con il simpatico singer Warrel Dane.
Quella che segue è un’intervista fortemente voluta dal sottoscritto, affrontata dopo una notte insonne e con una fastidiosa bronchite, perché avevo bisogno di sapere. Di sapere che cosa c’era dietro ad uno degli album dell’anno, ad un lavoro destinato a rivoluzionare i confini del thrash e di spingersi ancora oltre, di sapere cosa può spingere una band a prendere una canzone epocale come ‘The Sound Of Silence’ e rivoluzionarla globalmente facendola diventare una grandiosa heavy metal song, ma soprattutto di sapere cosa si cela dietro ad una delle band più geniali ed innovative del panorama metal statunitense. Dopo una serie di sfortunati ritardi, finalmente mi trovo seduto al tavolo con Warrel Dane, voce e mente dei Nevermore nonché persona incredibilmente simpatica e affabile, come conferma la mezz’ora di battute e risate spacciata per intervista. Davanti ad una pizza margherita ( Warrel, cuoco provetto negli States, ha dichiarato che la vera margherita ha gli spinaci sopra e che la pizza americana è migliore di quella italiana!), il biondo singer ha potuto parlare a ruota libera, andando a fondo per quanto riguarda il discorso ‘Dead Heart In A Dead World’ e spingendosi ancora oltre.
Ok Warrel, quello che salta subito all’occhio è l’abbandono del vostro secondo chitarrista Tim Calvert, che tanto bene aveva fatto al tempo dell’album precedente. Puoi spiegarci che cosa è successo realmente?
“Tim ha deciso di abbandonare il gruppo perché, alla vigilia dell’ultimo tour, ha deciso di sposarsi e questo ha rappresentato un grande problema per noi, anche perché non potevamo permetterci di portarci dietro sua moglie per tutto il tour che dovevamo incominciare e per tutti i tour che avremmo intrapreso. Sia chiaro, è stato lui a lasciare il gruppo, non è stato cacciato come si potrebbe pensare, tanto che siamo ancora dei buoni amici e siamo pronti ad aiutarlo in qualsiasi cosa decida ora di fare, anche inerente la sua vita personale”.
Ma…
“Si, andremo in tour e prenderemo un altro chitarrista. Ho anticipato la tua domanda, hai visto?”.
Hem, veramente volevo sapere se la vostra musica aveva risentito dell’abbandono di Tim, a mio avviso preziosissimo al tempo di ‘Dreaming Neon Black’.
“No, non credo. L’unica cosa che è cambiata è lo spirito della band, ora più vicino al primo album dei Nevermore visto che la line-up è tornata ad essere quella. Uno degli aspetti che molti giornalisti colgono di questo album, riguarda proprio il fatto che il sound di questo album è riconducibile a quello del nostro primo lavoro. Se lo spirito dei Nevermore attuali può essere ricollegato a quel periodo, non mi convince il fatto del sound, però sono pareri personali dei critici e come tali vanno rispettati. Comunque, sono veramente molto soddisfatto di questa line-up, sono convinto che la dipartita di Tim ci abbia giovato, sotto alcuni aspetti, perché ci ha spinti ad essere più concentrati, ha consentito a me e a Jeff di focalizzare la nostra attenzione sul songwriting e di migliorarci sotto questo aspetto”.
Quindi come musicisti e come band, pensate di essere diversi rispetto a quelli conosciuti e apprezzati con ‘Dreaming Neon Black’?
“Certamente! E’ una nostra prerogativa cercare di cambiare album dopo album. Vogliamo essere una band atipica, non vogliamo che la gente sappia cosa aspettarsi dal prossimo album dei Nevermore”.
Ma non è pericoloso tutto ciò?
“Certo che è pericoloso! E’ pericoloso, è eccitante, è esagerato ed è un rischio. Spesso, però, il rischio paga, quindi siamo disposti ad affrontarlo”.
Puoi inquadrare, allora, quali sono questi elementi che differenziano tanto ‘Dreaming Neon Black’ da ‘Dead Heart In A Dead World’? Secondo me, a giovare di questa maturazione artistica è stata soprattutto la tua voce, veramente incredibile nel corso di tutto l’album!
“Oh, questo è dipeso dal nostro nuovo produttore, Andy Sneap. Tutto il tempo a urlarmi dietro ‘Scream baby, scream!’ Con il suo dannato accento inglese. Sembrava indiavolato! Un’altra cosa che emerge in questo album è il suono delle chitarre. Andy ha più volte incoraggiato Jeff ad adottare sonorità estreme, così come mi ha incoraggiato a cantare in modo estremo. La grande differenza rispetto al passato è che, questa volta, il nostro produttore si è realmente divertito a lavorare al nuovo album dei Nevermore. Forse nei nostri primi tre lavori si era badato più alla forma, allo stile e si erano lasciati da parte altri elementi altrettanto importanti. Andy Sneap ci ha spronati ad essere più estremi in ogni aspetto e questo ha giovato a noi e alla nostra musica”.
In questo caso si è fatta sentire l’esperienza di Andy con band come Machine Head Earth Crisis, Skinlab…
“No, non la vedrei così. La sua esperienza con quelle band non si è rivelata importante per noi, la cosa importante è che noi abbiamo capito sino a dove potevamo spingerci con il sound delle chitarre. Non avevamo bisogno di suonare come le band che hai citato, perché se così avessimo fatto saremmo stati catalogati alla stregua di qualsiasi altra band, cosa che non ci piace affatto. Quello di cui avevamo bisogno era aprire gli occhi su determinati aspetti della nostra musica che, spesso, relegavamo in secondo piano. Facendo così siamo rimasti sempre noi, una band assolutamente non classificabile! Sai, la gente tende troppo ad appiccicare le etichette alle band, mentre la nostra ambizione è proprio quella di non dare loro la possibilità di classificarci. Tanti ci reputano power metal. Io non sono d’accordo, però penso ci siano aspetti del power nella nostra musica, così come ci sono aspetti thrash, death, black…la forza dei Nevermore sta proprio nel saper combinare questi stili in un unico “pacco” destinato a spiazzare l’ascoltatore. E Andy ha saputo cogliere questo aspetto e farlo valere sino in fondo!”.
In fase di recensione ho scritto che la forza della vostra musica sta nell’essere estremamente moderna, ma allo stesso tempo estremamente classica e che ‘Narcosynthesis’ ne è la prova. Sei d’accordo in questo’
“Si, ed è per questo che abbiamo inserito questa song in avvio di album. E questo è stato un altro di quei rischi accennati in precedenza, perché in moltissimi hanno apprezzato questa canzone ma c’è stata anche della gente che l’ha trovata orribile. Sono venuti a dirci che sembrava una canzone dei Machine Head e uno ci ha persino paragonato ai Creed. Cosa!!!!!!! L’ho guardato e gli ho detto: ‘I Creeeeed? Hai fumato crack prima di ascoltarla?’. Non c’erano altre ragioni, perché per arrivare a paragonarci ai Creed, doveva senza dubbio essersi fumato qualcosa! Credo però siano veramente poche le persone ad aver accolto negativamente questa canzone e le altre critiche positive ricevute confermano questa opinione. Personalmente credo che questo brano rappresenti a pieno quello che i Nevermore vogliono fare, con l’inserimento dei nuovi elementi del nostro sound nel tradizionale stile della band, e sono più che convinto che questo sia l’unico modo per consentire alla musica metal di sopravvivere. Quanti cloni degli Helloween ci sono in giro per il mondo, al giorno d’oggi? Band che tra dieci anni non esisteranno nemmeno più, destinate a scomparire nel giro di un album! Ai Nevermore questo non succederà, perché i Nevermore riusciranno sempre a sorprendere gli ascoltatori”.
Hai accennato ai cloni degli Helloween. E per quanto riguarda i Nevermore? Ti sei mai imbattuto in qualche vostro clone?
“Cloni dei Nevermore??? Non credo proprio! Non ne ho mai sentiti, e questo è positivo, perché significa che ci siamo solo noi a fare questo genere!”.
‘The Sound Of Silence’. Perché?
“Perché volevamo distruggere un classico!”.
Tutto qui?
“E’ stato fantastico! Abbiamo decomposto un classico e lo abbiamo ricostruito per intero rendendolo un’autentica canzone dei Nevermore. Se la ascolti ti rendi conto che non è più la canzone di Simon&Garfunkel. Trovo che sia fottutamente noioso e banale prendere una canzone di un altro artista e suonarla nella stessa identica maniera dell’originale. E’ la negazione della creatività”.
E come vi siete trovati a reinventare un classico?
“Fottutamente bene, perché è stata una cosa totalmente naturale. Ho covato in me per anni l’idea di coverizzare questa canzone, però non si erano mai creati i presupposti giusti per realizzare il mio progetto. Quando ci siamo trovati in sala d’ incisione e Jeff, quasi per scherzo, ha iniziato a suonarla…Bang! Sono rimasto fulminato! ‘Hello darkness my old friend…’, ho iniziato a cantare e il feeling è stato subito perfetto. Jeff non la pensava subito così, non amava l’idea di questa canzone, invece una settimana dopo non stava più nella pelle, ‘It’s a fuckin’killer’ continuava a ripetere! La stessa cosa si era venuta a creare quando eravamo stati chiamati a incidere una song dei Judas Priest per il loro tributo. Ho ascoltato il loro disco e mi sono subito messo in testa di creare qualcosa di nuovo. Così come noi hanno fatto i Testament, e anche gli Exciter ed il risultato è stato buono, però la maggior parte delle band coinvolte nel progetto ha cercato semplicemente di suonare le canzoni nel modo più simile all’originale possibile, e in questo non c’è assolutamente creatività né originalità. Per questo abbiamo cercato di ‘imbastardire’ il più possibile questa canzone!”.
Visto che siamo in tema di cover, hai avuto modo di sentire la cover di ‘Die For My Sins’ fatta dai Labyrinth? Cosa ne pensi?
“Certo, l’ho ascoltata e la trovo splendida. In più è un onore per me che una band decida di coverizzare un brano dei Sanctuary. Mi è spiaciuto, quando abbiamo suonato al Gods Of Metal, di non averla potuta cantare assieme a loro sul palco, però ho avuto un incidente il giorno prima e mi ha creato non pochi problemi. Hai visto questa cicatrice che ho sul labbro? Beh, la notte prima del concerto al Gods il nostro bassista mi ha colpito violentemente con il suo strumento e mi ha provocato un taglio profondo, tanto che ci sono voluti cinque punti per chiuderlo. Il medico mi aveva anche detto di stare senza cantare per una settimana, però era un folle, perché i Nevermore mi avrebbero ucciso se non avessi cantato al Gods. Così sono salito ugualmente sul palco ma dopo due canzoni si è riaperta la ferita e ho iniziato a sanguinare. E’ stato molto pittoresco perché sembrava un effetto scenico, cantavo grondando sangue e questo faceva abbastanza effetto, però avevo anche molto male, così ho preferito non aggravare ulteriormente la situazione e, a malincuore, ho dovuto rifiutare l’offerta dei Labyrinth di cantare con loro ‘Die For My Sins’”.
Torniamo un attimo a ‘Dead Heart In A Dead World’ analizzandolo da un punto di vista lirico. Il lavoro precedente era sotto forma di concept album. Avete ripetuto questa esperienza anche in questo disco?
“No, assolutamente. Anche in questo non abbiamo voluto ripeterci! Per ‘Dead Heart In A Dead World’ abbiamo preso ispirazione semplicemente dalle nostre origini. Veniamo da Seattle, ovvero una città dove piove per nove mesi all’anno e con il più alto tasso di suicidi in tutti gli Stati Uniti, quindi argomenti da trattare ne avevamo veramente molti. Seattle è veramente una città deprimente e per un lungo periodo la scena musicale è andata di pari passo con la città. Il grunge, i Nirvana e, in parte, i Soundgarden hanno tratto ispirazione proprio dal lato più oscuro di questa città, guardando però le cose sotto un’ottica totalmente diversa dalla nostra. Io non arriverò mai a pensare al suicidio, perché sono più forte di questo, quindi anche le mie canzoni hanno come messaggio di fondo qualcosa di positivo, non necessariamente di deprimente. E poi a Seattle ci sono delle estati bellissime che risollevano il morale, ma forse durante l’epoca del grunge nessuno se n’è mai accorto!”.
C’è una canzone alla quale ti senti particolarmente legato, tra quelle contenute su questo album?
“Mmm, che difficile! Probabilmente le prime quattro, ‘Narcosynthesis’, ‘We Disintegrate’, ‘Inside Your Walls’ e ‘Evolution 169’, perché sono quelle che racchiudono totalmente i nuovi elementi del new sound dei Nevermore”.
La copertina di ‘Dreaming Neon Black’ era direttamente collegata con la storia narrata nell’album…
“…in questo caso, invece, è collegata con le liriche, anzi, con il testo della title track. L’immagine che vedi rappresenta qualcuno convinto che le emozioni stiano ormai morendo, che avverte attorno a se solamente il gelo, l’oscurità e il vuoto. Se leggi bene il testo della canzone, ti rendi però conto che non tutto è negativo come si potrebbe pensare, perché anche quando tutto sembra perduto, un briciolo di speranza arriva sempre in aiuto del disperato”.
Eppure un titolo come ‘Dead Heart In A Dead World’ lascia ben poco spazio alla speranza!
“Credimi, invece, il nostro intento è proprio quello di dare speranza a chi ascolta la nostra musica e il messaggio contenuto in questa canzone è decisamente positivo. Certo, la mia fonte di ispirazione è sempre la parte più cupa e oscura della vita umana, però cerco nella negatività di individuare sempre un elemento positivo che possa fornire i giusti stimoli a chi ascolta la nostra musica. Molte persone che ho incontrato durante i nostri concerti, sono venute a parlarmi e hanno cercato di dare la loro interpretazione alle nostra canzoni. Beh, questa è una cosa che io no faccio mai, perché voglio sempre che tutti siano liberi di dare la loro personale interpretazione alle nostre canzoni e di trarre i messaggi che preferiscono. Non voglio cambiare il mondo con questa canzone. Per me è come una poesia, e le poesie sono estremamente soggettive”.
Pensi ci sia futuro per l’heavy metal negli Stati Uniti?
“Spero proprio di si. Hey, i Nevermore sono tornati, quindi è giunta l’ora di darsi una mossa!”.
Ma come vedi la corrente del cosiddetto “new metal” che impazza da voi, e gruppi come Korn, Limp Bizkit…
“Dico che questi non sono metal!”.
…Slipknot…
“Slipknot…per gli Slipknot il discorso è un po’ diverso. Non sono come i Korn, la loro musica è un po’ diversa e poi i loro show sono fantastici. Li ho visti dal vivo e la furia che sprigionano sul palco ha dell’incredibile. Quando avevo ascoltato il loro album lo avevo trovato un po’ noioso, però dal vivo mi hanno veramente impressionato. Mai visto una band che salta dal rap al death con tanta facilità e non ho mai visto una band sbattersi sul palco come fanno loro”.
Slipknot a parte, c’è qualche giovane band che ti ha particolarmente impressionato e che pensi possa seguire quello che voi avete incominciato?
“Fammi pensare…forse gli Hansom!”
Hem, intendi i tre bambinetti o gli Handsome, il gruppo formato da ex membri di Helmet e Quicksand?
“Era uno scherzo! Non sapevo nemmeno che esistesse una band metal chiamata Handsome! Spero almeno che la loro musica sia migliore di quella degli Hansom, anche se non dovrebbe poi essere così difficile!”.
Ok, ok, l’intervista sta degenerando. Che ne dici di lasciarci con un saluto a tutti i fan italiani?
“Per i fan italiani? Hey, da voi c’è il Papa, quindi potreste…”. CLICK!
‘nnaggia, è finita la cassetta. Che si tratti di una sorta di censura divina? Mah, potere dei Nevermore!