White Lion – The Lion King Is Back
Il 12/10/1999, di Fabio Magliano.
‘Remembering White Lion’, il modo migliore per ricordare una grandissima band, che ha saputo mobilitare la folla, nei primi anni Ottanta, con un hard rock caldo e raffinato e con un album immortale come ‘Pride’ prima di scomparire tra le pieghe del music business. Oggi, a dieci anni di distanza dal loro scioglimento, il loro singer Mike Tramp torna con il suo personale tributo al “leone bianco” e con grande disponibilità ci racconta la storia di una favola tramutatasi in realtà.
Che strani, i casi della vita! Solo poco tempo fa, sfogliando una vecchia rivista musicale, capitai sull’intervista dei Freak Of Nature, la band post-White Lion del talentuoso Mike Tramp. ‘Chissà che ne è stato di Mike?’ Mi chiesi, non senza un po’ di malinconia, soprattutto considerando l’importanza che il “leone bianco” ha rivestito per me in tutto questo tempo. Due giorni dopo, poi, una telefonata della Spin-Go e mi comunica che Mike Tramp era disponibile per interviste promozionali, in vista della realizzazione di ‘Remembering White Lion’, suo personale tributo alla sua ex band. Che colpo! Dopo tutto ‘Pride’ fa parte ormai da tempo immemore della mia personalissima top-ten e le dolci ballad con le quali la band di Brooklyn conquistò l’America negli anni Ottanta (‘When The Children Cry’ è, a mio avviso, una delle più belle canzoni mai scritte da una band rock) hanno fatto da colonna sonora dei miei sogni di adolescente, quindi poter ripercorrere assieme a Mike le fasi salienti di una grande band spentasi troppo in fretta è un’occasione proprio da non perdere! Eccomi quindi a dialogare in perfetto relax con una persona affabile e alla mano, pronta senza troppe remore a sfornare aneddoti e storielle, soddisfacendo ogni mia curiosità.
Prima di tutto, Mike, puoi spiegarci che significato ha uscire oggi, praticamente in concomitanza con la realizzazione del tuo secondo disco solista, con un album tributo ai White Lion?
“Buona domanda! Prima di tutto va detto che l’album era già pronto tre anni fa, solo che, quando è stato il momento di pubblicarlo in America, la casa discografica ha pensato di inserirci il logo dei White Lion e di farlo uscire, quindi, quasi come un lavoro della mia vecchia band. Abbiamo allora dovuto fermare tutto e ricominciare da capo. Non fosse che, all’epoca, ero alle prese con il mio primo album solista, ‘Capricorn’, una priorità rispetto alla raccolta dei White Lion, quindi questa è finita congelata nel dimenticatoio. Quest’anno, invece, dei miei amici della Dream Catcher mi hanno contattato e mi hanno detto di essere interessati a fare uscire questo disco. Vedi, sia in America, con l’uscita del mio disco solista, che in Europa e Giappone con i lavori dei Freak Of Nature, l’interesse verso i White Lion è tornato a galla e molti fan si sono rivolti alla casa discografica chiedendo notizie riguardo al gruppo…di fronte a questo ho pensato che fosse interessante realizzare un tributo ad una band così importante. Ma non volevo che fosse qualcosa di banale. Sia da solista che con i Freak Of Nature, non ho mai perso di vista quella che era la via stilistica intrapresa dai White Lion, solamente ho cambiato un po’ il mio modo di cantare e sono maturato musicalmente, quindi ho pensato di riproporre i vecchi classici dei ‘Lion, rivisitati con la maturità di oggi. A dicembre sono tornato in Danimarca per festeggiare il Natale e qui mi sono incontrato in studio con alcuni amici. Abbiamo iniziato a suonare questi classici e il risultato è stato positivo”.
Come giudichi il nuovo volto che hanno assunto questi grandi classici dei White Lion dopo la tua “cura”?
“Guarda, devi considerare il fatto che, quando mi sono trovato a realizzare questo lavoro, non l’ho mai fatto vedendolo in un ottica “futura”; non ho mai detto: ‘Well, questa canzone deve suonare così perché…’, l’ho suonata e basta! Il mio futuro, dopo tutto, è Mike Tramp, non sono i White Lion, il mio sfogo artistico è nella mia attività solista, non in tributi come questo. Quello che posso dirti è che, ovviamente, le canzoni risuonate appaiono molto diverse da quelle originali, primo perché non avrebbe avuto senso risuonarle uguali identiche, secondo perché io sono molto cambiato da allora, ho abbracciato una forma di rock che si discosta da quella degli anni ’80 e questo influenza tutto quello che suono, siano queste canzoni nuove o vecchie”.
Ti ho chiesto questo perché, onestamente, se da un lato ho apprezzato molto le nuove versioni di canzoni come ‘El Salvador’ o ‘Fight To Survive’, dall’altro sono rimasto spiazzato dalle ballad. ‘When The Children Cry’ e ‘Till Death Do Us Part’ hanno significato molto per me in passato, e vederle sfigurate in questo lavoro, mi ha lasciato francamente disorientato…
“Ma è una cosa assolutamente normale! Ognuno ha le sue versioni favorite: c’è chi ama il classico e chi ama la versione più moderna, il bello sta proprio nel vedere le reazioni dei fan messi di fronte a canzoni che hanno amato e che sono state totalmente rivoluzionate! È difficile capire il processo che ha portato alla mutazione di questi classici, però ti assicuro che queste canzoni le ho suonate un milione di volte nella mia carriera, le ho portate in giro per il mondo e il loro volto cambiava naturalmente, volta dopo volta, con il passare del tempo! Probabilmente ‘When The Children Cry’, se fosse stata incisa nel 2001 e non nel 1987, avrebbe suonato così da subito!”.
Facendo un passo in dietro nel tempo, puoi spiegarci come vedi ora, a dieci anni dal loro scioglimento, l’avventura con i White Lion?
“I White Lion sono tutto, nel senso che sono stati alla base di tutto quello che ho fatto sino a cinque minuti fa! Quando lasciai la Danimarca per trasferirmi a New York non avevo assolutamente niente, solo sogni e tanti progetti. Dopo cinque anni mi sono trovato con un disco nella top ten statunitense e tre singoli in classifica…e tutto per merito dei White Lion”.
Che ne è stato dei vecchi membri della tua ex band? Sei ancora in contatto con loro?
“No, non ho più avuto contatti con loro. Quando ci siamo sciolti Vito (Bratta, il chitarrista, ndr.) Se n’è andato portandosi via tutti gli strumenti e, da quel giorno, non ho più avuto notizie di lui. Francamente non ho idea di cosa stia facendo e se sia ancora attivo come musicista. James Lomenzo, il bassista, ha suonato con Zakk Wylde nei Pride & Glory, ha collaborato con Slash nei suoi Snakepit, quindi è stato un po’ fermo ed ora si appresta a ritornare assieme a David Lee Roth. Greg D’Angelo, il batterista, ha invece aperto degli studi di registrazione a Los Angeles e ci sentiamo sempre per gli auguri di Natale”.
Guardandoti alle spalle, ripensando alla tua lunga carriera, ti capita mai di provare un po’ di nostalgia per quello che è stato?
“Oh sì, anche se non di frequente mi capita di pensare con un po’ di malinconia a quello che ho fatto in passato. Mi capita generalmente se penso al periodo del boom dei White Lion, verso la metà degli anni Ottanta. Sono stati anni fantastici! ‘Pride’ era fuori, avevamo folle oceaniche che venivano ai nostri concerti, avevamo disco e singoli in classifica un po’ in tutto il mondo e la nostra immagine era sulle copertine dei principali magazine. Ma anche i primi tempi dei Freak Of Nature non sono stati poi così male! Era il periodo della rinascita, ero mosso da nuovo entusiasmo dopo il fallimento dei White Lion, avevo trovato gente motivata che voleva sbattersi come lo volevo io…in quel periodo (era il 1993 N.d.A) ho veramente ritrovato la voglia di vivere!”.
A fronte di questo, hai dovuto fronteggiare momenti bui e molto difficili per un musicista…
“Sì, anche se avevo messo sin da subito in preventivo questi momenti. Vedi, sono convinto che in tutto quello che si fa, positività e negatività vengano a bilanciarsi, quindi non tutto può andare sempre bene e non tutto va male in eterno. Io speravo che il momento ‘sulla cresta dell’onda’ potesse proseguire più a lungo, ma quando le cose hanno iniziato ad andare male ero preparato psicologicamente. Dopo il botto, purtroppo, non tutto è stato più come prima, io volevo suonare solo, semplice rock ma gli altri non erano del mio stesso avviso, e quando in seno al gruppo inizia ad esserci una frattura…e poi considera il fatto che, quando non sei nessuno, nessuno si interessa a te, ma quando hai un minimo di successo tutto il mondo inizia a girare attorno a te. Iniziano ad arrivare manager, iniziano ad arrivare promoters, iniziano ad arrivare ‘amici’ che ti consigliano…e se non sei preparato a questo, rischi veramente di andare alla deriva”.
Quindi, paradossalmente, croce e delizia dei White Lion è stato ‘Pride’, album che ha decretato il vostro successo ma anche la vostra “fine” …
“Certo! E’ proprio così! Quando siamo entrati in studio per registrare ‘Pride’ non avevamo una lira in tasca, mentre quando abbiamo concluso il tour promozionale nel 1988 eravamo miliardari! La nostra vita è cambiata radicalmente da quel momento, e quando siamo entrati nuovamente in studio per registrare ‘Big Game’, nel 1989, lo abbiamo fatto con uno stato d’animo differente e la nostra musica ne ha risentito tremendamente!”.
Hai iniziato a suonare vent’anni fa, hai vissuto l’epoca d’oro del rock a stelle e strisce, hai subito l’avvento del grunge ed oggi stai passando attraverso i turbini del Nu metal…come hai vissuto, come musicista, questi anni di rivoluzioni sonore?
“Li ho vissuti con gli occhi della vittima e, allo stesso tempo, di chi assiste impotente al cambiamento del mondo davanti a te. Hai ragione, da quando ho iniziato a suonare la scena musicale è cambiata totalmente ed io ne sono rimasto preso in mezzo. Il grande problema è che, quando ho iniziato a suonare, sul finire degli anni Settanta e nei primi Ottanta, si suonava per pura passione. Era tanta la voglia di fare rock e quello che contava era avere una chitarra in mano e un palco sul quale esibirsi. Oggi tutto è business. I gruppi, oggi, non suonano per passione, ma per fare soldi. Anche le rock’n’roll band vengono messe assieme sulla falsa riga dei Backstreet Boys, tutto viene visto nell’ottica di fare soldi e non di bersi una birra e fare casino sopra ad un palco”.
Ascolta Mike, hai realizzato ormai tre album solista, altrettanti con i Freak Of Nature, eppure per la gente rimani ‘il cantante dei White Lion’. Pensi che questa sia una cosa per te positiva, o negativa, visto che, in un certo senso, ti viene negato quanto fatto dopo i ‘Lion?
“No, dopo tutto continua a essere una cosa positiva. È vero, ho realizzato più dischi da solo che con i White Lion, però ascolta: ci sono migliaia di giovani, oggi, che suonano in America e che aspettano il loro turno, la chance della loro vita, l’occasione per emergere. Musicisti anche validi che si sbattono e che, forse, non usciranno mai dall’anonimato. Io ho avuto la fortuna di aver assaporato il successo. Sono partito dal nulla e mi sono trovato sulle prime pagine dei giornali, ho suonato in tutto il mondo e mi sono esibito al fianco dei miei idoli…grazie ai White Lion. Io ringrazio ancora oggi quei ragazzi che mi hanno seguito al tempo dei White Lion, che mi seguono tutt’ora e che continuano a considerarmi ‘il cantante dei ‘Lion’. Se dovessi morire domani, sarei felice, perché dalla vita ho avuto tutto. Oggi non mi interessa più per che label esco, se ho un disco in classifica, se suono trenta show al mese davanti a 20.000 persone per sera…oggi suono per me, faccio quello che mi piace senza scendere a compromessi con nessuno, e questa è la cosa che più conta”.
Per concludere, te la senti di fotografare la tua lunga carriera musicale con tre canzoni che pensi l’abbiano segnata profondamente?
“Dunque, ‘Fight To Survive: quando vivevo in Spagna, prima di arrivare in America, sono stato molto influenzato dai Van Halen, tanto che questa band per me era un esempio da seguire, una meta da raggiungere. Quando ho scritto questa canzone ho inserito tutti i miei sogni, i miei obiettivi, sia da un punto di vista musicale che lirico, quindi si potrebbe dire che in questa song si trovano le basi della mia carriera. La seconda è ‘Turn The Other Way”, la prima canzone scritta con i Freak Of Nature. E’ la canzone della rinascita, è la canzone con la quale ho ritrovato l’entusiasmo per ricominciare tutto da capo. Ed infine ‘When The Children Cry’, una canzone immortale. Riletta quindici anni dopo non ha perso una virgola in fatto di significato, i messaggi lanciati allora sono sempre gli stessi di oggi, e questo per un brano è fondamentale.
Anche perché, in questa ballad, canti “No more president, and all the war will end, one united world, under God…”, una frase che, riletta oggi, assume un significato tutto particolare…
“Oh, esattamente! Mai come oggi si sente il bisogno di ‘ripulire’ il mondo, di fermarci un attimo e di ricominciare tutto da capo. E chi meglio di un bambino innocente, potrebbe dare il via ad un mondo migliore?”